IL LIBRO

Oren Klaff: come usare il pessimismo (degli altri) per concludere un affare

Tutti amano un ottimista ma l’ottimismo acritico non piace ai clienti e ai partner. La formula del successo si basa sul pessimismo, che offre un punto di vista diverso e li coinvolge, scrive Oren Klaff nel suo nuovo libro “Ribalta il copione”. Ecco il capitolo che la illustra: Pessimismo+Autonomia+ Expertise= Induzione

Pubblicato il 13 Mag 2020

Oren Klaff, autore di "Ribalta il Copione"

 Arriva in libreria in Italia, mercoledì 13 maggio “Ribalta il copione”, il nuovo libro di Oren Klaff, considerato uno dei maggiori esperti al mondo di tecniche di vendita e raccolta di capitale, autore del best seller internazionale “Pitch Anything”.  Klaff approfondisce in questo libro il suo metodo di persuasione applicata alle vendite, spiegando come concludere efficacemente le trattative dando ai propri interlocutori ciò che vogliono: la sensazione di aver avuto un’idea geniale anche se in realtà non è la loro.  Economyup pubblica un estratto della sua guida per capovolgere gli schemi e la percezione del proprio potenziale acquirente, un interessante passaggio che spiega perché all base del successo non c’è l’ottimismo ma il pessimismo, se si sa come utilizzarlo.

Tutti amano un ottimista

Tutti amano un ottimista. Un approccio positivo è uno dei tratti più importanti che ricerchiamo negli amici, nei dipendenti, nei leader e soprattutto nei venditori. Insegniamo ai nostri figli che un atteggiamento possibilista è la chiave del successo. E quasi tutti i libri di auto-aiuto iniziano con il mantra “Lo puoi fare!” (se meditate, visualizzate ciò che desiderate ed eliminate tutte le forme di negatività). Dopotutto, il pensiero positivo fa miracoli, non è vero? Noi realizziamo quello che visualizziamo. Forse sì e forse no.

È molto bello parlare di quello che accadrà una volta concluso il contratto, messi in banca i soldi e avviata l’esecuzione del business plan. È divertente immaginare un futuro in cui i nostri problemi sono finiti da tempo, viviamo in una casa da sogno, tutti ci adorano e siamo subissati di elogi. Gli psicologi la chiamano mentalità ottimistica: è la convinzione che presto, molto presto, accadranno cose positive.

Un atteggiamento positivo può spingere le persone a realizzare imprese incredibili. Gli ottimisti sono coloro che nel secolo scorso mandarono un uomo sulla Luna e, in questo secolo, ne manderanno un altro su Marte. Gli ottimisti hanno scalato l’Everest, scoperto l’energia nucleare e sequenziato il genoma umano. Gli ottimisti sanno motivare gli altri e indurli a sposare la propria causa.

Quali operatori economici sono i più ottimisti?

Non ci sono dubbi in proposito: gli imprenditori e i venditori. Il loro lavoro è per definizione seminare ottimismo. Sono programmati per promuovere una visione del futuro in cui i vostri problemi più angosciosi vengono risolti, la vostra vita diventa più facile e i vostri sogni si realizzano uno dopo l’altro. Comprate adesso e sarete più belli, vi sentirete meglio, farete più soldi, conquisterete la donna di cui siete segretamente innamorati, sarete genitori felici e salirete nella scala sociale fino a diventare modelli di ruolo ammirati dalla gente comune.

Per la natura del loro lavoro, i venditori non possono non essere ottimisti, e devono portare anche voi in quella direzione. Ma la professione di ottimismo funziona bene come pensiamo? Considerate il tipico processo di vendita:
1 Presentate il prodotto e illustrate le sue caratteristiche.
2 Vi mostrate oltremodo ottimisti e invitate il potenziale acquirente a credere nel prodotto.
3 Tentate di stringere: “Allora cosa ne pensa? Possiamo chiudere oggi?” A quel punto il cliente solleva preoccupazioni e obiezioni.
4 Vi mettete a confutare le obiezioni, una per una. Dite al potenziale acquirente che nessuno dei suoi timori si materializzerà e che tutti i suoi sogni diverranno realtà.
5 Tentate nuovamente di stringere – e continuate a insistere (fino alla morte).

