Una ricerca del Massachusetts Institute of Technology fa traballare i titoli di aziende attive nel mercato dell’intellienza artificiale a Wall Street. Che cosa dice per aver fatto questo effetto nel listino di fine agosto? Che la quasi totalità dei progetti di intelligenza artificiale generativa non portano risultati nelle aziende che li sviluppano. Il re è nudo? Probabilmente no, ma non è neanche vestito così come si racconta di solito: l’intelligenza artificiale è una rivoluzione ma promesse e aspettative sono forse eccessive, almeno per quanto riguarda i tempi.
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Intelligenza artificiale in azienda, lo studio del MIT
“The GenAI Divide: State of AI in Business 2025” è il titolo dello studio del MIT che rappresenta una situazione talmente sorprendente da essere arrivata come una doccia gelata sui mercati finanziari: solo il 5% dei progetti pilota di intelligenza artificiale generativa porta risultati tangibili, mentre il restante 95% non ha alcun impatto sui conti aziendali.
Lo studio, basato su 150 interviste a dirigenti, un sondaggio con 350 dipendenti e l’analisi di 300 implementazioni pubbliche, ha individuato i principali fattori che spiegano il fallimento dell’AI in azienda.
Quali sono le cause del fallimento dei progetti AI in azienda
La ricerca del MIT identifica diversi motivi alla base degli insuccessi:
- Mancata integrazione nei processi aziendali: i sistemi AI restano isolati, non si collegano ai workflow quotidiani né alle piattaforme IT esistenti.
- Il “learning gap”: gli algoritmi non si adattano ai contesti specifici e restano troppo generici senza governance e aggiornamenti costanti.
- Budget mal allocati: oltre la metà degli investimenti va a marketing e vendite, mentre i maggiori ritorni si registrano nell’automazione interna.
- Scelta della soluzione sbagliata: i progetti interni hanno un tasso di successo solo del 5%, mentre gli strumenti offerti da vendor specializzati arrivano al 20-30%.
- Obiettivi poco chiari e infrastrutture dati carenti: molte iniziative nascono come pilot sperimentali senza una strategia operativa definita.
- Adozione “ombra”: i dipendenti utilizzano strumenti consumer come ChatGPT senza coordinamento con i programmi aziendali ufficiali.
I ritorni economici dell’AI saranno più lenti del previsto
La ricerca MIT ha avuto riflessi immediati anche sui mercati finanziari. A Wall Street le azioni delle aziende più legate all’hype dell’AI – come Nvidia, Palantir e C3.ai – hanno registrato ribassi significativi.
Gli investitori hanno compreso che i ritorni economici dall’adozione dell’AI in azienda saranno più lenti del previsto. Parallelamente, società come IBM, Accenture, Dell e Cisco sono viste con maggiore interesse dagli analisti, perché capaci di offrire servizi di integrazione e modernizzazione, proprio nelle aree dove lo studio ha segnalato le maggiori difficoltà.
L’approccio AI-first che funziona nelle startup
Se le grandi aziende arrancano, le startup dimostrano che l’AI può produrre risultati concreti. Nel suo studio il MIT racconta di realtà emergenti – alcune guidate persino da under 20 – che hanno raggiunto 20 milioni di dollari di ricavi in un anno, grazie all’intelligenza artificiale.
Il loro segreto è un approccio AI-first: niente legacy tecnologiche da gestire, agilità organizzativa e focus su problemi specifici. Individuano un bisogno chiaro, costruiscono una soluzione mirata e stringono partnership strategiche per scalare rapidamente.
Collegare tecnologia e business
Il messaggio del MIT è chiaro: l’intelligenza artificiale generativa non è ancora il “game changer” promesso per tutte le imprese. Senza integrazione, governance e strategia, i progetti falliscono nel 95% dei casi.
Al contrario, chi saprà adottare un approccio mirato – come le startup AI-native – potrà trasformare l’AI in un vantaggio competitivo. E a Wall Street gli investitori hanno già iniziato a distinguere tra hype e realtà, premiando chi è in grado di connettere davvero la tecnologia al business.





