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L’intelligenza che ascolta: che cos’è Anthropic Interviewer e come può aiutare chi fa innovazione



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Anthropic ha sviluppato uno strumento che automatizza le interviste qualitative, raccogliendo e analizzando in pochi giorni oltre 1.200 conversazioni su come le persone usano l’AI. Un esperimento che propone un modello scalabile per ascoltare emozioni, dubbi e identità professionali in trasformazione

Pubblicato il 17 dic 2025



Antropic

E se l’intelligenza artificiale ampliasse la capacità delle organizzazioni di ascoltare? È la scommessa di Anthropic, azienda californiana specializzata in modelli linguistici avanzati, che ha sviluppato Anthropic Interviewer: uno strumento in grado di condurre interviste qualitative in autonomia, dalla generazione delle domande all’analisi delle risposte.

Anthropic Interviewer, che cos’è e che cosa fa

Anthropic Interviewer è progettato per automatizzare l’intero processo di ricerca qualitativa. Il flusso operativo è articolato in tre fasi:

  • Pianificazione: partendo da un obiettivo di ricerca (es. “come viene usata l’IA nel lavoro?”), l’IA genera una traccia di intervista coerente e personalizzata. Le domande sono adattate al contesto e al profilo dell’intervistato, sotto la supervisione di ricercatori umani che ne rifiniscono il tono e la pertinenza.
  • Intervista: ogni conversazione dura circa 10–15 minuti ed è condotta interamente dal sistema, che ascolta, adatta il dialogo in tempo reale e approfondisce con domande pertinenti, in modo simile a un intervistatore esperto.
  • Analisi: i transcript vengono analizzati automaticamente per individuare pattern, espressioni ricorrenti e differenze tra gruppi. Anche in questa fase, ricercatori umani intervengono per validare i risultati e selezionare citazioni significative.

Il valore di questo approccio è duplice: consente di ampliare enormemente la scala delle ricerche qualitative, riducendo tempi e costi, e introduce un nuovo modo di produrre conoscenza organizzativa, fondato sulle narrazioni più che sulle metriche.

Uno strumento che può tornare utile anche nelle attività di innovazione, quando si vogliono esplorare esigenze e domande di mercato sommerse o testare nuovi servizi e prodotti.

Cosa emerge dalle interviste: dati, insight e contraddizioni

Nel corso della sperimentazione, Anthropic ha condotto 1.250 interviste in pochi giorni, affidandosi esclusivamente al suo sistema automatizzato. Il campione è stato suddiviso in tre gruppi strategici:

  • 1.000 lavoratori non specialistici,
  • 125 scienziati e ricercatori,
  • 125 professionisti creativi (designer, autori, artisti).

Ogni intervista mirava a esplorare come l’intelligenza artificiale sia oggi utilizzata nel lavoro e, soprattutto, come venga percepita in relazione all’efficacia, all’autonomia e all’identità professionale.

Supporto, non sostituzione: lo scarto tra narrazione e pratica

Il 65% degli intervistati descrive un uso aumentativo dell’IA: uno strumento che assiste e semplifica, ma non sostituisce. Solo un terzo parla di una delega piena. Tuttavia, confrontando queste percezioni con i dati di utilizzo reali emersi da studi precedenti, emerge una discrepanza: nella pratica, il rapporto tra compiti automatizzati e assistiti è quasi paritario (47% contro 49%). Le persone sembrano raccontare un uso più “controllato” e “collaborativo” di quanto effettivamente avvenga.

Creativi: utilità e stigma

I professionisti creativi riconoscono l’utilità dell’IA per generare idee, esplorare alternative e produrre bozze. Tuttavia, molti evitano di dichiararne apertamente l’uso, temendo che possa ridimensionare il valore percepito del proprio contributo. Questo silenzio segnala un dilemma reputazionale raramente discusso: l’adozione di strumenti intelligenti, pur efficaci, può generare imbarazzo.

Scienziati: uso selettivo e rigore

Nel gruppo degli scienziati, l’approccio è cauto e mirato: l’IA viene impiegata per compiti tecnici o preparatori (riassunti, prime stesure), ma resta esclusa da attività ad alto contenuto critico o interpretativo. Anche qui l’uso è aumentativo, ma fondato su un principio di rigore più che su una questione identitaria.

