Della exit di Nozomi Networks (comprata da Mistubishi Electric per un miliardo di dollari) si è scritto di tutto e di più, a proposito e, anche un po’, a sproposito. Anche perché è una fattispecie che in Italia ed in Europa è estremamente rara. Quindi chi ne parla (non parlo della stampa generalista, ma anche dei presunti addetti ai lavori) commenta un qualcosa che, non essendo stato mai vissuto in prima persona, è di difficile inquadramento.
Quindi, quando avevo sentito Andrea Carcano per fargli i complimenti, gli avevo preannunciato che, se avessi scritto qualcosa sulla vicenda, lo avrei fatto solo se c’era da dire qualcosa che non era stato già detto e, possibilmente, nulla di superficiale.
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Due cose che non sono state dette sull’exit di Nozomi
- Il deal è stato annunciato (perché il compratore Mitsubishi Electric è quotato in borsa) ma il closing non è ancora avvenuto (si è firmato il Master Agreement). Il che è un passo quasi finale, ma non quello definitivo. Cosa potrebbe mai succedere? Chiedete ad Adobe e Figma nel caso voleste avere delle opinioni al riguardo.
- Per Mitsubishi Electric è la più grande acquisizione della sua storia. In un settore (software) diverso da quello di operatività (hardware). Tra i motivi dell’acquisizione anche l’opportunità di imparare a fare software e, attraverso Nozomi, di cambiare la pelle dell’azienda. Per questo Nozomi Networks rimarrà indipendente dalla mothership. “È come avere uno zio ricco, fornendo supporto solo quando necessario, ma lasciando a Nozomi la massima autonomia operativa” ha riassunto così Andrea la situazione. Che insieme al team rimarranno a bordo e alla guida.
- Per chi prende denaro dal Venture Capital il fare una exit è un must. Perché bisogna ritornare il capitale. E, dal primo round in poi, non si è più i soli a decidere in azienda. Quindi, quando l’azienda viene venduta, il processo di graduale “spossessamento” della propria aziende era già iniziato prima.
La domanda che nessuno ha fatto
“Nessuno mi ha chiesto come mi sento. Solo mia moglie mi ha chiesto settimana scorsa se fossi felice”.
E la risposta di Andrea è stata sì, ma (conoscendolo un po’) non un sì convinto. O meglio un sì con un ma.
“È un po’ quando stai scalando l’Everest e ti fermi a settimila metri. È un risultato pazzesco. Quando io e Moreno (l’altro founder) siamo partiti, non avevamo nulla se non un sogno in tasca e 10mila euro a testa. Abbiamo sempre sognato in grande cercando di puntare al massimo ma arrivarci non è per nulla scontato. Contenti si, ma, tra me e me, un po’ rimane il senso dell’incompiuto”.
Il sogno di Andrea era la quotazione, l’IPO. Qui la domanda vera è se in quel caso sarebbe stato felice.
“Forse, ma, conoscendomi, anche in quel caso mi sarei forse chiesto perché uscire a 5 billion quando avrei potuto uscire a 100… alla fine c’è sempre la possibilità di fare meglio”.
La risposta – sotto sotto – si chiama feroce ambizione. Che è il motore che sta dietro ad ogni grande impresa (ne avevo discusso nel mio TEDx, qui il link). Ma che è la dannazione che rende l’artefice dell’impresa mai contento perché perennemente proiettato alla prossima sfida.
Andrea mi ha raccontato di essere stato invitato una decina di giorni fa al Lux Capital Founder & Leaders meeting riservato ad un centinaio dei founder delle aziende di portafoglio.
“La maggioranza dei founder in sala guardavano a me come ad un esempio. Ma io guardavo a quella decina che aveva fatto molto più di me. E, tra me e me, pensavo a persone che ho avuto il piacere di conoscere come Palmer Luckey che, dopo avere fondato e venduto Oculus a Meta, ha lanciato Anduril Industries”.
Le diverse reazioni fra Stati Uniti e Italia
“Un aspetto che mi ha fatto pensare è la diversa reazione alla notizia tra gli Stati Uniti e l’Italia. Su questo fronte l’America è avanti anni luce. Li ho avvertito stima sincera e curiosità verso il futuro: una pacca sulla spalla e subito a pensare a what’s next”.
Mentre in Italia Andrea racconta di avere visto una eccessiva attenzione all’aspetto economico (tra l’altro ingigantito dall’ignoranza, la cifra dell’acquisizione non corrisponde direttamente a quanto incassano i founder, che è invece il risultato di una complessa distribuzione tra investitori, dipendenti e altri stakeholder) rispetto al fatto di avere costruito una grande azienda partendo da zero in un posto ove dove spesso si fa impresa solo se si continua quella di famiglia.
“Mi sarei aspettato che il messaggio fosse positivo. Che nove anni di formazione in Italia, all’Università dell’Insubria, mi avessero dato gli strumenti per fare questo percorso durante il quale non mi sono mai sentito meno capace di nessun mio collega della Silicon Valley. La differenza (non irrilevante) è il network che università come Stanford e Berkeley ti abilitano e che ti fa muovere in modo infinitamente più veloce. Ma tecnicamente non mi è mai mancato nulla”.
C’è chi lo aveva previsto (in tempi non sospetti)
Oggi tutti a salire sul carro del vincitore.
Nel maggio scorso, poco dopo l’annuncio dell’ultimo round di Nozomi che aveva visto l’ingresso di due investitori strategici come Schneider Electric e Mitsubishi Electric, Andrea era stato ospite di Innovation Weekly. Interessante sentire cosa era stato detto tra il minuto 22 e il minuto 25…(il link per chi volesse approfondire.).

Un’ultima cosa, che è anche quello che ho scritto su LinkedIn il giorno dell’annuncio.Andrea, Moreno (Carullo) e tutto il team di Nozomi hanno fatto qualcosa di straordinario. Non solo con la exit di oggi, ma in tutti passaggi del loro viaggio: il primo milione raccolto, il round da 6.5 milioni, quello da 30, il primo grande round da 100 milioni e l’ultimo da 100 di cui si parlava sopra. Ognuna di quelle tappe sono traguardi per pochi. Pochissimi.
Conosco i due fin dalle prime fasi. E la cosa ancora più sorprendente è che non sono cambiati di una virgola, mantenendo un profilo “humble” e autentico. E questa è forse la notizia più bella.
Chapeau, con sincera ammirazione.







