TECNOLOGIA SOLIDALE

“Gli strumenti digitali sono al servizio nostro e non il contrario”. Dialogo con don Philip Larrey

Logica, filosofia e nuove tecnologie stanno insieme, dice don Philip Larrey, decano presso la Pontificia Università Lateranense e autore del libro Artificial Humanity. “La rivoluzione digitale è positiva. Tuttavia bisogna lavorare per diffondere un uso consapevole della tecnologia”

Pubblicato il 18 Dic 2020

Don Philip Larrey, decano presso la Pontificia Università Lateranense, dove insegna logica ed epistemologia

“Da venti anni insegno logica e filosofia della conoscenza all’università e quindi indago su come pensiamo, quali sono le regole e la natura del pensiero. Quando alcuni pensatori, scienziati cognitivi e sviluppatori di software hanno cominciato a parlare di intelligenza artificiale, ho compreso che i due campi esplorano ambienti simili anche se con metodologie diverse.”

Così don Philip Larrey, sacerdote cattolico, decano presso la Pontificia Università Lateranense, dove insegna logica ed epistemologia, ha iniziato il suo intervento a conclusione di Tecnologia solidale 2020 (qui puoi rivedere il panel chiuso da don Philip Larrey).

Terminato l’evento, abbiamo continuato a dialogare così.

Don Philip, le sue pubblicazioni si occupano di filosofia della conoscenza e del pensiero critico e degli effetti della nuova era digitale sulla società. Quindi per lei il passaggio dalla logica alla intelligenza artificiale è stato, per così dire, una naturale evoluzione…

Sì. Ho letto a suo tempo John Searle, il famoso epistemologo che insegnava all’Università di Berkeley, nella mia California. È stato lui a coniare il termine di “intelligenza artificiale forte” per caratterizzare un possibile modo di guardare il rapporto fra l’intelligenza di base biologica e quella a base di silicio. Quando, nel 2002, ho letto il libro di Raymond Kurzweil, “Are We Spiritual Machines?” ho capito che logica, filosofia e nuove tecnologie stavano insieme.”

Che cosa ha a che fare questa attenzione al digitale con il suo essere sacerdote?

A livello metafisico, la natura umana non muta: l’essere umano sarà sempre una sostanza composta da materia e forma, corpo e anima. Ma le sfide che ci aspettano in quasi tutti i campi saranno enormi e mettono in gioco il nostro essere umani. Tutto sta cambiando: il modo di comunicare, il modo di lavorare, l’economia e la finanza (inconcepibili senza l’informatica), la medicina, il diritto e la giurisprudenza l’educazione e l’apprendimento, l’e-commerce.  Le persone del nostro tempo stanno confrontandosi a livello esistenziale con le tecnologie. Come sacerdote sento questa enorme sfida che tutti abbiamo davanti e voglio aiutare a renderla comprensibile e superabile. Perché il sacerdote è chiamato a permeare il contesto storico con un senso, con un significato, che parte dalla realtà concreta e le dà una prospettiva di trascendenza.”

Parlare di intelligenza artificiale ci fa sentire piccoli piccoli, come fossimo in una sorta di Matrix, oggetti e non soggetti, in balia di sofisticati algoritmi. Lei come la vede? 

Senza esagerare, possiamo dire che l’Artificial Intelligence sta trasformando il mondo in cui viviamo, per le cose che le macchine cominciano a fare. Da un punto di vista filosofico, possiamo affermare che con la creazione dei sistemi di intelligenza artificiale abbiamo introdotto nel mondo una nuova forma di intelligenza, diversa dalla nostra e in grado di “imparare” anche autonomamente. La capacità dei sistemi di AI aumenta sempre di più, anche in modo esponenziale, preoccupando personaggi come Stephen Hawking, Bill Gates and Elon Musk (“AI è peggio delle bombe atomiche”).  Io però preferisco guardare alle cose che succedono veramente e in prospettiva. Le nuove tecnologie hanno una sorta di curva: cominciano con un enorme effetto, che stupisce e rende quasi attoniti. Poi, piano piano, esse vengono ridimensionate alla misura umana. In quasi tutti i campi dell’applicazione delle nuove tecnologie, vediamo che alla fine diventano strumenti sempre più efficaci per realizzare quello che vogliamo noi esseri umani. Gli strumenti digitali sono al servizio nostro e non il contrario. Se diventeranno padroni e comanderanno su di noi, sarà soltanto perché noi lo abbiamo permesso. Ma la tendenza degli esseri umani è subordinare le macchine alle proprie esigenze.”

