L'ANALISI

Auto usate, la fiducia aumenterà quando ci sarà il certificato digitale

Il mercato delle auto usate è destinato a cambiare. Siamo ai primi passi per arrivare a un futuro in cui avremo un certificato che provi la storia del veicolo e non sia aggiornabile da mano umano. Bisogna aspettare la trasformazione digitale degli operatori dell’usato. E la risoluzione di diverse questioni. Vediamone alcune

Pubblicato il 04 Nov 2022

Photo by Parker Gibbs on Unsplash

Avrete senz’altro sperimentato quella spiacevole sensazione di essere prossimi ad una fregatura, quando il venditore vi racconta le cose più belle di ciò che state per comprare, tessendo lodi sperticate alla qualità del prodotto e a come è stato conservato nel tempo. Molto spesso, in queste circostanze, abbiamo pochi strumenti di contrasto e ci poniamo la legittima domanda se fidarci o no. Trattasi di un problema che si presenta frequentemente quando acquistiamo un’auto usata, delle cui avventure precedenti poco sappiamo e dobbiamo decidere se fidarci o meno delle informazioni che riceviamo.

Il certificato digitale per le auto usate, come potrebbe funzionare

Bene, tutto ciò nel prossimo futuro potrebbe cambiare. Dobbiamo pazientare che la trasformazione digitale degli operatori del mercato dell’usato, e degli stessi OEM, verrà completata: a quel punto è lecito attendersi l’adozione di soluzioni standard riconosciute da tutta la filiera produttiva. Immaginiamo un futuro in cui si possa disporre di un “certificato digitale” che provi la storia passata del mezzo, a garanzia del successivo acquirente e a tutela del valore residuo effettivo. Immaginiamo che questo certificato digitale non sia aggiornabile da umani, ma sia il veicolo stesso che, con i suoi dati di utilizzo, alimenti un database di eventi, incapsulati e riassunti nel certificato stesso. Immaginiamo che questo documento sia sempre disponibile, in modalità read only, a bordo del veicolo e che disponga di elevate barriere di protezione per non essere hackerato, modificato, o trafugato. Ed infine, immaginiamo che questo certificato sia standardizzato e generalmente accettato dagli OEM nei suoi elementi costitutivi, tale da assumere un valore per tutti i brand, ivi inclusi i fornitori di componentistica.

Abbiamo letto in questi giorni che grandi gruppi automobilistici stanno già muovendosi in questa direzione, ad esempio Stellantis con il brand Alfa Romeo. Siamo ai primi passi per arrivare ad un futuro in cui i dati siano veramente interoperabili, e quindi riconosciuti e accettati da tutti gli attori in causa. Se auspichiamo la realizzazione di un futuro siffatto, è importante fermarsi a riflettere sulle conseguenze.

Chi avrà il diritto di emettere il certificato digitale di un’auto usata?

Una considerazione importante è relativa a chi avrà il diritto di emissione del certificato e quali sono le tecnologie che assicurano tutte le parti in causa – e non solo acquirente e venditore – che quei dati siano veritieri. A questo scopo il digitale di oggi ci viene in aiuto con soluzioni blockchain che possono essere di settore e adottate dalle parti senza avere un ente centrale erogatore di certificazioni. Non sono soluzioni banali, necessitano di accurata progettazione e vanno negoziate per trasformare il mercato in relazioni win-win in cui a tutti convenga giocare.

1. Non ci sarà uno standard di mercato

Emergono inoltre alcune considerazioni aggiuntive. In primo luogo, uno scenario di questo tipo, sebbene i suoi massimi benefici potranno essere apprezzati quando avremo una adozione standardizzata ed estesa del certificato digitale del veicolo, non si verrà mai a realizzare in breve tempo, anzi. È probabile che vedremo in azione tempi realizzativi diversi, dettati dalle strategie dei diversi OEM e produttori di componenti, in mercati geografici diversi. Le leggi della domanda e dell’offerta ci dicono che il valore dei veicoli usati i cui dati sono certificati dovranno inevitabilmente salire, a scapito dei mezzi che non si adeguano a questi standard. Ciò dovrebbe essere un fattore di accelerazione nell’adozione di queste soluzioni.

2. Le case auto rallenteranno il certificato digitale con strategie di lock-in del cliente

In secondo luogo, in risposta ad un certificato digitale, gli OEM che vorranno ritardare la sua adozione potrebbero rispondere con un rafforzamento delle loro strategie di lock-in del cliente, per esempio offrendo, solo ed esclusivamente sulla propria rete di dealer, politiche di “usato sicuro e garantito” e/o di “usato certificato” dalle officine del brand.

3. I vantaggi di un certificato digitale basato su blockchain

In terzo luogo, in senso contrario alla precedente osservazione, un certificato digitale assicurato da una tecnologia, per esempio di blockchain, potrebbe facilitare un effetto di svincolo completo del mezzo usato dalle strette maglie dell’OEM, e renderlo disponibile per transazioni sicure sul mercato dei rivenditori indipendenti, e, perché no, sulle piattaforme di acquisto e vendita delle auto online. Uno svincolo che non necessariamente andrà a discapito dei produttori, che, come si è letto nella stampa di questi giorni, stanno entrando nelle piattaforme online acquisendone quote di controllo.

La necessità di definire quali dati da conservare

In qualsiasi scenario sarà fondamentale concordare uno standard minimo comune di dati che il certificato dovrebbe conservare per assicurarsi che esso non ecceda in acquisizione di informazioni private sull’uso del mezzo, come dati di localizzazione, transiti autostradali, velocità effettive percorse, numero degli occupanti per chilometro percorso e quant’altro. Quando si toccano i temi della privacy ci si scontra sempre con un trade-off tra maggiore o minore vantaggio, in questo caso il valore di un veicolo usato, e granularità dei dati acquisiti. Ad esempio, dimostrare che il nostro amato SUV, pur se equipaggiato con le migliori soluzioni motoristiche e di trasmissione off-road, abbia in effetti percorso pochissimi chilometri in fuori strada può essere un vantaggio, nella misura in cui il certificato digitale registri come l’usura di alcuni componenti per le avventure fuoristradistiche sia stata nulla o quasi, e tradursi in una valutazione superiore rispetto ad un medesimo veicolo il cui proprietario lo ha torturato su strade di montagna in tutte le stagioni.

Non è probabile che una autorità sopra le parti sogni in questi giorni di regolamentare il certificato, né sono in vista imposizioni agli OEM in tal senso. L’attenzione sul fronte dell’inquinamento – si veda l’attesa e rinviata adozione delle norme Euro 7 – e della transizione all’elettrico sono e rimarranno il principale fronte di attenzione. Il mercato dell’usato, però, è affollato di veicoli vecchi che costituiscono sempre una parte maggioritaria del parco circolante, che in ultima istanza è quello che impatta di più sulle emissioni. Lasciamo alla genialità di qualche startup la ricerca e la proposizione di una soluzione che possa avere un’adozione rapida nel settore non solo per i veicoli nuovi ma anche per quelli esistenti.

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Ferdinando Pennarola
Ferdinando Pennarola

Professore di Organizzazione e Sistemi Informativi all’Università Bocconi di Milano e direttore del Global Executive MBA (GEMBA) della SDA Bocconi School of Management. Si occupa di change management e di innovazione nel campo delle tecnologie informatiche e della rete.

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