Scenari economici

Quantitative Easing, che cos’è e perché sarà inutile per la ripresa europea

Domani sarà un giorno importante nella storia di distruzione dell’integrazione europea: con buona probabilità la BCE deciderà l’acquisto di titoli di debito dei governi. Che servirà a poco se non ci sarà una corretta condivisione del rischio

Pubblicato il 20 Gen 2015

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Mario Draghi, presidente della BCE

Where’re the eyes, the eyes with the will to see
Where’re the hearts that run over with mercy
Where’s the love that has not forsaken me
Where’s the work that sets my hands, my soul free

Bruce Springsteen, We take Care of Our Own, 2013

Giovedì 22 gennaio 2015 sarà un giorno di importanza straordinaria nella storia recente di distruzione del processo di integrazione europea: con buona probabilità la BCE, nella persona del suo presidente Mario Draghi, annuncerà l’avvio del famoso Quantitative Easing (QE) che, nella fattispecie, assumerà la forma di Outright Monetary Transactions (OTM) cioè l’acquisto di titoli dei debiti dei governi dei paesi appartenenti all’Unione Economica e Monetaria (UEM), (quell’Unione che viene chiamata quasi sempre, con espressione oggettivamente sprezzante, ‘area euro’). Che l’iniziativa venga effettivamente annunciata il 22 gennaio o qualche settimana dopo non cambia il tema di questo articolo.

Oggi non intendiamo discutere della probabilità che l’OTM attivi in maniera misurabile circoli virtuosi di ri-avvio dell’economia reale, di consumi e investimenti nel settore privato (cosa nella quale tutte le misure precedenti hanno fallito). Oggi il tema è un altro: COME verrà condotta questa operazione? Quale sarà il criterio adottato per stabilire le proporzioni in cui gli acquisti verranno distribuiti tra i titoli di debito dei governi UEM? A quali condizioni la BCE li comprerà? Sarà rispondendo a questi quesiti che potremo dimostrare la nostra tesi: le politiche di austerità volute dai governi europei (tutti) hanno portato alla recessione e alla deflazione; il modo in cui questa operazione OTM verrà condotta costituirà il contributo maggiore espresso dal 2009 ad oggi alla distruzione del progetto europeo e al ritorno degli stati nazione. Come possiamo dirlo? Perché conosciamo già i termini generali dell’operazione.

Premessa
Il dibattito pubblico su ciò che la BCE ‘dovrebbe fare’ oggi è incentrato attorno a questa figura:

Attivo totale delle banche centrali, gennaio 2007 – gennaio 2015, dati settimanali (Prima settimana di gennaio 2007 =100)

Fonte: Federal Reserve e BCE, gennaio 2015

Fonte: Federal Reserve e BCE, gennaio 2015

La ripresa in Europa non c’è, si sostiene, perché la BCE non ha iniettato nel sistema economico (bancario, in realtà, ndr) liquidità sufficiente, come dimostra la divaricazione tra la linea rossa e la linea blu: reciprocamente, negli Stati uniti invece la ripresa c’è perché la FED sì che ha adottato una politica monetaria (non convenzionale) sufficientemente espansiva.

(Come ben sa chi segue www.scenarieconomici.com, noi riteniamo che questa tesi sia non solo erronea nel senso che erronea è la teoria che la sottende, ma rappresenta anche un falso storico: il QE statunitense avvenne contemporaneamente ad una politica di deficit federale crescente, e non a seguito di anni di bilanci pubblici in sostanziale pareggio come avverrebbe in UEM, cosa questa che fa tutta la differenza del mondo. Ma, lasciate che mi ripeta, non importa, non è di questo che parliamo oggi.)

1. Le modalità e le condizioni di acquisto di debito pubblico da parte della BCE
Si fa presto a dire ‘OTM’, o ‘acquisto di debito pubblico’, o ‘acquisto di buoni del tesoro’. E non sarebbe affatto grossolano dirlo in uno stato nazione, dotato di un suo governo (indebitato) e di una sua banca centrale (che opererebbe l’acquisto). Ben altro è il problema quando una BC intende comperare titoli di debito di diciannove (19!!) governi indebitati. Quali criteri adotterà? Nonostante quel che sostengono le anime belle, il criterio adottato non avrà a che fare con efficienza e tecniche se non in minima parte. Il criterio sarà stato selezionato sulla base di paradigmi politici.

