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CDP Venture Capital e Fassa Bortolo: 7 milioni alla startup Limenet per la calze senza CO2



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Investimento industriale dell’azienda Fassa Bortolo in partnership con CDP Venture Capital su Limenet per accelerare la produzione della calce decarbonizzata. Una frontiera strategica del cleantech

Pubblicato il 15 dic 2025



CEO Limenet
Stefano Cappello, Ceo e founder di Limenet

Innovazione e sostenibilità, un binomio strategico quandoentra nei processi industriali più difficili da trasformare. È il caso della filiera della calce e, più in generale, dei settori “hard to abate” che devono ridurre le emissioni senza alternative tecnologiche immediate. In questo scenario si inserisce Limenet, startup italiana attiva nel Carbon Dioxide Removal (CDR), che ha appena chiuso un investimento da 7 milioni di euro con CDP Venture Capital (tramite Green Transition Fund – PNRR e Fondo Acceleratori) e con il partner industriale Fassa Bortolo, tra i principali produttori di calce in Italia e nel mondo.

L’operazione, nelle intenzioni dei promotori, non è soltanto un round di crescita: è un tassello per costruire una filiera italiana della rimozione del carbonio, un ambito che sta diventando sempre più strategico per raggiungere gli obiettivi climatici e per dare una traiettoria industriale a tecnologie che, finora, hanno vissuto soprattutto tra laboratori, prototipi e impianti pilota.

Che cosa fa la startup Limenet

Limenet, startup fondata nel marzo 2023, si definisce una società benefit deep tech operante nel settore della rimozione di CO₂ (CDR) e descrive la propria tecnologia come capace di produrre calce decarbonizzata per rimuovere CO₂ e stoccarla in mare in forma di bicarbonati.
La startup è stata fondata da Stefano Cappello (CEO & Founder), insieme a Giovanni Cappello (CTO & Co-founder) ed Enrico Noseda, e si posiziona come una delle poche realtà al mondo che propongono una tecnologia per decarbonizzare la calce “utilizzando il mare come bacino per lo stoccaggio di CO₂”.

Limenet lavora su un punto preciso: produrre calce decarbonizzata e usarla come leva per rimuovere CO₂ dall’atmosfera attraverso un approccio noto come Ocean Alkalinity Enhancement (in italiano, alcalinizzazione del mare). Il meccanismo è chimico e “naturale”: la CO₂, una volta intercettata nel processo, viene trasformata in bicarbonati, specie chimiche naturali ed essenziali presenti nei mari.

Qui c’è il punto che distingue la proposta da molte soluzioni di cattura: lo stoccaggio non avviene in cavità geologiche o in materiali solidi, ma nel mare, attraverso la conversione in bicarbonati. Inoltre, la startup rivendica anche un potenziale co-beneficio: grazie al loro effetto tampone, i bicarbonati “contrastano l’acidificazione degli oceani”, indicata come uno dei planetary limits già superati (secondo un rapporto Copernicus di ottobre 2025).

È una narrazione che intercetta due urgenze: tagliare le emissioni nei processi industriali tradizionali e sviluppare tecnologie di rimozione con un percorso credibile verso la scala. È anche qui che entra la dimensione della transizione ecologica: portare innovazione nel cuore della manifattura, dove il salto dall’idea al mercato dipende spesso da capitali pazienti e da partner industriali.

Perché la calce è un problema (e un’opportunità)

Il settore della calce è spesso fuori dai radar del dibattito pubblico, ma pesa moltissimo nella contabilità climatica. Il comunicato che annuncia il round ricorda che produzione e utilizzo della calce rappresentano circa il 5–8% delle emissioni globali di CO₂.
È un dato che dà il senso dell’ordine di grandezza: se una tecnologia riesce a intervenire su un nodo così emissivo, l’impatto potenziale può diventare rilevante, a patto di superare il vero “muro” delle climate tech: industrializzare, certificare, scalare.

Da qui la logica della calce decarbonizzata: non solo ridurre un pezzo consistente di emissioni di processo, ma usare la stessa traiettoria industriale per abilitare anche rimozioni. È il motivo per cui, in questa partita, i round non contano soltanto per la valutazione della startup: contano per la capacità di costruire impianti, accordi di filiera, supply chain e standard di misurazione.

A cosa serviranno i capitali: il primo progetto industriale

7 milioni serviranno alla crescita e al completamento del primo progetto industriale di Limenet, “focalizzato sulla produzione di calce decarbonizzata finalizzata alla rimozione di CO₂ e stoccaggio della medesima tramite il mare”. mÈ una frase che, letta con la lente di chi segue l’innovazione industriale, significa soprattutto una cosa: passare dalla dimostrazione alla replicabilità. La parola “industriale” in Italia è spesso usata con leggerezza; qui, invece, è la soglia critica per misurare se una tecnologia può entrare in un mercato “pesante” e regolato, fatto di impianti, permessi, standard e grandi volumi.

