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Emanuele Calà (Aeroporti di Roma): l’innovazione si salva se veloce e collegata al business



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Portare valore al business in tempi brevi. Così, secondo il Vicepresident Innovation & Technology di ADR Emanuele Calà, “l’innovazione smette di essere il primo budget da tagliare”. I tre anni dell’Innovation Hub di Fiumicino: il 50% dei PoC diventa una soluzione utilizzata

Pubblicato il 5 dic 2025



Emanuele Calà, ADR

La conversazione con Emanuele Calà comincia con l’aria che tira sui budget dell’innovazione. I Chief Innovation Officer si sentono sempre più spesso rivolgere questa domanda: perché dobbiamo fare questi investimenti in innovazione? Come li giustifichi? E si trovano quindi a dover difendere i budget dai tagli quando il contesto diventa più prudente. Come farlo?

Emanuele Calà, Vice President Transformation & Technology di Aeroporti di Roma, sostiene che la risposta stia in un modello molto concreto: legare in modo sistematico le attività di innovazione al business, misurando l’impatto e portando rapidamente a terra i progetti che funzionano.

È il metodo adottato in Aeroporti di Roma, che nel 2022 ha inaugurato un Innovation Hub all’interno dell’aeroporto di Fiumicino che, in breve tempo, è diventato il fulcro di una trasformazione più ampia, un modello di riferimento a livello internazionale.

In questa intervista con EconomyUp Emanuele Calà racconta come è nato l’Innovation Hub, come si è evoluto il modello di innovazione e quali risultati ha ottenuto.

Abbiamo lanciato il nuovo modello di innovazione nel momento in cui avevamo zero passeggeri

In un momento in cui molte aziende stanno riducendo gli sforzi sull’innovazione, voi continuate a investire. Come siete riusciti a evitare i tagli ai budget?

Siamo sempre andati un po’ in controtendenza. Abbiamo lanciato il nuovo modello di innovazione durante la pandemia, che per un aeroporto voleva dire praticamente zero passeggeri e zero ricavi. Investire in innovazione in quel periodo dà la misura della lungimiranza del nostro top management e dei nostri azionisti rispetto al ruolo strategico dell’innovazione.

Oggi, in una fase in cui vediamo un atteggiamento più conservativo sul mondo innovation, noi non stiamo rallentando, anzi, quasi rilanciamo. Il motivo è semplice: vediamo i risultati. Quando parlo di un conversion rate del 50% tra proof of concept e soluzioni effettivamente implementate, vuol dire che non abbiamo portato in produzione i progetti “perché ci andava”, ma perché c’erano KPI positivi e un business case solido che ha convinto il Comitato Innovazione e l’azienda a proseguire. È questo che garantisce stabilità alle risorse e ai budget.

L’Innovation Hub è dentro al terminal di Fiumicino per evitare la torre d’avorio

ADR era un classico gestore di infrastrutture. Oggi vi definite anche un laboratorio di innovazione. A che punto siete di questo percorso?

R. In ottobre abbiamo celebrato i tre anni dell’Innovation Hub, inaugurato nel 2022. Lo abbiamo festeggiato nel modo migliore, perché in occasione del 65esimo anniversario di Aeroporti di Roma abbiamo avuto la visita del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella proprio nel nostro Hub.

Il presidente Sergio Mattarella in visita all’Innovation Hub di Fiumicino fra Marco Troncone,
presidente di Aeroporti di Roma, e Alessandro Benetton, vicepresidente Mundys

L’Innovation Hub è il fulcro di tutte le attività di innovazione di ADR. È fisicamente dentro il terminal: a livello europeo è un unicum e probabilmente uno dei pochissimi casi al mondo. Lo abbiamo fatto apposta per evitare l’effetto “torre d’avorio”, l’innovazione che parla di agenti AI, robotica, automazione, ma resta scollegata dalle esigenze del business.

Mettere l’Hub dentro l’aeroporto è il simbolo del nostro modo di lavorare: una struttura di innovazione centrale che lavora fianco a fianco con le linee di business. E non è solo un tema di immagine: significa che i team operativi passano, vedono, portano problemi e opportunità reali, e insieme costruiamo le soluzioni.

