TECNOLOGIA SOLIDALE

COP26, Stefano Epifani: il dovere di ragionare di sostenibilità digitale

La Fondazione per la Sostenibilità Digitale, di cui Stefano Epifani è presidente, ha fatto una ricerca sulla percezione degli italiani della relazione tra tecnologia digitale e sostenibilità ambientale. CI sono più ombre che luci….

Pubblicato il 15 Ott 2021

Startup e Sostenibilità

COP26, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, è alle porte. L’appuntamento è a Glasgow il prossimo 30 ottobre. La pre-COP, quella del bla-bla-bla di Greta, si è conclusa pochi giorni fa a Milano.
A cavallo tra questi due appuntamenti, la Fondazione per la Sostenibilità Digitale ha presentato la ricerca su come gli italiani percepiscono la relazione tra tecnologia digitale e sostenibilità ambientale. “Con i nostri dati vogliamo aiutare aziende e istituzioni a comprendere come sviluppare policy e strategie finalizzate a cogliere quella che, secondo le Nazioni Unite, è una sfida non più rimandabile”, mi dice il professor Stefano Epifani, presidente della fondazione.

È soddisfatto dei risultati della vostra ricerca sullo smart environment, caro Epifani? Gli italiani come la pensano a proposito di sviluppo sostenibile?

“La ricerca disegna un quadro fatto più di ombre che luci…”

…e non credo che sia per risparmiare energia elettrica…

“Lei fa battute “illuminanti”, caro Palmieri, ma io mi riferisco al fatto che se è vero che per il 74% degli intervistati le sfide del cambiamento climatico sono una priorità, tuttavia ancora un italiano su sei ritiene che tali problemi siano importanti, ma non prioritari”.

Se al 74% si unisce il 76% che considera l’inquinamento un problema importante non mi sembra che siamo poi messi così male…

“Aspetti. Tenga conto che solo per il 46% la sostenibilità ambientale è una priorità rispetto ad economia e società, e solo il 37% è davvero in grado di cogliere le correlazioni tra questi tre fattori e le conseguenze concrete delle posizioni ideologiche sulla sostenibilità.”

Intuisco che lei stia per dire che se si è poco consapevoli non ci possiamo attendere un cambiamento nei comportamenti quotidiani, cioè il luogo in cui ciascuno di noi può fare la differenza…

“Esatto. Proprio su questo si sviluppa nei dettagli la ricerca, che non mostra un reale cambiamento nei comportamenti dei cittadini, soprattutto in relazione al ruolo del digitale.”

Mi faccia qualche esempio…

“Solo il 19,6% degli italiani fa uso regolare di elettrodomestici intelligenti. Le lampadine controllabili tramite assistenti vocali sono adoperate dal 16.4%, gli impianti di riscaldamento e climatizzazione gestibili da remoto dal 12%, i termostati intelligenti dal 15,5%.”.

Stefano Epifani

Ho il sospetto che le applicazioni legate alla domotica abbiano ancora un costo troppo elevato. E per quanto riguarda la gestione dei rifiuti, come siamo messi?

“Le applicazioni per la gestione dei rifiuti sono usate regolarmente da un italiano su cinque. Le più adoperate sono quelle che forniscono indicazioni ed assistenza per la raccolta differenziata (10.9%) e quelle implementate dai Comuni per la prenotazione del ritiro dei rifiuti ingombranti (10.4%), oltre ai sistemi per la prenotazione dell’accesso alle isole ecologiche (6.6%).”

Veniamo al tema digitale. In metropolitana a Milano vi è la pubblicità di una app contro lo spreco alimentare ed essa afferma che combatterlo è il primo modo per migliorare la salute del pianeta. La ricerca offre dati al riguardo… 

“Grazie ad alcune app di grande successo, stanno prendendo piede sistemi per abbattere gli sprechi alimentari, utilizzati regolarmente da un italiano su dieci. Si va dalle app che monitorano la scadenza dei prodotti a quelle dedicate allo scambio o alla vendita di prodotti prossimi alla scadenza (in entrambi i casi utilizzate dal 5.3% degli intervistati), passando per frigoriferi e dispense smart (5.1%).”

Ultima curiosità. I nostri dispositivi digitali sono energivori. Cosa ne pensano gli italiani? Se ne rendono conto?

“La ricerca analizza la percezione dell’impatto ambientale dei servizi digitali, confrontando il consumo effettivo di alcuni strumenti digitali con quello che gli utenti pensano che tali strumenti consumino. Anche in questo caso i risultati sono particolarmente interessanti: per il 51% degli intervistati l’impatto in termini energetici del digitale è “abbastanza forte”, tuttavia solo il 22.8% di essi sa stimare correttamente quanto forte sia effettivamente tale consumo, mentre gli altri hanno una percezione di un impatto energetico del digitale più basso di quanto non sia in realtà.”.

Quindi percepiamo che il digitale possa essere energivoro, ma non immaginiamo quanto…

“Proprio così. Da notare come tale difficoltà nel percepire il corretto consumo energetico degli strumenti e dei servizi digitali sia totalmente scorrelata da elementi come la competenza digitale dichiarata o il fatto che la tecnologia sia considerata come una opportunità o come una minaccia. Competenti o meno, abbiamo una scarsissima consapevolezza dell’impatto energetico del digitale”.

Direi che siamo alle solite. Vi è scarsissima consapevolezza dei rischi, ma anche delle opportunità che la digitalizzazione porta con sé per la sostenibilità ambientale…

“…vi è molto da fare, per le aziende e per le istituzioni. Abbiamo tutti il dovere di ragionare di sostenibilità digitale, chiedendoci come utilizzare le tecnologie digitali non soltanto perché siano rispettose dei criteri dettati da Agenda 2030, ma affinché rappresentino uno strumento attivo per perseguire gli obiettivi dell’Agenda.”.

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Antonio Palmieri
Antonio Palmieri

Antonio Palmieri, fondatore e presidente di Fondazione Pensiero Solido. Sposato, due figli, milanese, interista. Dal 1988 si occupa di comunicazione, comunicazione politica, formazione, innovazione digitale e sociale. Già deputato di Forza Italia

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