L’INTERVENTO

Dazi USA, l’Europa sta negoziando il passato e perdendo il futuro: tre azioni strategiche necessarie



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Bruxelles ha una posizione difensiva: proteggere l’esistente. Washington è impegnata a dettare le regole del gioco che verrà, a partire dall’AI. Una spinta propulsiva alla UE può arrivare da Est

Pubblicato il 5 ago 2025

Lorenzo Maternini

CEO di Perspective AI



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Si discute molto dell’approccio timido dell’Europa nell’affrontare la nuova fase geoeconomica imposta dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump con i dazi USA sui prodotti europei. Per decretare un vincitore bisognerà aspettare gli indici economici nei prossimi mesi, forse anni, ma sicuramente il grado di impreparazione con cui il Vecchio Continente si prepara ai nuovi contesti appare evidente.

Dazi USA, l’Europa combatte in difesa del passato

L’Europa sta affrontando l’attuale fase negoziale con gli Stati Uniti adottando un approccio interamente difensivo. La sua incapacità di disegnare una direzione al proprio futuro, la fa combattere solo in difesa del suo passato. L’orgoglio europeo si basa su quello che eravamo, che ora non siamo più e non su quello che vogliamo diventare. Qui sta la grande differenza tra USA, Cina ed Europa. Loro sanno dove vogliono arrivare (o tornare ad essere nel caso degli USA), l’Europa no.

L’attenzione delle Istituzioni europee si concentra quasi esclusivamente sulla protezione dell’industria esistente, sulle deroghe, sugli aggiustamenti temporanei, sui dazi USA e sulle misure compensative. Ma così facendo si rischia di combattere la battaglia sbagliata.

Il vero obiettivo della strategia americana non è semplicemente contenere l’export europeo o ridefinire gli equilibri commerciali; è impedire all’Europa di proporre un proprio modello tecnologico per il futuro. Mentre Bruxelles si preoccupa di preservare ciò che resta del suo apparato produttivo, Washington guarda a come dettare le regole del gioco che verrà.

La competizione su AI e standard tecnologici

Si tratta di una competizione sulla scrittura degli standard, sull’infrastruttura normativa e tecnologica che orienterà l’industria globale nei prossimi decenni. L’intelligenza artificiale non è solo una nuova tecnologia: è l’infrastruttura di base su cui si svilupperanno le industrie o crescerà la nuova knowledge base industriale. E’ la corrente elettrica per utilizzare forse il paragone più simile.

Anche qualora le nostre PMI riuscissero a resistere alla pressione commerciale, come spesso hanno dimostrato di saper fare, ci si deve chiedere quale potrà essere il loro margine competitivo futuro se obbligate a operare secondo schemi pensati per il mercato nordamericano. L’adozione di standard industriali e digitali estranei al nostro tessuto economico rischia di soffocare qualsiasi vantaggio competitivo, specialmente in ambito export e manifatturiero.

Nonostante la supremazia evidente delle tecnologie USA o Cinesi l’Europa può giocarsi ancora una partita, proprio nell’adattare questi modelli tecnologici ad un proprio standard, un proprio know-how.

Tre cose che l’Europa dovrebbe fare per il futuro

Cosa dovrebbe dunque fare l’Europa per rientrare nella competizione tecnologica riaffermando una propria traiettoria di sviluppo e un proprio standard industriale?

Tre azioni, apparentemente semplici, ma strategicamente decisive:

1. Agire sulle architetture di Intelligenza Artificiale all’interno delle imprese: promuovere lo sviluppo e la brevettazione di nuove architetture di modelli LLM open source, progettate sulla base delle specifiche logiche di funzionamento delle imprese europee. Questo non solo creerebbe standard alternativi, ma genererebbe know-how diffuso a beneficio del nostro tessuto produttivo, in particolare delle PMI, offrendo strumenti adattivi e realmente competitivi.

2. Definire standard europei di interoperabilità: costruire regole comuni per integrare l’AI in contesti ad alta complessità come la sanità pubblica, la manifattura avanzata, la pubblica amministrazione. Ambiti in cui l’affidabilità, la trasparenza e la governance dell’AI contano quanto – se non più – dell’efficienza.

3. Adottare con criterio: utilizzare anche modelli linguistici di origine americana, ma incapsulandoli in interfacce europee dotate di auditabilità, tracciabilità e limitazioni d’uso conformi ai nostri valori democratici, giuridici e culturali.

Adattare i modelli statunitensi non significa subirli, ma domarli: riconfigurarli per rispondere alle esigenze dei nostri settori strategici e per riflettere un diverso equilibrio tra innovazione, diritti e sviluppo industriale.

