Scenari economici

Perché la BCE è così aggressiva sull’euro debole

La Banca Centrale ha annunciato che anticiperà in maggio e giugno le immissioni di liquidità previste per i mesi successivi. La spiegazione più verosimile è la rivalutazione della moneta unica sul dollaro, contraria alle aspettative di Draghi. Che punta a un deprezzamento per far ripartire l’export del Vecchio Continente

Pubblicato il 21 Mag 2015

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Fabio Sdogati, docente di Economia Politica al Politecnico di Milano

Se, nel programmare le vacanze estive, qualcuno aveva cominciato a pensare che un salto a Disneyland se lo sarebbe anche potuto permettere tra luglio e agosto, visto che l’euro stava tornando ad apprezzarsi sul dollaro, faceva i conti senza l’oste, cioè, la BCE. La quale ha annunciato che anticiperà nei mesi di maggio e giugno le immissioni di liquidità nel sistema che, secondo un calendario ‘lineare’, avrebbe dovuto effettuare in luglio e agosto. In breve, l’aspettativa secondo cui la BCE avrebbe immesso nel sistema bancario all’incirca € 60 mld di liquidità al mese era certamente corretta, ma l’ammontare mensile di € 60 mld è una media sul periodo marzo 2015-settembre 2016. Mai la BCE ha dichiarato che avrebbe comperato titoli esattamente per € 60 mld / mese. Ed ecco che ora si gode la sua libertà e ‘anticipa’ le operazioni che noi, sbagliando, ci attendevamo avrebbe condotto anche in luglio ed agosto.

Assodata la legittimità delle azioni della BCE, il quesito interessante è: perché? Perché anticipare? Come sempre, le risposte che può dare chi non siede nel consiglio direttivo sono molte. Una è che i mesi di luglio ed agosto sono mesi ‘lenti’ anche per gli intermediari finanziari. Forse qualcuno nel consiglio direttivo ha pensato che avrebbe potuto essere difficile collocare 120 mld di liquidità sotto il solleone, il che avrebbe avuto un risultato umiliante per la BCE e il suo programma di QE: ve li immaginate i titoli dei quotidiani sul fallimento del QE e l’avida lettura dei sottostanti articoli sulle spiagge di tutta Europa!?

Una seconda spiegazione è che la BCE sia insoddisfatta del tasso a cui l’inflazione sta riprendendo (ricordiamo che la giustificazione ufficiale per il QE è stata proprio la volontà di inflazionare l’economia UEM fino al 2% di crescita dei prezzi). Personalmente non credo a questa spiegazione: soltanto degli sprovveduti avrebbero potuto attendersi effetti importanti sui prezzi dopo soli 4 mesi dall’annuncio che un QE sarebbe stato adottato (effettuato il 22 gennaio) e, ancor più, dopo solo due dall’effettivo lancio del programma (8 marzo) (no, in consiglio direttivo BCE di sprovveduti non ce ne sono.)

Mi rimane una terza spiegazione: il deprezzamento spettacolare dell’euro sul dollaro avvenuto a partire da inizio anno si è rapidamente e pesantemente invertito dalla metà di aprile ad oggi: un po’ grossolanamente da 1,05 $ / € a 1,14 $ / €. Questo apprezzamento dell’euro è un accadimento che va contro una delle aspettative più care alla BCE, e cioè che il QE avrebbe spinto al deprezzamento dell’euro e, quindi, contribuito al rilancio delle esportazioni continentali ed italiane (una litania questa cui chi scrive è in larga parte estraneo, come ha scritto più volte). Ora, se uno crede in una cosa e il mondo gliela ribalta, occorrerà pure che faccia qualcosa: ed ecco che la BCE annuncia la misura e il cambio schizza (stavolta letteralmente!) da 1,14 $ / € a 1,113 $/ € (giovedì 21).

Morale? Chi, come me, crede nella terza ipotesi, ha imparato che Draghi al deprezzamento ci crede davvero. Tanto. Che faccia bene o male non lo so. Ma ora so che non lascerà che l’euro si apprezzi sostanzialmente e per periodi lunghi. Anche se non si è materializzato l’aiuto che molti si aspettavano (incautamente) la Fed gli avrebbe dato cominciando ad elevare a giugno il tasso di sconto, lui il suo deprezzamento se lo è procurato da solo. (Una nota a questo proposito: una recente indagine del Wall Street Journal ci informa che tre su quattro degli economisti intervistati si attendono che la Fed aumenterà il tasso di sconto a partire da settembre, e solo un piccolo numero continua ad aver fede nella scadenza di giugno. Azzardo qui un pronostico: visti i dati non esaltanti sulla crescita del pil e su quella salariale, dubito che la Fed stringerà i cordoni prima di dicembre.)

* Fabio Sdogati è docente di Economia Politica al Politecnico di Milano, @FabioSdogati

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