Open innovation: «Promuoviamola nella Legge di Stabilità»

Vincenza Bruno Bossio (Pd), intergruppo parlamentare innovazione, a EconomyUp: «Se non ci saranno nuove misure a favore delle startup, presenteremo degli emendamenti. Bisogna fare come in Germania, dove c’è un gruppo di ricerca per introdurre l’Internet delle Cose nella manifattura tradizionale»

Pubblicato il 21 Ott 2015

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Vincenza Bruno Bossio, Pd

“La vera scommessa sulle startup è l’elemento di innovazione che possono portare nell’industria, l’open innovation. Ci sta lavorando la Germania, dobbiamo riuscire a farlo anche in Italia”. Lo dice a EconomyUp Enza Bruno Bossio, deputata del Pd e membro dell’Intergruppo parlamentare per l’innovazione, nato a marzo 2014 da un’idea di Stefano Quintarelli (Scelta Civica) e formato da parlamentari di vari schieramenti sensibili alle questioni dell’innovazione e dell’agenda digitale in Italia, tra i quali, solo per fare qualche nome Paolo Coppola (Pd), Antonio Palmieri (Forza Italia), Debora Bergamini (Forza Italia), Serenella Fucksia (Movimento 5 Stelle) e molti altri. Gli aderenti sono un’ottantina, una ventina di fatto i parlamentari che partecipano attivamente a incontri, convegni e dibattiti con rappresentanti dell’industria, della società civile e delle istituzioni mirati ad approfondire queste tematiche. Di recente Bruno Bossio, calabrese, ha appoggiato pubblicamente con un tweet i contenuti del Libro Bianco presentato dal venture incubator Digital Magics (DM) che propone più agevolazioni fiscali e più incentivi agli investimenti per le startup.

Perché si interessa alle startup?
Il mio interesse è rivolto principalmente alle startup come parte integrante dell’ecosistema digitale. Di recente, con Stefano Quintarelli, siamo volati a Londra per discutere di

innovazione e startup con il circolo Pd londinese e ci siamo resi conto che la Gran Bretagna tende a promuovere le startup tout court, digitali e non digitali. In Italia abbiamo attivato una legislazione rivolta soprattutto alle startup digitali e innovative. Una scelta mirata, perché tema fondante per il rilancio del nostro Paese è proprio l’innovatività. Su questo sta lavorando la Germania, che ha costituito un gruppo di ricerca sull’introduzione dell’Internet of Things (Iot) nella manifattura tradizionale. Dovremmo seguirne l’esempio. E non sto parlando solo di innovazione industriale, ma anche di innovazione di processo, che non deve più essere necessariamente solo interna.

Le grandi industrie italiane l’hanno capito?
Purtroppo non ancora a sufficienza. Penso all’e-commerce: appena il 40% delle aziende italiane ha un proprio sito Internet e solo 3 piccole e medie aziende su 10 utilizzano il commercio elettronico come canale di vendita e acquisto. L’open innovation potrebbe contribuire a migliorare la situazione.

Come parlamentari cosa intendete fare?
Nostro compito è intervenire per alimentare e sviluppare la legislazione vigente in materia di startup innovative, quella nata col Decreto Crescita 2.0 e incrementata con iniziative successive quali l’Investment Compact, che a marzo ha introdotto la categoria delle pmi innovative, o il Patent Box, decreto taglia-tasse per marchi e brevetti. Dobbiamo lavorare molto, anche al fianco di associazioni quali Confindustria Digitale, per favorire le agevolazioni fiscali, soprattutto sul credito d’imposta. Non azioni che interessino singole startup ma provvedimenti che siano in grado di riversarsi su tutta la filiera digitale.

Nella legge di stabilità, licenziata il 15 ottobre dal Consiglio dei ministri, è previsto un fisco ultraridotto per le startup. Ci può dire qualcosa di più?
È ancora prematuro parlarne. Si tratta di un documento contenente linee guida generali, che è stato inviato alla Commissione europea, la quale dovrà darci un feedback. Tuttavia sono convinta che qualcosa si farà. In alcune passate occasioni non mi sono trovata sempre d’accordo con il premier Matteo Renzi, per esempio, tanto per citare un caso recente, sull’innalzamento del tetto dei contanti da 1000 a 3000 euro. Ritengo che si debba incentivare la moneta elettronica e disincentivare quella fisica, nell’ambito di un più generale passaggio dall’analogico al digitale. Ciononostante Renzi è il primo presidente del Consiglio “digitale” e su questi argomenti ha già adottato provvedimenti concreti. Inoltre la legislazione italiana in tema di startup è avanzata. Sono convinta che ci saranno ulteriori evoluzioni.

Norme concrete in vista?
Se non dovessero essere presenti nel documento relativo alla Legge di Stabilità che arriverà in Commissione Bilancio, come parlamentari del Gruppo Innovazione presenteremo degli emendamenti. Sgravi fiscali, soprattutto, ma, come dicevo, anche interventi per spingere verso l’open innovation. Perché questo è il futuro. Senza dimenticare il Mezzogiorno.

Le startup, attualmente, sono più numerose al Nord.
È vero, la Lombardia si conferma quale regione che ospita il numero maggiore di startup innovative: 1.018, pari al 21,6% del totale. La prima regione del Sud è la Campania, con 276 neo imprese, pari al 5,8%: è comunque la settimana nella lista. E anche la Calabria, la mia regione, non è messa malissimo: ha 109 startup, più della Liguria e dell’Umbria. Io dico che il Sud potrebbe diventare avamposto dell’open innovation partendo dal presupposto che ormai la filiera non è più un discorso fisico: si può innovare ovunque. Senza dimenticare che il Mezzogiorno ha più fondi europei da spendere rispetto al Nord. Fondi che non possono e non devono essere utilizzati solo per le città e le aziende meridionali, ma per contribuire a creare un sistema Paese.

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