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Padoan: l’innovazione si fa anche con nuove regole e comportamenti

Il ministro dell’Economia sostiene che l’Italia può emergere a livello europeo. E, rispondendo al CEO di Digital360 Andrea Rangone, che fa notare la scarsità di investimenti, dice: «Le risorse sono scarse. Il punto non è quanti soldi investiamo, ma come disegniamo le norme»

Pubblicato il 26 Mag 2016

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Da sinistra Andrea Rangone, Ceo di Digital360, e Pier Carlo Padoan, ministro dell'Economia e delle Finanze, a Forum PA

L’Italia è veramente uno Stato innovatore che va verso una pubblica amministrazione 4.0 in un’economia 4.0, come recita il panel al Forum PA di Roma concluso dall’intervento del ministro dell’economia Pier Carlo Padoan? Potenzialmente sì, ma nei fatti c’è ancora molta strada da fare, a giudicare dalle analisi degli speaker.

Lo stato delle cose è emerso soprattutto con gli ultimi due interventi: quello – con tante slide, “da accademico quale sono” – di Andrea Rangone, fondatore degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, Ceo di Digital360 (la società editrice di Economyup); e quello dello stesso Padoan. Rangone ha confrontato i numeri dell’Italia con quelli dell’Europa a 28 membri, focalizzandosi su due aspetti determinanti: “Per pareggiare la media europea degli investimenti per lo sviluppo del digitale – ha spiegato – all’Italia mancano 23 miliardi di euro all’anno. E alle startup hi tech noi dedichiamo lo 0,002% del Pil contro lo 0,025% europeo, ossia 300 milioni di euro in meno ogni anno. È vero che c’è una velocissima rivoluzione mondiale in corso, ma è altrettanto vero che l’Italia rischia di esserne tagliata fuori”. Dati ai quali Padoan ha risposto da politico “anche se non lo sono, ma in quanto ministro rivesto un ruolo politico. Il governo – ha detto il ministro – sta investendo le scarse risorse a disposizione, per esempio defiscalizzando le startup. Certo, magari il disegno tecnico di qualche misura può essere migliorato. Il punto non è solo quanti soldi investiamo ma anche come disegniamo le norme, date le risorse a disposizione”.

Secondo Rangone, tre sono i settori necessari da cui partire per “fare innovazione e sfruttare veramente il nuovo internet pervasivo, o internet delle cose: un elettroshock culturale, concrete azioni politiche a livello nazionale o locale e un forte investimento per la digitalizzazione delle PA“. Specialmente il terzo punto può diventare una molla decisiva: “La metà del Pil italiano è coperto dalla spesa per la pubblica amministrazione. Se questi soldi venissero investiti nell’innovazione digitale la pubblica amministrazione snellirebbe se stessa, sburocratizzandosi, e stimolerebbe tutta la filiera, essendo un grandissimo acquirente”. Un esempio positivo citato sia da Rangone sia dal ministro è la fatturazione elettronica: “Anche nella pubblica amministrazione – commenta Padoan – ci sono delle best practice, che devono essere estese: questa è la riforma strutturale fondamentale che è nell’agenda del governo. L’Italia può emergere a livello europeo come la prima della classe nella PA e questo obiettivo si raggiunge pensando all’innovazione nella pubblica amministrazione non solo come meccanica applicazione delle nuove tecnologie, ma anche come possibilità di cambiare processi e comportamenti”.

Il ministro Padoan con Carlo Moschi Sismondi, presidente FPA, e Andrea Rangone, CEO Digital360

“Economia 4.0 significa essere immersi nel flusso continuo dei dati. e la PA è una grande knowledge farm che lavora continuamente sui dati” ricorda Carlo Mochi Sismondi, presidente di FPA, che organizza il FORUM PA2016. “Abbiamo i numeri per ripartire ma la parola d’ordine è farlo tutti insieme”.

Alla finestra c’è un mondo che aspetta, pubblico e privato: “Le infrastrutture digitali non sono più un limite e la nuova economia delle idee ha già cambiato il modello di business. – esordisce Claudio Bassoli, vice presidente della Hewlett-Packard SAS Italia – I miliardi di informazioni che vengono prodotte oggi non sono più a disposizione solo delle grandi compagnie, ma anche delle piccole e medie imprese e delle startup. È una rivoluzione epocale e velocissima”. Da qualche anno le grandi aziende private stanno investendo in innovazione, soprattutto in open innovation, “un sistema che ha come limite solo la fantasia”, per dirlo con le parole di Simone Battiferri, direttore della divisione ICT Solutions&Service Platform della TIM. “Il mix fra il cambiamento culturale, nuove infrastrutture e grandi piattaforme che gestiscono i dati ha cambiato il modello di produzione. – continua Battiferri – Il sistema-Paese però deve aprirsi perché solo con l’integrazione e l’open innovation può crescere. E serve uno standard condiviso per classificare i dati”. Anche perché l’Italia ha eccellenze da offrire: “Ci sono piccoli e medi imprenditori innovatori e centri di ricerca eccellenti. Si tratta di farli parlare fra loro e attirare capitali per le nuove sfide” sintetizza Marco Icardi, Amministratore Delegato di SAS Italia. Una sfida che per la pubblica amministrazione si traduce nell’offrire servizi più veloci e più efficaci ai cittadini. Magari anche personalizzati: “Con l’anagrafe unica, la fatturazione elettronica, lo Spid (Sistema Pubblico di Identità Digitale, Ndr) la PA ha già dato prova di saper innovare e sfruttare l’internet delle cose. Ma – conclude Agostino Santoni, Ad di Cisco Italia – una domanda resta ancora inevasa: come organizziamo questa rivoluzione dal punto di vista manageriale?”.

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