Un aeroporto è una smart city sotto stress: per le startup rappresenta un laboratorio unico

Il vostro è anche un modello di open innovation molto intenso. Che cosa avete costruito attorno alle startup e quali risultati avete ottenuto finora?

In pochi anni abbiamo lanciato quattro call dirette di ADR per startup, più una call congiunta con il network che abbiamo creato, l’Airports for Innovation Network, che coinvolge dieci gestori aeroportuali di tutto il mondo. È un unicum per il nostro settore: senza intermediazioni, senza terze parti, abbiamo lanciato una call globale con aeroporti di tutto il mondo.

Complessivamente, con queste quattro call, abbiamo ingaggiato più di 1.500 startup e oltre 40 hanno partecipato ai nostri programmi di accelerazione. Considerando che abbiamo iniziato a operare in modo strutturato sull’innovazione solo tre-quattro anni fa, è un volume molto significativo.

Il dato chiave, però, è il conversion rate: circa il 50% delle soluzioni testate nel nostro Innovation Hub viene effettivamente implementato. Parliamo di 18 soluzioni portate a terra su quasi 40 PoC. A volte l’implementazione avviene con la stessa startup, altre volte attraverso gare di procurement in cui quel lavoro viene valorizzato in modo trasparente. Ma il punto è: il test non resta fine a sé stesso.

Perché le startup vengono a Fiumicino? Che cosa trovano di diverso rispetto ad altri ecosistemi?

Alla fine il nostro aeroporto è una città, una media città italiana: tra passeggeri e lavoratori ogni giorno abbiamo quasi 200.000 “cittadini”. Ci sono strade, parcheggi, negozi, ristoranti, hotel, pronto soccorso, impianti di cogenerazione elettrica, una solar farm, sistemi di sicurezza… ogni aspetto tecnologico e innovativo può essere testato in un contesto reale.

Questo fa sì che startup da Giappone, Silicon Valley o Medio Oriente vengano a Roma per testare le loro soluzioni in un ambiente che è una Smart City stressata, attiva 24 ore su 24, 365 giorni l’anno, con livelli di regolazione e complessità molto elevati.

In più, ADR ha un brand forte: siamo da otto anni consecutivi miglior aeroporto in Europa e uno dei 12 aeroporti al mondo con il massimo rating a cinque stelle di Skytrax. Non siamo Y Combinator, ci mancherebbe, ma se esci dal programma di accelerazione di ADR e la tua soluzione viene sviluppata qui, hai un volano importante per contratti successivi nel mondo dell’industria aeronautica e non solo.

Innovation Cabin Crew: 25 persone che tengono collegati business e startup

Un tasso di conversione al 50% non arriva per caso. Come funziona, dietro le quinte, il vostro modello di governance dell’innovazione?

Il punto di partenza è evitare che l’innovazione segua solo i trend del mercato. Per questo abbiamo creato una struttura centrale di innovazione che lavora insieme alle linee di business tramite quello che chiamiamo Innovation Cabin Crew: 25 colleghi che rappresentano le diverse funzioni aziendali. Continuano a fare il loro lavoro, ma dedicano parte del loro tempo a intercettare esigenze e opportunità che emergono dal day-by-day operativo.

Queste esigenze vengono portate al team Innovation, che esplora il mercato – principalmente attraverso le call per startup – per trovare soluzioni da testare. Il Comitato Innovazione, presieduto dal nostro amministratore delegato e con tutte le strutture aziendali al tavolo, definisce gli obiettivi top-down e governa il processo. Noi, bottom-up, portiamo un innovation plan coerente, che il Comitato approva e monitora.

Questo meccanismo spiega molto bene il nostro 50% di conversione: sin dall’inizio ci chiediamo con le linee di business che cosa “serve davvero”. Così evitiamo il rischio di rigetto quando la soluzione è pronta.

Un approccio quasi da CFO: matrice impatto–maturità e ritorni misurabili

Hai citato più volte il tema dei numeri. In che modo li usate per decidere dove investire?

