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Mariano Corso: perché la trasformazione digitale nelle startup richiede un cambio di passo nel 2026



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Il Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Digital Transformation Academy del Politecnico di Milano parla dei trend di investimento e delle sfide che rallentano la trasformazione digitale nelle startup. Dai dati su budget e priorità ai rischi di un’innovazione troppo prudente, ecco le priorità del 2026

Pubblicato il 8 dic 2025



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La crescente attenzione verso la trasformazione digitale nelle startup e nelle imprese italiane è oggi alimentata da esigenze competitive, pressioni tecnologiche e incertezze economiche che rendono il tema sempre più centrale per chi guida l’innovazione. Nel dibattito pubblico e manageriale il digitale rappresenta non solo un motore di crescita, ma anche un indicatore della capacità di adattamento del sistema produttivo. A partire dai dati della Ricerca annuale degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Digital Transformation Academy e Professore Ordinario al Politecnico di Milano, ha analizzato — nella giornata del 2 dicembre 2025, in occasione della presentazione della Ricerca — lo stato degli investimenti e le sfide che caratterizzano il percorso verso il 2026.

Un contesto di instabilità che rallenta decisioni e investimenti

Corso ha descritto il quadro macroeconomico come una fase di “montagne russe”, segnata da alternanza continua di crisi e soluzioni. “Continuiamo a essere bombardati da notizie su nuove crisi, possibili soluzioni, poi di nuovo crisi”, ha osservato, sottolineando come questo clima generi “un senso di fragilità nel quale non è facile prendere decisioni di investimento” .

Questa volatilità ha un impatto diretto sulla capacità delle imprese di costruire strategie di innovazione coerenti, richiedendo un impegno stabile nel tempo. La situazione si riflette nei numeri, che Corso ha commentato per evidenziare come, nonostante una generale consapevolezza dell’urgenza digitale, il ritmo di trasformazione non sia ancora sufficiente.

I dati sulla spesa digitale: una crescita che non basta

Uno dei passaggi centrali dell’intervento riguarda l’andamento della spesa digitale nelle imprese italiane. Alla chiusura dei budget, il 46% delle aziende dichiara di voler aumentare gli investimenti nel digitale, mentre solo il 6% prevede di diminuirli. La crescita media prevista è dell’1,8%, trainata soprattutto dalle medie imprese (+5,2%) e, in misura minore, dalle piccole e grandi realtà. Le “grandissime imprese”, pur restando in territorio positivo, registrano un incremento più limitato, pari all’1,5% .

Corso ha invitato però a interpretare il dato alla luce dell’inflazione, che nel 2025 si colloca tra l’1,8% e il 2,1%. “In termini reali, questo 1,8% è ben poco entusiasmante”, ha sottolineato. Anche il rapporto tra budget ICT e fatturato, stabile intorno al 2,7%, non suggerisce un’accelerazione significativa.

Questi elementi mostrano una trasformazione digitale nelle startup e nelle imprese ancora troppo lenta rispetto al fabbisogno competitivo del Paese. Inoltre, il 62% delle aziende presenta una quota di spesa digitale decentralizzata fuori dalla Direzione ICT; un fenomeno che, pur restando rilevante, evidenzia i primi segnali di consolidamento verso modelli più centralizzati.

Dove si investe davvero: cybersecurity, AI e industria 4.0

Corso ha analizzato nel dettaglio la destinazione degli investimenti, distinguendo tra grandi imprese e PMI. Nelle realtà di maggiori dimensioni, il primo capitolo di spesa è quello della cybersecurity, compliance e risk management. Si tratta, come lo stesso Corso rileva, di una spesa “difensiva”, spesso inevitabile, ma che non sempre coincide con un impulso trasformativo.

L’Intelligenza Artificiale segue in forte crescita, assieme a Big Data e Cloud. Nelle PMI lo scenario è simile: anche qui la priorità è la sicurezza informatica, mentre l’AI cresce ma con maggiore cautela. A pesare, spiega Corso, è probabilmente “un certo livello ancora di diffidenza della piccola e media impresa rispetto all’investimento nell’AI” .

