Nel passato recente l’Europa ha guidato l’evoluzione del settore automobilistico, indicando la strada della sostenibilità e spingendo le imprese a reinvestire i profitti nell’innovazione. I risultati non mancano: standard ambientali tra i più avanzati al mondo, livelli di sicurezza e di efficienza tecnologica che hanno fatto scuola. Eppure, oggi ci troviamo in una situazione per molti versi paradossale: altri Paesi, avendo affrontato con maggiore convinzione la sfida dell’elettrico, stanno conquistando i mercati più moderni, mentre il Vecchio Continente appare costretto a inseguire, e pure con un certo affanno.
Ce l’ha ricordato con chiarezza Teresa Ribera, vicepresidente della Commissione Europea, in una recente intervista a Milano Finanza, proprio alla vigilia dell’incontro tra il mondo dell’automotive e la presidente Ursula von der Leyen dello scorso venerdì 12 settembre. Ribera ha sottolineato come la vera questione sia oggi la competitività industriale europea: cambiare gli obiettivi ambientali significherebbe minare la fiducia degli investitori e trasmettere incertezza, quando invece il settore chiede stabilità e regole chiare.
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Che cos’è il “modello Airbus” per la mobilità elettrica?
In questo scenario, con l’Europa alle prese con l’arrivo delle auto elettriche cinesi, è arrivata la proposta di Luca De Meo, manager che ha di recente lasciato l’automotive per approdare al settore del lusso, ma che continua a indicare traiettorie di riflessione strategica per l’economia europea. La sua idea di un “modello Airbus per l’auto elettrica” è quanto mai attuale. Airbus, nata negli anni Settanta come progetto congiunto di Francia, Germania, Spagna e Regno Unito, ha consentito all’industria europea di sfidare un gigante consolidato come Boeing. Lo ha fatto mettendo insieme risorse, competenze e capacità produttive che nessun Paese avrebbe potuto sostenere da solo.v
Applicare quello schema all’elettrico significherebbe creare un ecosistema europeo integrato, in cui le imprese possano cooperare e investire in un contesto sicuro, riducendo la frammentazione che oggi ci rende deboli. Ovviamente va pensato considerando le specificità dei diversi mercati europei che prediligono segmenti di auto differenti.
Le catene del valore della batteria, dell’elettronica di potenza, dei software di gestione sono ancora troppo disperse: per competere su scala globale occorre massa critica, come avviene in Cina e negli Stati Uniti.
Che cosa serve all’auto europea? Stabilità e visione industriale
Da tempo insisto su un punto: l’Europa non può permettersi cambi di rotta improvvisi. Abbiamo fissato obiettivi ambiziosi – dal taglio delle emissioni alla diffusione delle infrastrutture di ricarica – e sarebbe un grave errore allentare oggi la pressione. Farlo significherebbe penalizzare le aziende che hanno già investito in ricerca e sviluppo, e che ora sono pronte a offrire soluzioni concrete al mercato.
La transizione energetica non è una zavorra, ma una leva di competitività. Lo vediamo chiaramente: laddove ci sono regole stabili e investimenti adeguati, le filiere crescono e si consolidano. Dove invece prevalgono incertezza e rinvii, gli investimenti si spostano altrove.
Banche e big tech: alleati indispensabili
Teresa Ribera, nell’intervista già ricordata, ha allargato lo sguardo oltre l’automotive, chiamando in causa banche e big tech. È un passaggio decisivo: senza il supporto del mondo finanziario e delle grandi piattaforme tecnologiche, l’Europa non riuscirà a costruire un ecosistema competitivo.
Le banche devono rendere disponibili strumenti di credito e investimento adeguati alla scala della sfida. Le big tech, dal canto loro, sono chiamate a contribuire con competenze su dati, intelligenza artificiale e servizi digitali, ormai indispensabili per rendere la mobilità elettrica efficiente e accessibile. L’auto connessa, la gestione intelligente delle reti di ricarica, l’integrazione con i sistemi energetici sono frontiere che nessun costruttore può affrontare da solo.
Che cosa fare per sostenere la trasformazione dell’automotive?
Dobbiamo lavorare ogni giorno per sostenere questa trasformazione. Il modello Airbus può rappresentare un punto di riferimento: una cornice di cooperazione, massa critica e visione comune, dove istituzioni, imprese e finanza convergono su obiettivi condivisi.
L’Europa ha tutto quel che serve per restare protagonista della mobilità elettrica: competenze tecnologiche, basi industriali solide, capacità di innovazione. Ma occorre uno scatto di volontà politica e imprenditoriale, per passare dalle dichiarazioni alla realizzazione concreta di un progetto industriale comune.
Il tempo non gioca a nostro favore: Cina e Stati Uniti avanzano rapidi. Per questo oggi, più che mai, è il momento di fare sistema. Perché la scommessa dell’auto elettrica, che è anche la scommessa della sostenibilità europea, non possiamo permetterci di perderla.






