Nuove frontiere
Chatbot, perché potrebbero non funzionare per parlare con i clienti
Diverse aziende stanno già utilizzando i software di intelligenza artificiale per il customer care, dalla Cnn alla Bank of America. Ma secondo Arun Uday, ex venture capitalist e oggi imprenditore, spesso non sono convenienti e hanno numerosi punti deboli. Vediamo quali
di Luciana Maci
20 Lug 2016

►Cosa sono i chatbot, come verranno usati dalle aziende e perché distruggerano le app
►La bot-mania – In questi ultimi mesi osservatori, esperti del settore e collaboratori di testate tecnologiche si sono pronunciati sul fenomeno emergente dei chatbot. Molti ne hanno riferito in termini entusiastici. Secondo Wired Usa, “le conversazioni possono fare cose che la tradizionale GUI (graphical user interface), interfaccia utente grafica, non può fare”. TechCrunch è lapidario: “Dimenticatevi le app, adesso vincono i bot”. Il creatore di Fin, bot per l’assistenza virtuale, ritiene che i chatbot siano “un nuovo paradigma verso il quale si muoveranno tutte le app”. “Le persone – incalza David Marcus, capo di Facebook Messenger, che ha lanciato i suoi chatbot ad aprile scorso – non vogliono un’app per ogni singola azienda con la quale interagiscono: un messaggio all’interno di un fumetto ben disegnato è un’esperienza molto più gradevole di un’applicazione”.
►L’interesse delle aziende – Per questi motivi già diverse aziende nel mondo si stanno muovendo o si sono mosse per integrare i chatbot nella propria attività. Attualmente sono circa una ventina le società che hanno intenzione di usare – o stanno già usando – la piattaforma di Messenger per interagire con i clienti attraverso chatbot. Tra queste ci sono eBay, Burger King e la Cnn. Ma la vera sorpresa è la Bank of America, antichissima istituzione finanziaria (peraltro fondata da un oriundo italiano, Amadeo Peter Giannini) che ha annunciato l’intenzione di adottare l’innovativa tecnologia per aiutare i clienti “a restare connessi con le loro finanze ogni volta che vogliono e da dove vogliono”.
►Gli interrogativi – Il vero problema è se i chatbot sono al momento in grado di esaudire veramente qualsiasi reale necessità dell’utente. Arun Uday, ex venture capitalist e oggi founder di Tring Chat, un’app

►E se i chatbot fossero inadatti al customer care? – Secondo diversi esperti le aziende che potrebbero avere maggiore interesse ai chatbot sono le società con un reparto di customer care. I piccoli “segretari automatizzati” potrebbero svolgere alcuni dei compiti attualmente eseguiti dai call center o dal personale addetto ai rapporti con la clientela. Ma funzionerà? “Tutte le esperienze suggeriscono esattamente l’opposto” afferma Arun Uday. “Quando un cliente ha un problema, è più probabile che voglia evitare la risposta automatica e rivolgersi a una persona in carne e ossa che lo aiuti a risolverlo, non a una chat dotata di un bot semi-intelligente che fornisce alcune risposte prefissate”. A suo dire i campi nei quali i bot possono essere utilizzati in modo efficace sono la personalizzazione, l’intelligence discovery e la realtà aumentata. In realtà l’imprenditore è convinto che, dissipata l’iniziale euforia, l’ecosistema delle chat, col tempo, farà emergere soluzioni reali a problemi reali. In definitiva il suo slogan è “I chatbot sono morti alla nascita, viva i chatbot!”. Drastico e vagamente provocatorio. Ma è comunque un punto di vista.