Le PMI mostrano invece un forte investimento nell’insieme di tecnologie note come Industry 4.0, un’area che riflette la natura manifatturiera del tessuto produttivo italiano e che può avere ricadute dirette sulla trasformazione digitale nelle startup, soprattutto quelle che operano a stretto contatto con settori industriali tradizionali.

L’AI come leva per accelerare l’innovazione

Uno degli elementi più rilevanti nei dati commentati da Corso riguarda la funzione dell’AI nei processi di innovazione. Il 34% delle grandi imprese dichiara di utilizzarla anche come strumento per accelerare la generazione e la validazione delle idee. “L’Intelligenza Artificiale è anche la tecnologia di processo con cui le aziende cercano di fare innovazione”, ha spiegato, osservando come essa sia ormai sia output che input del ciclo innovativo .

Per le startup, questo rappresenta un passaggio cruciale. Se le imprese consolidate iniziano a introdurre l’AI nei propri processi interni, la collaborazione tra corporate e startup potrebbe spostarsi su progetti dove l’intelligenza artificiale non è solo prodotto, ma anche metodologia per generare soluzioni.

Cosa serve alle imprese per innovare: il tema del budget e del coordinamento

La presentazione si è poi spostata sulle priorità percepite nella gestione dell’innovazione. Il budget è considerato la principale sfida, seguito dalla capacità di coordinare le attività innovative con il business as usual e dall’ingaggio della popolazione aziendale.

L’integrazione con la strategia aziendale, lo sviluppo di processi organizzativi agili e la gestione dell’ecosistema esterno, pur riconosciuti come importanti, compaiono più in basso nella scala delle priorità. Corso ha sottolineato come la gestione dell’ecosistema – che include università, centri di ricerca e startup – “sia fondamentale per creare un sistema di innovazione aperto”, ma continui a essere percepita come un obiettivo secondario dalle imprese italiane .

Guardando alle intenzioni future, al primo posto emerge il coordinamento con il business as usual, seguito dalla misurazione delle performance dell’innovazione e, ancora una volta, dalla gestione del budget. Il dato più significativo è che molte imprese dichiarano di non essere ancora riuscite a misurare efficacemente gli impatti dei propri percorsi innovativi, ma prevedono di potenziare gli strumenti di misurazione nei prossimi anni.

Innovazione essenziale o mancanza di visione?

Nelle riflessioni finali, Corso ha posto una domanda che riguarda direttamente la trasformazione digitale nelle startup e il modo in cui queste interagiscono con le imprese consolidate. “Quando parliamo di innovazione digitale, qual è l’idea di innovazione davvero che mostrano oggi le imprese italiane?” si è chiesto, rilevando la sensazione di un percorso orientato verso un’innovazione “essenziale, con i piedi per terra”.

Secondo Corso, da un lato questo approccio segnala che “non si innova più per moda”, ma per necessità; dall’altro rischia di ridurre lo spazio per sperimentazione e creatività, elementi che storicamente rappresentano la linfa vitale delle startup .

Il punto sollevato riguarda dunque la capacità del sistema industriale italiano di bilanciare pragmatismo e visione, continuità e rischio, tutela e apertura. Le startup sono spesso chiamate a colmare questo divario, ma incontrano difficoltà quando le imprese consolidate privilegiano approcci molto prudenti.

Uno sguardo al 2026: la necessità di un cambio di passo

Il quadro delineato da Mariano Corso non suggerisce immobilismo, ma un momento decisivo in cui imprese e startup devono interrogarsi sul ruolo che l’innovazione può realmente assumere. La crescita della spesa digitale, pur limitata, indica che il tema resta centrale. L’espansione dell’AI come strumento per innovare mostra una transizione già in corso. Ma la velocità, la profondità e la coerenza delle scelte strategiche definiranno la portata della trasformazione digitale nelle startup e nel sistema produttivo nel suo complesso.

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