Perché i nostri imprenditori non sono come Zuckerberg
«In Italia pensiamo di più agli investimenti che abbiano ricadute sull’azienda e agli spot culturali, come di Cucinelli, Tod’s e Renzo Rosso. Ma la filantropia è un’altra cosa» dice Rossella Sobrero, esperta di Corporate Social Responsability, che commenta la decisione di Mr Facebook di donare il 99% del suo patrimonio in beneficenza
di Concetta Desando
Pubblicato il 02 Dic 2015

“Un esempio e un messaggio importante – spiega la professoressa Sobrero – soprattutto perché è un’azione collegata alla nascita della bambina: l’intento è contribuire a lasciare un mondo migliore a chi verrà dopo di noi”.
E se Oltreoceano non mancano i nomi di chi, oltra al portafoglio, ha un cuore d’oro e ha deciso di donare il proprio patrimonio ad associazioni di beneficenza (da Tim Cook a Bill Gates a Jam Coum, solo per citarne alcuni), “in Italia faccio fatica a pensare a un imprenditore che abbia agito nello stesso modo – dice la docente -. Certo c’è chi decide di agire in silenzio, ma il fatto che non ci sia neanche un nome che venga subito in mente parlando di questo argomento la dice lunga sui nostri imprenditori: in Italia gli imprenditori sono più interessati agli investimenti che abbiano un ritorno diretto sull’azienda. Possono essere anche investimenti in ambito sociale, ambientale o culturale, a breve o a lungo termine, ma devono avere una ricaduta sulla propria impresa. E questo è social business. La filantropia è altro: è un donare qualcosa senza pensare di avere nulla in cambio. La filantropia, pur avendo segnato il passato del nostro Paese (pensate a quanti filantropi nel passato hanno sostenuto artisti, opere, comunità), è apputo qualcosa che appartiene ormai al passato e non al nostro presente. Oggi in Italia siamo individualisti: difficilmente ci apriamo alla comunità, al bene comune, al prossimo” spiega la docente. E puntualizza: “Attenzione, poi, a non confondere gli spot culturali con la filantropia: la restaurazione del borgo fatta da Cucinelli è un’azione molto bella e intelligente, ma non è filantropia. Non lo neanche quanto fatto da Tod’s con il Colosseo o da Renzo Rosso con il Ponte Rialto: queste sono sponsorizzazioni culturali, ben lontane dall’azione di Zuckerberg”.
“Certo, sono comunque azioni importanti – continua la Sobrero – ma hanno un sapore diverso rispetto a quello che Zuckerberg ci dice donando il 99% delle azioni di Facebook: oggi viviamo in un mondo talmente incerto e difficile che chi ha patrimoni così imponenti deve metterli a servizio di tutti, non per risolvere i problemi del mondo perché questa sarebbe un’utopia, ma per contribuire a rendere il mondo un posto migliore”.