SOCIAL INNOVATION MONITOR

SIAVS, Società Benefit e B Corp: il nuovo mosaico delle startup a impatto sociale italiane



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SIAVS, Società Benefit e B Corp: tre modelli diversi, accomunati dalla volontà di unire profitto e impatto. Un ecosistema ancora giovane, ma sempre più orientato a rendere la sostenibilità un elemento competitivo e non solo identitario. Il Social Innovation Monitor del PoliTo

Pubblicato il 27 ott 2025



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Le imprese ibride sono oggi uno dei laboratori più interessanti dell’economia italiana. Realtà che coniugano finalità economiche e impatto sociale, collocandosi in quello spazio intermedio tra il profitto e il non profit dove si sperimentano nuove forme di imprenditorialità sostenibile. A fotografare il fenomeno è il Social Innovation Monitor (SIM) del Politecnico di Torino, che nel suo ultimo report ha analizzato struttura, distribuzione e performance delle startup a significativo impatto sociale e ambientale in Italia.

Dalla ricerca emerge una mappa aggiornata di queste organizzazioni, insieme a una riflessione più ampia sul ruolo del diritto e della cultura d’impresa nel rendere l’impatto un fattore misurabile e competitivo.

Il quadro normativo: una definizione in evoluzione

Come ha ricordato l’avvocato Claudio Serra, intervenuto nella presentazione della ricerca, la base giuridica delle startup innovative risale al decreto legge del 2012, aggiornato con la legge 16 dicembre 2024, n. 193.

Le modifiche più recenti hanno ampliato la durata del riconoscimento ufficiale di startup innovativa — da tre a cinque anni, prorogabili fino a nove — e introdotto requisiti più stringenti ma anche incentivi per chi investe in ricerca e sviluppo o raggiunge significativi incrementi di occupazione e ricavi.

Si va sempre più verso progetti ad alto contenuto tecnologico e con grande potenziale di crescita”, ha spiegato Serra, sottolineando come la normativa premi la capacità di generare innovazione sostenibile. Il quadro attuale mira dunque a un equilibrio tra rigore e incentivo, cercando di distinguere le iniziative realmente innovative da quelle che non rispondono più ai criteri originari.

Dalla startup alla vocazione sociale

All’interno di questo scenario, il Social Innovation Monitor ha circoscritto la propria analisi alle imprese definite a significativo impatto sociale e ambientale positivo. Si tratta di aziende che, pur operando in forma for profit, collocano la missione sociale al centro del proprio modello di business.

Il direttore della ricerca Paolo Landoni ha spiegato che queste organizzazioni “si collocano a metà strada tra il non profit e l’impresa tradizionale, con una natura giuridica commerciale ma un’impostazione orientata all’impatto”.

La definizione include diverse tipologie di soggetti, tra cui le Startup Innovative a Vocazione Sociale (SIAVS), le Società Benefit e le B Corp, oltre a cooperative e imprese sociali che, pur non certificate, operano con la stessa logica ibrida.

SIAVS: un modello ancora di nicchia

Le SIAVS sono le uniche imprese a impatto sociale formalmente definite dal legislatore. Introdotte da una legge del 2016, rappresentano una categoria giuridica specifica che riconosce la “vocazione sociale” come elemento distintivo dell’attività economica.

Secondo i dati del report, in Italia sono solo 165 le startup innovative iscritte come SIAVS. Il numero, seppur in lieve aumento rispetto all’anno precedente, rimane molto contenuto. La scarsità di casi, spiega Landoni, è dovuta a diversi fattori: “i numeri sono così bassi che bastano poche nuove startup a determinare una variazione percentuale significativa”.

Tra le cause, il carico burocratico e la scarsa conoscenza del modello da parte degli imprenditori, che spesso preferiscono aderire a forme più flessibili come le Società Benefit. Il dato riflette un trend comune in Europa, dove le strutture ibride emergono più per iniziativa del mercato che per effetto della regolamentazione.

Società Benefit: la crescita di un modello intermedio

Le Società Benefit si distinguono per la capacità di unire obiettivi economici e finalità di beneficio comune, inserendo nel proprio statuto una o più finalità sociali o ambientali.

Il Social Innovation Monitor ne conta 3.580 in Italia, con una forte prevalenza nel Nord, coerente con la distribuzione generale delle attività economiche.

Tra queste, 1.877 hanno meno di cinque anni di vita e 580 sono startup innovative, quindi realtà giovani e potenzialmente scalabili. Il trend è in crescita costante, segno che il modello Benefit è percepito come più accessibile e contemporaneo rispetto alle forme più rigide di impresa sociale.

Secondo i ricercatori del Politecnico, la formula funziona perché permette di formalizzare l’impatto senza rinunciare alla flessibilità del mercato. L’obbligo di rendicontare periodicamente gli effetti sociali e ambientali crea trasparenza e stimola comportamenti virtuosi anche in assenza di incentivi diretti.

B Corp: l’impatto come certificazione privata

Il terzo modello analizzato nel report è quello delle B Corp, imprese certificate da un ente privato internazionale che valuta la performance ambientale e sociale dell’azienda.

Diversamente dalle Società Benefit, le B Corp non derivano da una legge nazionale ma da un processo di autovalutazione e verifica indipendente condotto secondo standard globali.

In Italia, le B Corp sono in aumento ma rimangono numericamente limitate, soprattutto a causa del costo e della complessità del processo di certificazione. Tra queste, il SIM ha individuato 20 imprese con meno di cinque anni di attività, di cui 8 classificate anche come startup innovative.

Il modello, spiega Landoni, si sta affermando “come riferimento culturale più che normativo, capace di orientare le imprese verso una misurazione più rigorosa dell’impatto”.

Oltre le certificazioni: un ecosistema ibrido in costruzione

La ricerca del Politecnico evidenzia come il perimetro dell’impatto vada ben oltre le forme giuridiche codificate. Molte imprese operano con logiche di responsabilità sociale senza adottare etichette ufficiali.

Landoni parla di “organizzazioni ibride di fatto”, che perseguono obiettivi sociali o ambientali alla pari di quelli economici, ma non hanno ancora formalizzato il proprio status. La speranza dei ricercatori è che queste realtà scelgano di esplicitare il proprio impegno, rendendolo più riconoscibile per investitori e stakeholder.

L’avanzamento della cultura dell’impatto appare dunque come un percorso di normalizzazione: da pratica pionieristica a standard operativo per imprese di diversa natura.

Un processo che non riguarda solo la compliance, ma un cambio di mentalità in cui la sostenibilità diventa fattore competitivo e leva strategica di lungo periodo.

Imprese ibride e competitività sostenibile

La comparazione tra SIAVS, Società Benefit e B Corp offre un quadro chiaro della direzione intrapresa dal sistema produttivo italiano.

Se le prime restano una minoranza altamente regolata, le seconde si impongono come modello dinamico in grado di attrarre sia investitori sia giovani imprenditori. Le B Corp, infine, contribuiscono alla diffusione di standard internazionali che rafforzano la credibilità del mercato dell’impatto.

Dietro queste differenze, la ricerca del SIM riconosce un filo comune: la convinzione che impatto e profitto possano coesistere.

Come affermato nel corso della presentazione, “le organizzazioni che mettono l’impatto al centro creano valore economico e sociale, rafforzando la loro capacità di durare nel tempo”.

Un principio che non nasce da slogan, ma dai dati raccolti dal Politecnico di Torino, che testimoniano la crescita di un’economia dove l’ibridazione non è eccezione, ma nuova normalità.

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