1.1 Primo esempio: il paradigma Sdogati (nomi di fantasia, ovviamente)
Il principio da cui si muoverebbe in questo caso è che il disastro degli ultimi sette anni è dovuto al fatto che i politici hanno scelto che fosse il ‘libero mercato’ ad allocare le risorse e, nello specifico, a dare un prezzo al debito pubblico. Ricordiamo: quando si manifestò la crisi europea nelle sue forme specifiche? Quando i ‘mercati’ attaccarono il governo greco e la BCE guidata dal signor liberista Trichet li lasciò liberi di ordire il massacro. Sentiamo dire: “sarebbero bastati pochi miliardi per salvare la Grecia”. Non è vero: la BCE avrebbe guadagnato se avesse acquistato a prezzi stracciati i titoli del governo greco (e poi di tanti altri) quando il ‘libero mercato’ li vendeva (spesso anche senza possederli). Così facendo la BCE avrebbe insegnato ai ‘liberi mercati’ che i governi dell’UEM non si possono attaccare impunemente: perché i governi sono dopotutto espressioni del processo di rappresentanza democratica, mentre invece i liberi mercati sono l’espressione dell’interesse privato. Punto.

Allora, nel paradigma Sdogati, la BCE oggi dovrebbe comperare i titoli di quei governi che ‘il libero mercato’ tiene sotto scacco: in breve, i paesi cosiddetti ‘periferici’ dell’UEM. Per essere un poco più moderati, io mi permetterei di suggerire che la BCE comprasse invece debito di tutti i governi, ma non in proporzione, ad esempio, al pil del paese o all’ammontare del debito, bensì in proporzione all’effetto atteso sulla disciplina dei mercati. Un risultato importante di questo approccio sarebbe che la liquidità arriverebbe nei paesi in recessione o in stagnazione: qualcuno ci spiegherà il beneficio che l’economia europea trarrà dall’acquisto di debito tedesco?

Non piace? Proviamo con un altro approccio.

1.2 Secondo approccio: il paradigma Weidmann (sempre nomi di fantasia, ovviamente)
(Jens Weidmann è un economista tedesco, presidente della Deutsche Bundesbank dal 2011, ndr)
In questo caso, il suggerimento è (per brevità) che la BCE compri da chi accidenti vuole, ma alla condizione che nessuno si aspetti che un ‘paese’ si accolli il rischio associato all’acquisto di titoli del debito emesso da altri governi. Ah. Il problema di quanto debito la BCE debba comperare, sotto quali condizioni di diritto al rimborso (seniority), in che proporzioni secondo il criterio ‘paese’ è un problema tutto sommato secondario (non lo è ovviamente, ndr). Il problema vero è che nel paradigma Weidmann deve passare il principio della non mutualità: o, come dicono quelli che sanno le lingue, del risk sharing.

Mi sembra che questi siano i due casi che delimitano il terreno: quello, ovviamente estremo e inapplicabile, del ‘paradigma Sdogati’, e quello, ovviamente legittimo e realistico, del ‘paradigma Weidmann’. Dimentichiamo la questione di quale sia il modello potenzialmente più benefico per l’economia europea, per i suoi lavoratori, per i suoi giovani, per le sue imprese. La differenza è una sola: un 22 gennaio 2015 all’insegna della negazione del risk sharing, come già molti quotidiani anticipano, è un altro colpo inferto al processo di integrazione europea, e concime invece per la rinascita degli stati nazione in Europa. Perché? Semplicemente perché, sapendo che il rischio insito nel debito del governo del paese x non verrà condiviso dagli altri 18 governi e dalla BCE in solido, i ‘mercati’ saranno perfettamente liberi di attaccare quel governo come e quando crederanno. Dunque, 2010 tutto daccapo.

Congratulazioni, austeri.

Fabio Sdogati è ordinario di Economia Politica al Politecnico di Milano @FabioSdogati

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