Quindi lei non è preoccupato dell’impatto  dell’intelligenza artificiale. Cosa si aspetta dal 2021, nel campo della AI?

Siccome i mezzi di comunicazione sociale sono pieni di esagerazioni spesso infondate, preferisco rimanere prudente. Tuttavia non credo che vedremo cose essenzialmente diverse di quanto sta accadendo adesso. Siamo ancora agli inizi delle applicazioni di questa tecnologia, il processo di maturazione sarà ancora lungo. Vedremo applicazioni simili a quanto abbiamo sperimentato nel passato recente, magari con più diffusione, cioè, su scala ancora più grande. Per qualche predizione più precisa, rimando al libro di Nick Bostrom di Oxford, “Superintelligence” (tradotto anche in italiano) oppure a Martin Ford, autore di “Architects of Intelligence” (purtroppo ancora non tradotto in lingua italiana), in cui Ford parla con alcune tra le persone più impegnate nella ricerca e nello sviluppo di questa tecnologia”.

Oltre all’attività universitaria, lei è impegnato anche con Humanity 2.0. Di che si tratta?

Humanity 2.0 è una fondazione senza scopo di lucro che ho fondato insieme ad altri tre luminari. Cerchiamo di identificare gli ostacoli alla crescita umana (che in inglese si chiama “Human flourishing”), e promuoviamo riflessioni e iniziative per superarli. Abbiamo promosso alcuni Forum, anche in Vaticano, in cui abbiamo coinvolto alcune persone chiave per discutere di queste tematiche, approfondendo per esempio l’etica delle tecnologie. Quest’ultimo anno è stato molto difficile per causa del Covid-19, ma stiamo già programmando convegni e programmi per l’estate 2021.”

Qualche anno fa, in un incontro a porte chiuse con l’allora vicepresidente di Google, gli ho chiesto: “Che effetto fa essere il vicepresidente del mondo?” Ecco, lei ha incontrato i grandi del digitale e della intelligenza artificiale. Che tipi umani ha trovato? Hanno a cuore solo il profitto o si rendono conto della responsabilità che deriva dalla loro posizione?

“Ho avuto la possibilità di conoscere alcuni leader nel mondo della tecnologia e della Silicon Valley. Continuo a cercare di dialogare con loro perché penso che siano loro a “formare” il futuro dell’umanità. C’è una frase celebre di Sheryl Sandberg, il Chief Operating Officer di Facebook che dice “Non lasciamo il futuro dell’umanità in mani di ragazzi che indossano ‘hoodies’”, che sono i maglioni con cappuccio, vestito tipico dei nerd che programmano software. In altre parole, dobbiamo essere coscienti dell’importanza del lavoro di questi sviluppatori che stanno lavorando sull’intelligenza artificiale e non abbandonarli a loro stessi, senza una guida di ordine etico.

La trovo una questione davvero importante. Non tutto quello che è tecnicamente possibile è di per sé moralmente e umanamente auspicabile o corretto. Ma tornando ai leader, che tipi sono?

Una persona che mi ha accompagnato tanto in questi anni è Carlo D’Asaro Biondo, che era il presidente di Google per Europa, Medio Oriente e Africa e adesso è diventato vice-presidente della TIM, Cloud division. Attraverso di lui ho conosciuto Eric Schmidt ed altri che hanno a cuore l’impatto etico e sociale della rivoluzione digitale. Sono convinto che ci siano molte persone eticamente sensibili a Silicon Valley, sebbene non tutti lo siano. Ovviamente, per queste grandi compagnie tecnologiche, il guadagno resta la motivazione principale, ma non è l’unico e nemmeno il più importante. Tae Yoo, attuale vice-presidente Cisco, è una persona splendida e membro del nostro Board of Advisors, come lo è anche Maurice Lévy, già Chairman della Publicis Group. Brad Smith, attuale presidente Microsoft e John Kelly III, vice-presidente IBM, il 28 febbraio hanno firmato il decreto “Call from Rome” con l’Arcivescovo Paglia, della Pontificia Accademia per la Vita. Bisogna continuare a creare ponti fra il nostro mondo e il loro.