In parallelo, la startup sottolinea di voler accelerare lo sviluppo di “soluzioni innovative in grado di ridurre le emissioni di CO₂”, in una traiettoria che posiziona Limenet non solo come climate startup, ma come player potenziale di transizione industriale.
Anche dal punto di vista finanziario, il round arriva in un momento di crescita: la raccolta complessiva di capitali in equity “raggiunge oggi 9,5 milioni di euro”.

Il team di Limenet

L’effetto ETS: perché dal 2034 il settore sarà sotto pressione

C’è poi un fattore normativo che può trasformare i “progetti” in necessità industriali. In Europa, dal 2034, il settore della calce sarà oggetto di regolamentazioni più stringenti per via del “phase-out totale delle quote gratuite di emissione di CO₂ (free-allowances) nel mercato del sistema ETS”.
In parole semplici: se pagare la CO₂ diventa più caro e più inevitabile, decarbonizzare non è solo una scelta reputazionale. Diventa un tema di costi, competitività e accesso al mercato. Questo elemento è centrale anche nella narrazione di Innovazione e sostenibilità: la sostenibilità non come “extra”, ma come architrave di competitività industriale. Ed è qui che l’ingresso di un partner come Fassa Bortolo assume un valore preciso: non è solo capitale, è anche una porta verso esigenze reali di processo e una possibile adozione di filiera.

La parola ai protagonisti: due fronti complementari

Stefano Cappello, CEO e co-founder di Limenet, lega l’investimento a una strategia di sviluppo industriale con una doppia direttrice: “Questo investimento segna un momento cruciale per Limenet: ci permette di accelerare il nostro sviluppo industriale su due fronti che riteniamo complementari”.
E poi entra nel merito: “Da un lato grazie alla calce decarbonizzata, Limenet ha l’opportunità di offrire sul mercato una soluzione in grado di decarbonizzare un settore “hard to abate” e dall’altro di utilizzare la stessa tecnologia per contribuire concretamente alla rimozione della CO₂ dall’atmosfera”.

È un passaggio che racconta bene l’impostazione: non “solo” rimozione, non “solo” transizione industriale, ma un modello che prova a tenere insieme entrambe le cose. Un tema che, per molte climate tech, è determinante: se la tecnologia vive solo di carbon credit o solo di efficienza industriale, rischia di rimanere appesa a un unico mercato. L’idea dichiarata qui è usare la calce come ponte tra mercati, capacità produttiva e impatto climatico.

La scommessa di CDP Venture Capital: dalla ricerca all’esecuzione industriale

Per Stefano Molino, Responsabile del Fondo Acceleratori di CDP Venture Capital, sostenere Limenet significa puntare su una “tecnologia rivoluzionaria” legata alla decarbonizzazione industriale: “Sostenere Limenet significa credere in una tecnologia rivoluzionaria che affronta una delle sfide più urgenti del nostro tempo: la decarbonizzazione industriale”.
E aggiunge l’elemento più “da investitore”: la capacità di trasformare ricerca in impianti: “Il team di Limenet ha dimostrato una straordinaria capacità di trasformare ricerca avanzata in applicazioni industriali. Dal laboratorio all’impianto pilota, fino alla progettazione di un sito produttivo in Sicilia”.

Quel riferimento alla Sicilia è tutt’altro che marginale: racconta l’intenzione di mettere radici industriali (e non solo sperimentali) e di farlo in un territorio dove la transizione energetica e industriale si intreccia anche con riconversioni complesse, infrastrutture portuali e temi di impatto locale.

Il ruolo di Fassa Bortolo: partnership di filiera e processi a minore impatto

Fassa Bortolo, invece, è un gruppo industriale storico: fondato nel 1710, oggi è tra i principali player europei per sistemi e materiali per l’edilizia, con 21 stabilimenti produttivi e circa 2.000 collaboratori. Negli ultimi anni ha avviato programmi per ridurre l’impronta carbonica e rendere più efficienti i processi produttivi.

Dice Manuela Fassa, Consigliere d’Amministrazione di Fassa S.r.l.: “Per Fassa Bortolo questo investimento rappresenta un passo naturale nel percorso di innovazione e decarbonizzazione che stiamo portando avanti con determinazione in tutte le nostre filiere produttive”.
E inquadra la tecnologia come un mix di visione e concretezza: “La tecnologia sviluppata da Limenet unisce visione, ricerca avanzata e concretezza industriale”.

La dichiarazione si spinge anche sul perché: ridurre l’impronta carbonica in un settore difficile e “accompagnare l’industria verso un futuro più sostenibile”, con un richiamo esplicito alle partnership tra competenze diverse. E chiude sul punto operativo: l’ingresso in Limenet “rappresenta un’opportunità significativa per accelerare processi produttivi a minore impatto ambientale”.

In una frase: Fassa Bortolo porta la logica della filiera e dell’adozione industriale. E, nel mondo della transizione, questo spesso vale quanto (o più) dei capitali, perché riduce uno dei rischi principali per una startup: rimanere “una bella tecnologia” senza mercato.

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