L’ottimismo acritico che non piace al cliente

Il problema di questo modus operandi è che assomiglia più al dibattito e alla discussione che alla vendita e alla persuasione.
Qual è il risultato? Anche se poi cede e dice di sì, il cliente non ha realmente accettato la vostra offerta; molto probabilmente non aveva più la forza di andare avanti a discutere con voi, dunque ha detto di sì per uscire dall’impasse e mettere fine alla conversazione. Ma non è detto che volesse veramente acquistare. Ecco perché accade tanto spesso che i venditori si illudano di avere già l’ordine in tasca, per poi vedere svanire quell’illusione man mano che passa il tempo.

L’ottimismo acritico – quello che è strutturalmente nelle corde del venditore – mette in realtà sotto stress il tipico potenziale acquirente. Sprizzando entusiasmo da tutti i pori e ostentando una positività eccessiva si rischia di disgregare il processo decisionale del cliente e di violare il suo senso di autonomia – una cosa che non si dovrebbe mai fare.

La formula del successo nelle vendite si basa sul pessimismo

Lasciatemi ribaltare il copione al vostro posto: la formula del successo nelle vendite si basa sul pessimismo, non sull’ottimismo.

Il pessimismo viene dipinto come l’antitesi negativa di un atteggiamento indiscutibilmente positivo – l’ottimismo. Non è così. In realtà il pessimismo offre un punto di vista alternativo, ed è un punto di vista che il cliente deve prendere in considerazione prima di prendere una decisione di acquisto meditata, di cui poi non dovrà pentirsi.

Quando si tratta di concludere un affare in cui la posta è molto alta, i clienti attraversano sempre una fase di scetticismo prima di stabilire che si sentono abbastanza sicuri da andare avanti. Devono chiedersi come potrebbe fallire la partnership che hanno instaurato con voi; quali problemi potrebbero insorgere; e come, preferendo voi a qualcun altro, potrebbero perdere una parte dei loro soldi (se non tutti). Non dovreste osteggiare questo processo, ma aiutarli a gestirlo.

Mi rendo conto che potrebbe apparire illogico e autolesionistico. Dopotutto, non assomiglia affatto al pensiero positivo che insegnano al seminario “Come farsi degli amici e influenzare il prossimo”. Per influenzare gli altri, noi dovremmo minimizzare tutti i pensieri negativi, creando nei potenziali clienti eccitazione ed entusiasmo per noi e per le nostre idee, non è vero? Non esattamente. La possibilità dell’insuccesso rafforza la motivazione ad agire del potenziale acquirente.

C’è una sorta di autocompiacimento nel pessimismo. Riflettere sugli ostacoli e sulle tante cose che potrebbero andare storte in una transazione commerciale o finanziaria è sano e rassicurante, perché nulla è perfetto nella vita e i clienti vanno proprio alla ricerca di quella imperfezione per decidere se possono o non possono conviverci. Se nascondete le negatività, la vendita non si può concludere. Se le negatività non vengono fuori, l’atteggiamento psicologico espresso o inespresso del cliente sarà: “Cosa c’è dietro?” Perciò il pessimismo non è un tipo di pensiero negativo che va contrastato, superato e distrutto. Invece, dovrebbe essere promosso e coltivato.

Non limitare l’autonomia del cliente

Vedetela così: quando mettete il cliente in condizione di mostrare ottimismo e di “stringere” prima che sia veramente pronto, questo approccio minaccia il suo senso di autonomia. Le persone reagiscono negativamente quando la loro autonomia viene limitata in qualunque modo, perché siamo programmati per avere la sensazione di prendere le nostre decisioni dopo una riflessione adeguata, con i nostri tempi e senza pressioni esterne. Dovete dare alla persona con cui state trattando un senso di autonomia, in modo che si senta totalmente libera di obiettare, contestare e dissentire, sapendo che non tenterete automaticamente di vincere le sue obiezioni.

