INNOVAZIONE AZIENDALE

Quando “settore maturo” non significa finito: ripensare le strategie nell’era delle code lunghe



Indirizzo copiato

Le aziende interpretano la maturità del proprio settore come segnale per abbandonare il core business e inseguire nuove tecnologie. Gary Pisano (Harvard Business School) propone una lettura opposta: alcune industrie continuano a generare valore anche quando sono in declino

Pubblicato il 24 dic 2025



strategie_di_innovazione_aziendale_economyup

Molte aziende considerano la maturità del proprio mercato un segnale inequivocabile: quando i tassi di crescita rallentano e i margini iniziano a comprimersi, la via di uscita sembrerebbe quella di abbandonare il settore e investire in nuovi paradigmi tecnologici. È un riflesso quasi automatico in molte organizzazioni. L’economista americano e professore presso la Harvard Business School Gary Pisano, in una conversazione con Greg LeBlanc nel podcast unSILOed, ribalta questa prospettiva. La presunta maturità di un’industria, sostiene, è spesso un’interpretazione imprecisa: definire un settore “maturo” dipende da come lo si osserva e da quali dinamiche competitive si considerano davvero rilevanti  .

Quando “maturo” non significa finito

Pisano invita a riflettere sull’idea che molti settori, anche quelli che sembrano avviarsi al declino, mantengono nicchie resilienti e segmenti ancora capaci di generare valore. È un fenomeno che definisce come “code lunghe” delle tecnologie: cicli che si assottigliano ma non si estinguono mai del tutto. Il film fotografico analogico rappresenta un esempio emblematico. L’avvento del digitale avrebbe dovuto decretarne la fine, ma alcune nicchie – dai professionisti ai cultori del formato – continuano a sostenere una domanda non trascurabile. Non si tratta di nostalgia, ma di un consumo che trova nuove motivazioni, nuovi spazi di mercato e nuovi significati d’uso.

Questa osservazione porta a un punto centrale delle strategie di innovazione aziendale: abbandonare un settore sulla base della sua presunta maturità può rivelarsi una scelta prematura, soprattutto se l’azienda possiede competenze tecniche, infrastrutture o asset complementari difficilmente replicabili altrove.

Difendere, estendere o riposizionare: decidere con consapevolezza

La conversazione evidenzia come la parola “maturità” rischi di diventare una scorciatoia semantica, una giustificazione per evitare il lavoro più complesso: comprendere quali parti del business hanno ancora spazio per evolvere e quali, invece, richiedono un diverso approccio strategico. Pisano afferma che le aziende dovrebbero domandarsi se un settore sia davvero alla fine del suo ciclo economico o se esistano possibilità di “estenderlo” attraverso innovazioni che rinnovano la proposizione di valore.

La discussione tocca il caso di Fuji, spesso contrapposto a Kodak. Mentre la lettura superficiale descrive Fuji come un’azienda che “ha lasciato la pellicola per reinventarsi”, Pisano sottolinea che la realtà è più articolata. Fuji non ha abbandonato tutto il comparto: ha sfruttato un insieme di competenze sviluppate nella produzione di pellicole – dai rivestimenti alle chimiche avanzate – per entrare in nuovi settori adiacenti. Non si è trattato di un salto nel vuoto, ma di una ricombinazione di capacità. “Non puoi capire la loro trasformazione se non capisci cosa facevano bene prima”, osserva Pisano .

Questo passaggio è cruciale per le strategie di innovazione aziendale: il punto non è inseguire la tecnologia emergente, ma comprendere che tipo di problemi l’azienda è strutturalmente più attrezzata a risolvere.

Quando la tecnologia è nuova, ma le competenze non lo sono

Se il film analogico non è scomparso, è anche perché alcune delle capacità necessarie per produrlo restano rilevanti in altri contesti industriali. È un meccanismo che Pisano definisce “riuso strategico” delle competenze. La chiave, in questo caso, non è guardare la tecnologia in sé, ma guardare ciò che l’azienda è capace di fare meglio di altre: un insieme di conoscenze, processi, abilità tecniche che spesso può trovare applicazione in mercati molto diversi tra loro.

È un modo di interpretare le strategie di innovazione aziendale che va oltre la retorica della disruption. Non si tratta di abbandonare il vecchio per il nuovo, ma di capire quali elementi del vecchio possono trasformarsi in risorse strategiche per il nuovo. In questo senso, la maturità non è la fine del ciclo, ma un punto di biforcazione.

Le code lunghe: un fenomeno economico, non culturale

Molti casi citati da Pisano mostrano che la persistenza di tecnologie considerate obsolete non è un fenomeno folkloristico. Le code lunghe sono il risultato di una dinamica economica: anche quando la tecnologia dominante cambia, rimangono usi specifici, preferenze particolari, segmenti disposti a pagare un premium price per caratteristiche che i nuovi sistemi non offrono. Ciò vale per il vinile, per le fotocamere a pellicola, per le macchine utensili analogiche e per molte altre categorie considerate superate.

Questa lettura implica un ripensamento delle strategie di innovazione aziendale. Uscire troppo presto da un settore può significare cedere spazio a competitor più piccoli ma più pazienti, capaci di sfruttare nicchie che, sommate, diventano economicamente significative. All’opposto, restare troppo a lungo senza rinnovare il modello di business può esporre l’azienda a un declino irreversibile. Le code lunghe richiedono quindi una valutazione accurata del “perché” l’azienda è presente in un settore e del “come” potrebbe continuare a esserlo.

Oltre la narrativa della disruption: la maturità come problema di definizione

Un altro elemento importante emerso nella conversazione riguarda l’idea che la disruption sia spesso utilizzata come narrazione più che come categoria analitica. Molte aziende si convincono di dover inseguire la tecnologia emergente più visibile, invece di analizzare in profondità la struttura del proprio settore. Secondo Pisano, questa reazione è alimentata da una visione distorta del ciclo di vita: si parla di maturità come se fosse un destino naturale, quando invece è una costruzione manageriale.

La maturità non è un tratto intrinseco di un’industria, ma il risultato di come i player interpretano la domanda, sviluppano le proprie competenze e decidono di competere. Per questo Pisano suggerisce che le strategie di innovazione aziendaledovrebbero concentrarsi meno sulla classificazione dei settori e più sulle possibilità che derivano dalle capacità distintive delle imprese.

Guardare ai problemi, non alle tecnologie

Uno dei messaggi più interessanti della discussione è che molti errori strategici derivano dal guardare la tecnologia invece dei problemi che l’azienda è capace di risolvere. Pisano spiega che il valore non nasce dalla tecnologia in sé, ma dall’applicazione delle competenze a un bisogno reale. Questa distinzione permette di vedere continuità dove, a prima vista, sembrava esserci solo rottura.

Articoli correlati