Sicuramente la semplificazione dell’AI Act sembra un passo inevitabile. Ad oggi per le nostre imprese è impossibile adottare architetture di AI innovative senza andare in deroga al complessissimo regolamento europeo.

Tornando quindi alle negoziazioni con Trump, l’Europa sta fissando il dito – i dazi USA, le regole, le intese bilaterali – mentre la luna si allontana: un mondo in cui l’Europa non sarà protagonista dell’innovazione, ma un’area di adozione passiva di modelli e tecnologie concepite altrove.

Ricerca e innovazione, il disallineamento sulla visione strategica

Ancora più grave è il disallineamento sulla visione strategica della ricerca e dell’innovazione. Un tempo l’Europa era culla della ricerca fondamentale, grazie a un sistema universitario e accademico tra i più antichi, densi e vitali del mondo. I fisici dei primi del 900 erano delle star pari agli attori di Hollywood di oggi. Ma oggi la nostra capacità di essere frontiera dell’innovazione sembra erosa. Le nostre università, i nostri centri di ricerca, i nostri talenti, sono costretti a rincorrere modelli esterni, senza una cornice europea capace di proteggerli e rilanciarli.

La partita, dunque, non si gioca sul presente. Su quel piano gli aggiustamenti arriveranno, come sempre accade in economia: nessuno ha interesse al collasso dell’Occidente. La vera posta in gioco è il futuro. E su quel terreno – quello della visione, della capacità di immaginare e costruire scenari alternativi: in questo l’Europa sta perdendo.

L’Europa che guarda avanti è nei Paesi dell’Est

Ciò che manca oggi è un’Europa capace di narrare se stessa.

L’Unione nata come progetto politico e valoriale si è via via ridotta a una matrice di norme economiche, vincoli finanziari e decisioni di compromesso. I suoi leader sembrano più regolatori che visionari, più tecnocrati che costruttori.

Eppure, un’Europa che guarda avanti esiste. Non si trova nei corridoi delle grandi capitali, ma nei Paesi dell’Est Europa, nazioni che, solo trent’anni fa, erano escluse dalla libertà d’espressione e dall’imprenditoria autonoma, e che oggi si propongono come veri e propri laboratori di innovazione.

In Estonia, Lettonia e soprattutto Lituania, si osserva una spinta propulsiva unica: non solo verso la digitalizzazione, ma verso una visione politica dell’innovazione come leva di libertà, sicurezza e crescita sociale. Sono Paesi che conoscono il valore della libertà perché l’hanno conquistata – e proprio per questo non intendono restare spettatori della storia. La Lituania, in particolare, è tra i primi Paesi europei ad aver lanciato una sandbox regolatoria dedicata all’intelligenza artificiale, per testare soluzioni innovative in un contesto normativo protetto, in linea con l’attuazione dell’AI Act europeo.

Europa dell’Est e sud-orientale: perché è qui la nuova frontiera della UE

L’ecosistema startup lituano conta oggi oltre 800 realtà attive, per una valutazione complessiva di 16 miliardi di euro (una crescita di 39 volte rispetto al 2014), con aziende come Vinted, Nord Security e Bored Panda già affermate nel panorama globale. Secondo Dealroom, la Lituania è il Paese con la crescita più rapida dell’Europa centro-orientale.

Certo, in valori assoluti, il distacco dai Paesi dell’Europa centro-occidentale è ancora evidente. Ma la curva di crescita dell’Est è oggi molto più interessante.

Uno dei vantaggi competitivi strutturali è il rapporto tra costo del lavoro e qualità dei talenti altamente specializzati in AI, che rende questi territori particolarmente attrattivi sia per grandi gruppi internazionali che per startup in fase di scaling.

Una traiettoria simile, e forse ancora più promettente, si osserva anche nell’Europa sud-orientale. La Bulgaria, ad esempio, si distingue per l’alta densità di startup e per il valore complessivo degli investimenti: ben 13 unicorni nell’area SEE (South Eastern Europe), di cui 5 solo in Bulgaria. Tra il 2019 e il 2023, l’intera regione ha attratto oltre 4 miliardi di euro in investimenti venture capital. Anche la Grecia mostra segnali significativi: con circa 188 aziende attive nell’ambito dell’intelligenza artificiale nel 2024, si piazza seconda – dopo la Polonia – per numero di startup AI nell’Europa centro-orientale.

Forse, è proprio da est che può rinascere un’idea di Europa protagonista: un’Europa che non si accontenta di adattarsi, ma torna a proporre; che non si limita a difendere le proprie industrie, ma scommette di nuovo sulla propria capacità

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