Open innovation
Carl Wiese (Blackberry): «L’innovazione? Se non riusciamo a farla, la compriamo»
«Possiamo sviluppare all’interno, acquistare o stringere partnership: dipende dalla tecnologia» dice il President Global Sales della società che sta cambiando pelle: più incentrata su mobile security e Internet delle Cose. Grazie anche a una raffica di acquisizioni di startup e aziende
di Luciana Maci
Pubblicato il 19 Nov 2015

Perché le acquisizioni? Preferite prendere tutto all’esterno invece di sviluppare all’interno?
In realtà alcune di queste società sono chiaramente complementari a quello che già sappiamo fare. Per esempio noi riteniamo di avere il migliore Mdm (Mobile Device
Nel mirino delle acquisizioni ci sono anche startup?
Abbiamo acquistato vari tipi di società: alcune startup che già fatturavano, ma anche aziende in fase più avanzata e altre ancora che esistevano da una quindicina di anni. Alcune avevano una cinquantina di impiegati, altre, come l’ultima, Good Technology, un migliaio.
Ha parlato di R&D. Quanto è importante la ricerca per BlackBerry?
È vitale, soprattutto nella mobile security: è la strada più importante per arrivare sul mercato. Se non progredisci, sei morto: sei praticamente obbligato a continuare ad innovare. E noi oggi siamo tra le company più innovative al mondo.
Non era così qualche anno fa.
Prima dell’arrivo di John Chen la società stava combattendo al suo interno sulla strategia da scegliere. Chen ha ideato una strategia totalmente nuova e ora non c’è discussione su quale debba essere la strada da prendere.
Per sviluppare il vostro R&D avete in atto, o state pensando, a collaborazioni con università o centri di ricerca esterni?
Siamo in stretto collegamento in special modo con l’università canadese, dalla quale attingiamo expertise e talenti, in particolare per quanto riguarda il settore della security. D’altra parte va detto che le aziende crescono là dove è il talento. Molti pensano che Blackberry sia solo in Canada, dove in effetti siamo, e si sorprendono a scoprire che abbiamo diverse centinaia di persone anche in Silicon Valley. Abbiamo un centro di R&D ad Austin, in Texas. In una parola: siamo globalizzati. Giusto per fare un esempio: molti credono che io lavori in Canada, ma non è così, ci vado ogni due o tre mesi, tutto qua. Noi siamo dove è il talento e dove è il mercato. È una Blackberry molto diversa da quella che la gente era abituata a conoscere.
In Italia avete qualche progetto con startup?
Per il momento no. Stiamo valutando alcune partnership con startup locali, ma se ne parlerà il prossimo anno. Certamente molte delle alleanze che stringiamo hanno una natura internazionale, ma in ogni caso siamo disponibili ad operare nel mercato italiano. A proposito di partnership internazionali, abbiamo collaborato con Samsung, con Google…Questa è un’altra innovazione che abbiamo realizzato in Blackberry: in passato l’azienda faceva tutto da sola, adesso siamo molto più orientati verso le partnership. Se vogliamo sviluppare, lo facciamo, ma possiamo anche decidere di comprare o stringere una collaborazione: dipende dalla tecnologia.
Qualcuno sostiene che, con l’open innovation, il nemico diventa partner. Condivide?
Assolutamente sì. Noi parliamo di coo-petion (mix tra competition, competizione, e collaboration, collaborazione, ndr). Molti soggetti che si considerano concorrenti sono poi costretti a stringere alleanze per approdare sul mercato. Questo avviene soprattutto nel mercato dei device. Quanto a noi, non posso dire che alcuni player non siano nostri competitor, certo che lo sono, ma dobbiamo confrontarci con loro in modo che possiamo gestire i dispositivi da una ‘prospettiva software’. Penso a Microsoft: dobbiamo lavorare con loro, perché i clienti si aspettano di essere over-connected, condividere link e scambiarseli.
Lo scorso giugno il Ceo Chen ha detto che l’azienda era al lavoro su uno smartphone anti-batteri pensato per medici e infermieri. Sono anche queste le innovazioni che intendete perseguire?
Abbiamo almeno due aree sulle quali stiamo lavorando: una è certamente il settore sanitario. Il nostro approccio è: “Come possiamo aggiungere valore a quello che stanno facendo gli operatori sanitari?”. Siamo dunque interessati a capire come possiamo ‘proteggerli’, in una prospettiva di security, e secondariamente come possiamo contribuire a migliorare le loro prestazioni lavorative in termini di ambiente mobile. Il secondo campo sul quale siamo intenzionati a puntare è l’Internet of Things, un settore di enorme portata innovativa. Non siamo ancora pronti a parlarne ma lo stiamo valutando e ci stiamo attrezzando. In questo momento abbiamo 16 milioni di automobili connesse a un dispositivo Blackberry. Non l’abbiamo pubblicizzato molto ma è un fatto. Questa dimostra la nostra capacità di ‘connettere’, anche al di là delle auto. L’Iot sta andando molto al di là di smartphone e tablet, si sta estendendo ai wearable e alle automobili. Una delle cose che le persone temono di più riguardo all’implementazione dell’Internet delle Cose è il rischio per la sicurezza dei dati. Noi ci occupiamo di come i dati possano essere gestiti in totale sicurezza. L’Iot è decisamente uno dei principali focus dell’azienda: non il principale, ma è estremamente rilevante. È qualcosa che si affermerà nei prossimi 3-5 anni. E noi saremo pronti. Inoltre il modo in cui affronteremo l’Internet delle Cose sarà molto differente dal nostro modello di business attuale. Sarà un approccio ecosistemico.
Nell’Internet of Things sono già attive molte aziende specializzate. Pensate di avere le competenze necessarie per entrare in questo mondo?
Ne abbiamo molte: basti pensare alla nostra capacità di costruire device. E quelle che non abbiamo le compreremo. Come ho detto all’inizio, è questa la nostra attuale strategia.