Chi fa innovazione batte il mercato (anche nelle crisi), ma la capacità di farlo in modo sistematico è rara. In Europa in particolare, la “serialità” dell’innovazione è l’eccezione: molte imprese entrano una volta nelle classifiche globali e poi scompaiono, poche restano stabilmente al vertice.
È quanto emerge dal report In disruptive times, the resiliente win – Most Innovative Companies 2025 di BCG, che analizza due decenni di dati e individua un’agenda concreta per i leader in tempi turbolenti.
Per il lettore di EconomyUp, questi risultati si intrecciano con temi noti: difficoltà di crescita delle scaleup europee, bisogno di competenze digitali, salto “software-first” sull’AI, scarsa collaborazione tra corporate e startup.
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Innovare paga (sempre), soprattutto quando tutto intorno cambia
Nel lungo periodo il legame tra innovazione e creazione di valore è netto. Le aziende che compaiono con maggiore frequenza nella Top 50 globale di BCG hanno generato, dal 2005, un vantaggio medio annuo di +2,4 punti percentuali di TSR (Total Shareholder Return) rispetto al mercato. Nelle crisi il gap si allarga: +~14 punti durante la Grande Recessione e circa 24 punti nel primo anno della pandemia.
Il messaggio è semplice: l’innovazione non è un “nice to have”, è assicurazione di resilienza.
La performance finanziaria delle aziende più innovative (TSR)
| Periodo | Vantaggio TSR delle aziende più innovative |
|---|---|
| Media 2005–2023 | +2,4 pp/anno |
| Grande Recessione (2008–2009) | ~+14 pp |
| Primo anno COVID-19 (2020) | ~+24 pp |
I numeri confermano una questione spesso discussa su EconomyUp: in un’economia di shock concatenati, innovare “in ciclo” e “fuori ciclo” è la miglior polizza contro volatilità e disruption. Ma, avverte BCG, tradurre ambizioni in risultati è difficile.
Tra il 2021 e il 2024 è crollata la quota di executive che considerano la propria azienda un leader dell’innovazione (–24 punti percentuali) e l’“innovation readiness” misurata dall’indice i2i è precipitata dal 20% di aziende pronte a eseguire nel 2021 al 3% nel 2024.
Dalla percezione dell’innovazione alla prontezza (i2i)
| Indicatore | 2021 | 2024 |
|---|---|---|
| Aziende “pronte” a trasformare l’ambizione in risultati (indice i2i) | 20% | 3% |
| Dirigenti che vedono la propria azienda tra le più innovative | — | –24 pp vs 2021 |
Europa: presenza rilevante, continuità bassa
Guardando all’Europa, il quadro è ambivalente.
Il 31% delle aziende comparse almeno una volta nella Top 50 negli ultimi vent’anni è europeo: una presenza non marginale. Ma la continuità è la vera criticità. Il 36% delle aziende europee entra in classifica una sola volta (la quota più alta tra le regioni), solo quattro hanno ottenuto lo status di “serial innovator” (BMW, Daimler, Siemens, Philips) e solo il 4% ha raggiunto la Top 10 (contro il 17% della Cina, il 25% del Nord America e il 30% dell’Asia-Pacifico esclusa la Cina). L’industry mix pesa: solo il 9% degli innovatori europei appartiene a hardware e software, rispetto al 18% del Nord America, 31% della Cina, 19% dell’Asia-Pacifico.
Europa vs. altre regioni, quando manca la continuità
| Indicatore | Europa | Nord America | Cina | Asia-Pacifico* |
|---|---|---|---|---|
| Aziende apparse una sola volta nella Top 50 | 36% | 28% | 15% | 19% |
| Serial innovators (≥10 presenze) | 7% | 20% | 8% | 14% |
| Aziende che hanno raggiunto la Top 10 | 4% | 25% | 17% | 30% |
| Quota di aziende in tecnologia (HW+SW) | 9% | 18% | 31% | 19% |
*Asia-Pacifico esclusa la Cina.
BCG collega il ritardo anche a fattori strutturali: una cultura ingegneristica più conservativa, regimi burocratici e oneri regolatori relativamente maggiori e – soprattutto – sotto-investimento relativo in R&D. Dal 2005 al 2024, la R&D intensity rispetto ai peer settoriali è salita di 9% in Nord America ma scensa di 4,3 punti in Europa.
A questo proposito, il rapporto Draghi sulla competitività UE ricorda che nessuna azienda europea fondata da zero negli ultimi 50 anni ha superato i €100 mld di market cap, mentre negli USA tutte e sei le aziende sopra $1 trilione sono nate nello stesso periodo: una fotografia che EconomyUp ha spesso messo a fuoco ragionando di scaleup, colli di bottiglia nella crescita e carenza di “campioni” software.
Il digitale come moltiplicatore, e dove inciampa l’Europa
Il report è netto: i migliori innovatori sono digitali. Non necessariamente perché vendono prodotti digitali, ma perché usano strumenti digitali per accelerare l’intero ciclo, dall’idea al go-to-market. Due indizi puntano nella stessa direzione:
- Venture capital: nel 2024 oltre l’80% degli investimenti globali è andato verso adozione di AI e GenAI; nel lungo periodo le ondate tecnologiche (mobile, cloud, analytics, poi AI) hanno riplasmato la pratica dell’innovazione.