Non crede che stiamo correndo il rischio di creare una società divisa in due? Da un lato coloro che possono e sanno beneficiare dello sviluppo digitale, dall’altro coloro che ne sono esclusi? Una nuova versione della divaricazione popolo/élite, che abbiamo visto in questi ultimi anni?

Certamente. È una tendenza che si sta aggravando e centri di studi come il Massachusetts Institute of Technology e il Center for Human Flourishing presso la Harvard University cominciano ad occuparsene seriamente. Il recente summit di Assisi, “L’economia di Francesco”, ha cercato di aumentare la nostra consapevolezza del fenomeno e di proporre qualche rimedio. Allo stesso tempo, conviene ricordare che di per sé la rivoluzione digitale ha aiutato tante persone avere un futuro migliore. Un mio amico in Ghana mi dice che mediamente ogni ghanese adesso possiede due telefoni cellulari. Non sempre questi mezzi vengono usati per arricchire la dignità della persona, ma non c’è dubbio che la presenza pressoché universale della rete è un fattore molto positivo. Tuttavia bisogna lavorare per diffondere un uso consapevole della tecnologia. Infine, da un punto di vista economico, troppe ricchezze nelle mani di pochi non è un fenomeno nuovo, ma oggi è preoccupante per la quantità delle risorse in mani a pochissime persone.

Lei da anni segue le implicazioni filosofiche del rapido sviluppo dell’intelligenza artificiale, e il suo ultimo libro, “Artificial Humanity”, tratta del significato filosofico dell’intelligenza artificiale. Come rendere questo tema “popolare”?

Il mio scopo è tradurre il linguaggio tecnico e alle volte oscuro della filosofia in termini che tutti possono capire. Questo è il tentativo del libro che lei segnala. Ho riscontrato molto interesse nel tema dell’intelligenze artificiale, soprattutto da una prospettiva filosofica. Alla Lateranense stiamo facendo corsi sul tema a diversi livelli, anche con ragazzi dei licei di Roma che partecipano nei programmi di orientamento. La straordinaria ricchezza della tradizione filosofica in occidente può illuminare in maniera profonda le grandi tematiche di oggi. Voglio ampliare l’offerta formativa in questo senso, perché sto trovando molto interesse da più parti, non solo nell’accademia, ma anche nel mondo del lavoro, con le aziende.

In conclusione, mi sembra che per lei politica ed era digitale, Chiesa e società digitale siano polarità conciliabili. La sento ottimista.

Certamente sono conciliabili. Dobbiamo lavorare insieme, ciascuno nel suo campo e con la metodologia appropriata. Il tema delle tecnologie è troppo urgente e importante per tutti, e non possiamo continuare a lavorare separatamente, o addirittura gli uni contro gli altri. Siamo testimoni a delle forme nuove di collaborazione fra Stato e Chiesa, e tra la politica e il mondo delle imprese. Bisogna proseguire su questa strada, non solo organizzando convegni e workshop, ma anche trovando modi concreti di collaborazione tra le diverse persone coinvolte. Ci vuole tempo, attenzione, studio, pazienza, capacità di dialogo, come del resto è sempre avvenuto nella storia di noi esseri umani. Le tecnologie cambiano, la nostra essenza rimane immutata.

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Antonio Palmieri
Antonio Palmieri

Antonio Palmieri, fondatore e presidente di Fondazione Pensiero Solido. Sposato, due figli, milanese, interista. Dal 1988 si occupa di comunicazione, comunicazione politica, formazione, innovazione digitale e sociale. Già deputato di Forza Italia

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