Identità professionale come criterio di delega

Un pattern trasversale collega i tre gruppi: le persone tendono a delegare all’IA i compiti percepiti come marginali o ripetitivi, mentre difendono quelli considerati essenziali per la propria identità professionale. Un copywriter può usare l’IA per ispirarsi, ma vorrà firmare personalmente il messaggio finale. Un ricercatore può sintetizzare con l’IA, ma non le affiderebbe la stesura di una tesi. È una distinzione più psicologica che tecnica, ma fondamentale per comprendere le dinamiche reali di adozione dell’IA sul lavoro.

Un modello di ascolto organizzato

Anthropic Interviewer è un modello replicabile di ascolto organizzativo, capace di restituire in tempo reale emozioni, percezioni e aspettative che spesso sfuggono ai tradizionali strumenti di analisi.

Per le imprese: cultura prima della tecnologia

Molte aziende intendono introdurre l’IA come scelta tecnica o come leva di efficienza. Ma i dati raccolti da Anthropic mostrano che l’effetto reale è culturale: riguarda identità, timori e relazioni professionali. I lavoratori si chiedono cosa stanno delegando, cosa rischiano di perdere, se possono parlarne apertamente. Comprendere questi nodi può consentire alle organizzazioni di anticipare le frizioni, di accompagnare il cambiamento e di progettare policy più intelligenti.

Per le startup: insight profondi e scalabili

Validare un prodotto con lenti qualitative è spesso difficile per chi opera in contesti agili. Anthropic Interviewer offre un modello per ottenere feedback autentici su larga scala, senza compromettere la velocità. Non solo A/B test o analytics, ma anche centinaia di micro-narrazioni capaci di restituire come le persone vivono un’idea, un’interfaccia, un servizio. Uno strumento prezioso per chi lavora in UX, in customer development o in product strategy.

Per la PA: ascolto diffuso e policymaking più informato

Le istituzioni, spesso escluse dalle dinamiche dell’innovazione digitale, potrebbero essere tra i principali beneficiari di questo approccio. Raccogliere percezioni diffuse sull’uso dell’IA da parte di cittadini, studenti, operatori sanitari o insegnanti può orientare regolamenti, investimenti e programmi formativi, evitando decisioni disancorate dalla realtà.

In tutti questi ambiti, il punto non è sostituire la ricerca tradizionale, ma ampliarne il raggio d’azione, rendendola più accessibile, più continua, più real-time. Perché l’innovazione, se vuole essere umana, deve partire da un ascolto autentico.

L’intervista qualitativa su scala industriale

Dal mio punto di vista, il principale merito del progetto di Anthropic è portare su scala industriale un metodo — l’intervista qualitativa — tradizionalmente riservato a piccoli campioni. Rendere massiva una pratica così artigianale significa far emergere emozioni, timori e ambivalenze che solitamente non trovano spazio nei report o nelle dashboard aziendali. È qui che l’esperimento mostra il suo vero potenziale: trasformare l’ascolto in una risorsa continua, non in un esercizio episodico.

Ho avuto modo di provarlo direttamente. L’intervistatore automatizzato mi ha posto subito una domanda inaspettata — qual era stato l’uso più sorprendente che avevo fatto dell’IA — e la conversazione è scivolata rapidamente verso il tema del futuro dell’intelligenza artificiale. Ho raccontato le mie sperimentazioni nell’uso dell’IA come coach e come supporto alla crescita personale, un ambito in cui ho ottenuto benefici concreti e immediati.

L’esperienza è stata netta: il sistema è ben progettato, capace di condurre una vera intervista qualitativa, di seguire il flusso, di approfondire con logica. Proprio per questo, sto integrando un approccio simile anche nella mia attività. Se l’obiettivo è comprendere come le persone pensano, cambiano e si trasformano di fronte all’innovazione, strumenti di ascolto di questo tipo non rappresentano soltanto un supporto tecnologico, ma un’estensione indispensabile del metodo.

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