- Comportamento del top management: nei verbatim delle earnings call la quota di paragrafi che collegano digitale e innovazione è quasi quadruplicata tra le imprese “seriali” rispetto agli altri (2020–2024: 3,5% vs 0,9% dei paragrafi), segnale di una “ossessione” digitale che anticipa i risultati.
E poi c’è la nuova frontiera: l’AI agentica, con agenti specializzati che scrivono codice, generano prototipi, sveltiscono i cicli di ricerca prodotto. Microsoft stima che gli agenti producano il 30% del suo codice; casi d’uso in finanza e largo consumo mostrano riduzioni dei tempi di sviluppo fino al –60% mantenendo (o migliorando) la qualità. Per un continente che vuole emanciparsi dal ruolo di follower e costruire leadership su AI responsabile (altro tema spesso affrontato su EconomyUp, tra AI Act e infrastrutture di calcolo), la sfida è passare a un mindset software-first: competenze, dati, piattaforme, partnership.
Il punto critico resta la continuità: nel complesso solo il 14% delle aziende globali è “serial innovator” e appena il 3% è riuscita a entrare in classifica ogni anno dal 2005 al 2023. L’Europa, abbiamo visto, pesa nel gruppo di chi compare “a singhiozzo”. Per invertire la rotta, serve consolidare processi (portfolio management rigoroso, chiusura rapida dei progetti che non performano), cultura (tolleranza dell’errore, incentivi alla velocità), e talenti (attraction e retention su data/AI).
Sono i tasselli che in questi anni abbiamo visto ricorrere anche nelle storie di open innovation e corporate venture capital raccontate su EconomyUp.
Cosa devono fare i CEO europei: quattro mosse (più una)
BCG propone un’agenda di quattro direttrici per guidare l’innovazione nell’era delle frizioni geopolitiche e delle supply chain ridisegnate. È una check-list che parla molto all’Europa:
- Ridefinire l’ambizione: dove si spostano i profit pool? Quali bisogni emergenti (efficienza energetica, sicurezza delle filiere, servizi data-driven) possiamo servire meglio di altri? In che domini, invece, l’accesso ai mercati si restringe e conviene arretrare? .
- Ribilanciare il portafoglio: doppio click sui progetti con right to win, stop a quelli “zombie”, localizzazione dell’offerta dove il premio di prezzo compensa la minore scala globale.
- Ripensare i talenti: attrazione di figure world-class (anche sfruttando la mobilità intra-UE), pianificazione per i team con possibili vincoli di visti, upskilling mirato su data, cloud, AI agentica. (Cap. 3; nota stampa).
- Ridisegnare i centri di innovazione: alcuni hub possono diventare asset bloccati; altri vanno aperti dove emergono nuove opportunità. Non solo R&S: servono fab-lab digitali, ambienti di sperimentazione congiunta con startup e università.
La “mossa in più” per l’Europa è sposare senza ambiguità questo obiettivo: diventare leader “responsabili” nel software e nell’AI – investendo in infrastrutture di calcolo e rendendo la regolazione un vantaggio competitivo per modelli affidabili e interoperabili. Questa mossa, coerente con il Rapporto Draghi, potrebbe trasformare l’AI Act da vincolo a piattaforma di crescita e potrebbe cambiare l’attrattività del Vecchio Continente per i talenti globali
Come misurare i progressi (e dare continuità all’innovazione)
Per uscire dalla logica “hit-and-run”, e costruire serialità, i CEO dovrebbero misurare poche metriche di esecuzione da portare in CdA ogni trimestre. Alcune proposte, coerenti con la metodologia BCG ma facilmente implementabili:
- i2i score e tempo medio dal concept al MVP;
- percentuale di portafoglio allocata a iniziative digitali/AI e lead time delle decisioni di kill or scale;
- quota di ricavi da offerte lanciate negli ultimi tre anni;
- intensità R&D vs peer e mix software nei nuovi prodotti;
- attration dei profili data/AI e percentuale di ruoli critici coperti con talenti “top 10%”.
Parallelamente, i leader europei dovrebbero adottare la metodologia di scenario planning suggerita dal report: costruire 3–5 scenari credibili a cinque anni che combinano traiettorie tecnologiche (AI agentica, automazione), regimi di tassi e frizioni commerciali, e per ciascuno definire mosse di ambizione, portafoglio, talenti, footprint. È un approccio già familiare a molte aziende raccontate su EconomyUp – dal manifatturiero avanzato alla salute digitale – e consente di anticipare anziché inseguire.
L’ora dell’innovazione “a prova di crisi” (anche in Europa)
Il filo rosso dei dati BCG è chiaro: le aziende innovative vincono, soprattutto quando il contesto peggiora. Ma pochissime riescono a farlo con continuità. L’Europa ha energie e competenze per colmare il gap, a patto di sciogliere tre nodi: spendere di più e meglio in R&D, spostare il baricentro verso il software (AI inclusa) e dare sistematicità all’esecuzione.
La buona notizia è che la ricetta è actionable: un’agenda in quattro mosse, metriche di avanzamento semplici, e partnership con startup e università per accelerare. È lo stesso orizzonte che EconomyUp esplora da anni: un ecosistema che scala, innova in modo responsabile e crea campioni in grado di restare ai vertici non per un anno, ma per i prossimi venti.






