LA STORIA

Up, ecco la startup che “ruba” energia alle auto (e ha preso 1 milione da UniCredit)

Underground Power propone una modalità innovativa di sfruttare le vibrazioni dei veicoli sull’asfalto. Un’idea che si è guadagnata un finanziamento-record dalla banca milanese. E che avrà ulteriori sviluppi. “Per ora niente exit, vediamo dove arriva il progetto” dice il Ceo Pirisi

Pubblicato il 01 Dic 2014

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Andrea Pirisi, Ceo di Underground Power

Sono nati (anche loro) in un garage, hanno investito i primi soldi di tasca propria, hanno atteso per anni che qualcuno credesse veramente nella loro idea e alla fine ce l’hanno fatta: il team di Up, Underground Power, ha ottenuto di recente un milione di euro di finanziamento da Unicredit per la sua business idea che, in parole povere, consiste nel ricavare energia dalle vibrazioni delle macchine sull’asfalto. Parlando con il Ceo e presidente Andrea Pirisi si capisce perché una grande banca ha deciso di puntare su questa startup: oltre al progetto indubbiamente innovativo, dalle parole del 35enne originario di Monza emergono capacità di autocritica e lungimiranza. “Uno degli anni più utili per noi – rievoca – è stato il 2009, trascorso in presentazioni a investitori privati: ogni volta ci massacravano di critiche. Alla fine non abbiamo raccolto un soldo ma per ogni critica abbiamo cercato una soluzione che potesse rimuoverla. È solo così che siamo riusciti a trasformarci da un gruppo di persone che aveva avuto una bella idea a qualcuno con un progetto concreto per realizzarla”.

Underground Power oggi produce Lybra, dispositivo modulare brevettato simile ad un dosso stradale, installato alla stessa altezza della strada, in grado di rallentare i veicoli in modo tale da assorbirne la velocità per trasformarla in energia elettrica. Quest’anno Up ha installato il primo impianto Lybra presso il Centro Commerciale Auchan di Rescaldina (Milano): in pratica Auchan si accinge a sfruttare l’energia prodotta dagli automezzi che si recano nel centro per poter illuminare i propri negozi e far andare i propri impianti.

Tutto è partito da…una boa. “Nel 2007 – racconta Pirisi – stavo facendo il Dottorato di Ricerca presso il Dipartimento di Ingegneria Elettrica del Politecnico di Milano con il professor Riccardo Zich, che poi è diventato uno dei nostri finanziatori”. Il team lavorava a un progetto pilota per il monitoraggio della barriera corallina in collaborazione con università australiane: in pratica stavano mettendo a punto una boa dotata di sensori per misurare l’illuminazione solare, la temperatura dell’acqua, ecc. ecc.

A Pirisi, che era arrivato a metà del progetto, è stato chiesto di escogitare un modo per alimentare la boa. “Con un collega ingegnere meccanico – rievoca – ci siamo messi a lavorare su una boa che si muovesse a stantuffo e trasmettesse a un generatore. Da lì abbiamo iniziato a ragionare su una boa più grande in grado di erogare energia capace di alimentare un edificio. Nel 2008 abbiamo realizzato un prototipo in scala e lo abbiamo installato nel Parco Nazionale della Maddalena. Si trattava di una boa – spiega – con un generatore interno alimentato dal moto oscillatorio dell’onda. L’idea, a quel punto, era collocare una serie di boe sulla riva del mare che, sfruttando il moto oscillatorio, fosseeo in grado di generare energia consumabile dalla città”.

Era l’inverno del 2008: per realizzare quel prototipo Pirisi coinvolse l’amico Massimiliano Nosenzo, che aveva una sua azienda. Il business plan fu invece affidato ad Andrea Corneo, laureato in economia e impiegato in Banca Imi.

A quel punto dichiararono aperta la caccia ai finanziamenti. Attraverso conoscenze comuni i tre amici contattarono Sofinnova, uno dei più innovativi fondi di venture capital europei, con sede a Parigi, e individuarono il referente per le aziende impegnate nel settore energie pulite. Si chiamava Alessio Beverina ed era un italiano che risiedeva a Parigi. “Da lui non avemmo mai un soldo, ma qualcosa di molto più importante: una valutazione e dei contatti” dice Pirisi.