Dare autonomia al cliente non vuol dire rinunciare al controllo, ma per quasi tutti si tratta di un’alternativa obbligata, ossia di scegliere tra una cosa e l’altra. Avete mai assistito a una presentazione efficace, ben organizzata, penetrante e persuasiva, ma che all’ultimo momento sfrigola come un fammifero bagnato che non si accende, mandando in fumo l’affare? Negli ultimi venti secondi, molto probabilmente, il venditore se n’è uscito con una di queste frasi infelici:
• “Allora… cosa gliene pare? È una proposta che le potrebbe interessare?”
• “Io ho detto tutto quello che dovevo dire: adesso tocca a lei. Ci sono delle domande?”
• “Ha senso tutto questo? Cosa ne direbbe di acquistare?”

Sono modi abbastanza comuni di concludere una presentazione – l’ho constatato migliaia di volte. Il problema di queste
frasi è che mettono il controllo assoluto nelle mani del potenziale acquirente. Poi, l’astuto cliente elencherà una serie di ragioni che gli impediscono di chiudere oggi e dirà esattamente ciò che è pre-programmato per dire: “Mi sembra interessante. In questo momento non abbiamo altre domande, ma se ci manda tutti i dettaglia via email ne discuteremo al nostro interno e le faremo sapere qualcosa entro un paio di settimane.”

Un paio di settimane? E chi sarebbero esattamente i “noi”?

L’obiettivo è creare induzione, oggi stesso

Ovviamente non potete lasciare al cliente la possibilità di decidere in totale autonomia come procedere con voi e con la vostra offerta, perché potrebbe essere l’ultima volta che avrete sue notizie. L’obiettivo non è mettersi davanti settimane di telefonate inutili e interazioni frustranti. L’obiettivo è creare Induzione oggi stesso… Adesso.

Ho scoperto che la soluzione è piuttosto semplice. Autorizzate il cliente a mettere in discussione voi e la vostra proposta, ma prima spiegategli esattamente cosa contestare.

Pessimismo + Autonomia + Expertise = Induzione

Dovete andarci cauti, tuttavia, perché dire a qualcuno cosa contestare e cosa non contestare si può considerare una forma di manipolazione. E quando il potenziale acquirente si trova di fronte a un chiaro tentativo di manipolazione, si mette subito sulla difensiva.

Lo vediamo chiaramente nel settore automobilistico, dove i venditori sono sempre stati abituati a fare pressione sui clienti e a non prendere mai per buono il no. Oggi è cambiato tutto. Le grandi case automobilistiche hanno adottato il pricing standardizzato pubblicizzato su Internet e non fanno più pressione sui visitatori degli autosaloni. Hanno imparato a proprie spese che quei tentativi di manipolazione gli si ritorcono contro.

I clienti vogliono avere il controllo (o quantomeno l’illusione del controllo) sul processo di acquisto. Quando si sente controllato da voi, il cliente fa un passo indietro, o abbandona totalmente il negoziato. Qualunque sensazione di controllo psicologico, pressione temporale, pressione da scarsità, pressione sociale o comunque di manipolazione con altri tipici strumenti di vendita, spinge i potenziali clienti ad allontanarsi.

Ma non avreste bisogno di controllare nessuno se foste in grado di tracciare una sorta di confine invisibile, in modo che la conversazione restasse focalizzata su ciò che conta e non divagasse. Immaginate un recinto, come quelli che si usano per tenere il cane in giardino, ma invisibile, in grado di mantenere le domande del cliente su ciò che conta davvero. All’interno del recinto invisibile si trovano tutti i fatti accertati, le questioni da chiarire, i problemi che volete discutere. All’esterno si trovano gli argomenti off-limits, le cose che non contano e le perdite di tempo. E se posizionate correttamente questo recinto, il cliente non si renderà conto che avete messo dei confini e li accetterà come elemento naturale della conversazione.

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