Se devo sintetizzare, la chiave del nostro modello è aver adottato un approccio quasi da CFO, molto data driven che arriva anche dal mio passato di controller. Quando siamo partiti la prima cosa che abbiamo fatto è stata una ricognizione delle esigenze e dei bisogni delle linee aziendali. Ogni anno aggiorniamo l’innovation plan andando a chiedere a tutte le funzioni quali sono le loro priorità.

Ogni esigenza viene trasformata in una progettualità e ogni progetto viene valutato e inserito in una matrice sviluppata su due assi: impatto dell’iniziativa e maturità. La maturità a sua volta viene scomposta in diversi driver: l’entità dell’investimento, l’impatto organizzativo, la maturità tecnologica.

Alla fine, mettiamo una X e una Y su un grafico: i progetti in alto a destra – alto impatto e buona readiness – vengono messi in priorità e sviluppati. Questo processo quantitativo ci ha permesso di avere, negli anni, un ritorno dell’innovazione chiaro e puntuale per l’azienda. Ed è uno dei motivi per cui oggi non soffriamo quei ripensamenti o quei tagli che vediamo altrove.

Transformation lega innovazione, IT e business: il problema non è il PoC, è il post-PoC

Che cosa avete imparato in questi tre anni di Innovation Hub e come si è evoluta l’organizzazione?

L’evoluzione principale è stata organizzativa. Abbiamo rivisto il modello creando un’area che si occupa anche di trasformazione. All’interno della struttura che coordino abbiamo integrato l’anima IT e l’anima innovation, e creato un nuovo ruolo: la Transformation.

Oggi non esiste un progetto trasformativo senza tecnologia. La tecnologia non può essere più la “ruota di scorta” di un progetto, ma ne fa parte fin dall’inizio del processo decisionale. La linea di business conosce perfettamente il proprio mondo, ma non sempre è consapevole di tutti i potenziali miglioramenti derivanti da tecnologie complesse come l’AI ad esempio.

Avere tecnologia e innovazione a bordo fin dalla fase embrionale ci permette di ottenere il meglio da ogni progetto. La funzione Transformation usa le due leve – innovazione e tecnologia – e cementifica il rapporto con le linee di business soprattutto nella fase dal PoC al roll out.

Una delle cose che abbiamo imparato è che il problema non è il PoC in sé, ma il post-PoC: il rischio di dover riprendere il progetto, fare rework, perdere tempo. Con Transformation integriamo meglio test e implementazione, rendendo più fluido il passaggio dalla sperimentazione alla produzione.

ADR Ventures è un CVC industriale: smart money per accelerare le soluzioni strategiche

Avete anche creato anche un corporate venture capital, ADR Ventures. Che ruolo gioca nel vostro modello?

ADR Ventures nasce proprio per agevolare i programmi innovativi di ADR SpA. È una società veicolo controllata al 100% da ADR, ma non ha obiettivi di capital gain: non è un fondo che punta prima di tutto al rendimento finanziario.

L’obiettivo è rendere ADR più attrattiva per le startup e, soprattutto, ottenere le soluzioni industriali giuste in modo più rapido e più customizzato. Il rischio del CVC, a volte, è “soffocare” la startup legandola troppo a una sola azienda. Noi cerchiamo l’esatto opposto: se lavori con un aeroporto a cinque stelle e migliori il tuo prodotto, il tuo prodotto si posiziona meglio anche nel resto del mercato.

Finora abbiamo effettuato quattro investimenti complessivi, con ticket di minoranza sotto il 10% del capitale, su startup che già lavorano o possono lavorare con ADR. Sono spesso round di serie B o C, quindi su startup con una maturità adeguata a reggere la complessità di un processo aeroportuale h24. Gli importi non li comunichiamo, ma sono smart money: oltre al capitale mettiamo a disposizione know-how e contesto operativo, per aiutarle a crescere.

Assaia, dall’Innovation Hub all’investimento: come cambia il turnaround degli aerei con l’AI di una startup

Puoi citare un caso concreto in cui si vede l’intero percorso, dall’Innovation Hub all’investimento?

L’esempio che mi piace fare è quello di Assaia, una startup svizzera che ha sviluppato un tool di intelligenza artificiale per il monitoraggio delle attività di turnaround dell’aeromobile. Ha partecipato al nostro programma di accelerazione, abbiamo fatto una PoC nell’Innovation Hub, poi un roll out operativo e infine ADR Ventures è entrata nel capitale.

La soluzione monitora tutto quello che avviene quando un aeromobile arriva in piazzola: sbarco dei passeggeri, scarico bagagli, operazioni di servizio, e poi l’imbarco, fino alla ripartenza. Prima questa attività veniva svolta a campione da un team di persone; con Assaia aumentiamo in modo significativo la nostra consapevolezza su ciò che accade al gate.

Non si tratta di sostituire le persone: ci permette di togliere loro attività a minor valore aggiunto e reimpiegarle su compiti più qualificati. L’aumento della consapevolezza operativa impatta su puntualità, utilizzo del finger, percezione di qualità da parte del passeggero. E abbiamo condiviso i dati con le compagnie aeree in logica di data sharing: è un vero tool collaborativo, oltre che un caso emblematico di come intendiamo AI e automazione.

Siamo in un “candy shop” tecnologico: servono focus e timing giusto

Se allarghiamo lo sguardo alla trasformazione di aeroporti e sistemi di trasporto, quali sono oggi i rischi e le opportunità principali?

Secondo me siamo in una fase che definirei quasi un “candy shop” dal punto di vista tecnologico: tante soluzioni stanno raggiungendo un livello di maturità che le rende implementabili su larga scala. Questo è un bene, ma aumenta la complessità delle scelte.

Il primo rischio è il “mal di pancia” da indigestione: investire in tecnologie che poi non soddisfano le esigenze del business. Per evitarlo bisogna avere chiarissimi bisogni e opportunità, prima ancora di innamorarsi di una soluzione.

Il secondo tema è il timing. La complessità, per un’azienda, è capire quando fare l’investimento e costruire un piano che non venga sminuito dall’evoluzione tecnologica. Faccio l’esempio dell’AI: un anno e mezzo fa di agentizzazione si parlava molto meno. Un’azienda avrebbe potuto investire “all in” su un set di soluzioni che sembravano il massimo, salvo scoprire poco dopo che con un abbonamento a un servizio cloud puoi ottenere risultati simili o migliori con un modello as-a-service.

Infine, c’è la gestione delle aspettative: rispetto ad altre ondate tecnologiche, oggi i clienti sono già avvezzi all’AI generativa nella loro vita quotidiana. Questo crea un hype fortissimo. Dietro, però, c’è una complessità tecnica che non si vede e che dobbiamo governare con prudenza, soprattutto in un contesto come il nostro: quest’anno supereremo i 50 milioni di passeggeri. Se usando l’AI do un’informazione sbagliata anche solo allo 0,1% dei passeggeri, parliamo di migliaia di persone.

Per questo siamo estremamente orientati all’innovazione – in particolare all’intelligenza artificiale – ma lavorando molto bene su tutta la filiera: dataset, processi, controlli, knowledge base. Prudenza oggi significa farsi trovare pronti quando arriva la “finestra giusta” e, a quel punto, saper agire in modo veloce e deciso.

Innovazione come leva, non come fine: così si difendono i budget

Se dovessi sintetizzare in poche parole il vostro modo di “giustificare” l’innovazione e gli investimenti che richiede, quale sarebbe il messaggio?

Direi che la chiave è considerare l’innovazione una leva, non un fine. Noi non misuriamo il successo sul numero di startup incontrate o di PoC avviati, ma sul valore generato: conversione dei progetti, miglioramento dei KPI operativi, ritorno misurabile per l’azienda.

Questo è possibile solo se metti insieme alcuni ingredienti: un Innovation Hub che vive dentro l’operatività, non in una torre d’avorio; un modello di governance che mette al centro il business; un approccio da CFO, data driven, alla selezione dei progetti; una funzione di Transformation che assicura il passaggio dal PoC al roll out; e un CVC industriale che ti permette di accompagnare nel tempo le startup più strategiche.

Quando questi pezzi sono allineati, l’innovazione smette di essere “il primo budget da tagliare” e diventa una delle leve più concrete per costruire l’aeroporto del futuro.

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