“Di solito le presentazioni ai venture capitalists durano un’ora, la nostra durò tre ore e mezza” ricorda il Ceo di Up. “Alla fine Beverina disse: mi piace la tecnologia, mi piace il team, ma non mi piace l’applicazione, perché i progetti che sfruttano l’energia delle onde marine sono ‘lenti’. Prima di arrivare a un prodotto maturo ci vogliono molti anni di sviluppo”. E, come è noto, i venture capitalists, investono in progetti con ritorno economico molto più rapido.

A quel punto il team di Up tirò fuori una carta di riserva. “La nostra seconda applicazione era il dosso stradale, ovvero applicare la stessa tecnologia pensata per le boe al manto stradale”. Neppure questo convinse Beverina a puntare sulla startup, ma riuscì a persuaderlo a mettere in contatto i giovani innovatori con investitori privati milanesi.

Sofinnova non ci ha dato soldi – commenta Pirisi – ma qualcosa di molto più utile nella fase in cui eravamo. Ci sono soldi buoni e soldi cattivi. Quelli buoni sono i finanziamenti concessi senza che debba esserci un risultato immediato, dando tempo all’azienda di sperimentare e crescere. Abbiamo passato il 2009 – prosegue – a fare presentazioni. Ogni investitore che incontravamo ci massacrava di critiche e per ogni critica cercavamo una soluzione che potesse rimuovere la critica. Lo considero un periodo utilissimo perché stavamo crescendo a livello professionale e di testa e stavamo lavorando con professionisti del settore”.

Questo percorso ha portato alla realizzazione, a fine 2009, di un business plan finalmente credibile. Così il team ha iniziato a partecipare ai concorsi. Ha vinto il primo premio come miglior progetto di impresa innovativa in un contest organizzato a Monza, aggiudicandosi 12mila euro. Successivamente ha conquistato altri 50mila euro messi in palio dal Premio D2T edizione 2010 di Trentino Sviluppo. “Adottata” dalla Provincia di Trento, ha ottenuto altri 136mila euro di finanziamenti a fondo perduto: soldi che sono serviti a passare dal modello Lybra 1 al Lybra 5. Nel frattempo Up ha aperto la sede legale a Trento.

A fine 2011 ha partecipato a una gara organizzata da Banca Intesa, la StartupInitiative: il premio consisteva nella possibilità di accedere a un programma di roadshow. Così la squadra di Up ha avuto modo di conoscere investitori a Parigi, Francoforte e nella sede di Banca Intesa. Attraverso un accordo tra l’istituto bancario e l’incubatore italo-americano Mind the Bridge, la startup ha potuto presentarsi nel 2012 anche agli imprenditori della Silicon Valley a San Francisco. Tutto questo ha suscitato l’attenzione dei media: sono usciti alcuni articoli e uno di questi è stato letto da un dirigente del centro commerciale Auchan. È stata la svolta: dopo un anno è stato firmato il contratto per la fornitura del primo prodotto.

Intanto sono arrivati 3 aumenti di capitale da 700mila euro con investitori privati, un prestito da 400mila euro dal Banco di Desio, 700mila dal Credito Artigiano e il milione di euro da UniCredit. Si tratta di un prestito, la prima rata sarà nel 2015, ed è garantito all’80% dal Medio Credito Centrale attraverso il Fondo di Garanzia per le startup. Uno strumento a disposizione delle imprese innovative che anche in questo caso ha funzionato. Attualmente la società sta cercando di ottenere un investimento da un milione di euro attraverso un aumento di capitale da parte di un partner strategico.

Ma cosa produce Up? Elementi modulari larghi come una carreggiata e lunghi un metro e mezzo, di colore nero, installati al posto dell’asfalto. Quando l’automobile ci passa sopra ne comprime leggermente la superficie: la compressione assorbe l’energia cinetica del veicolo e un sistema la trasforma in energia elettrica.

“Il senso del dispositivo – spiega il Ceo – è assorbire energia: quando un’automobile è in prossimità di una curva o una rotonda, è costretta a ridurre la velocità. La frenata trasforma quella velocità in energia, destinata a disperdersi nell’ambiente. Noi invece puntiamo a sfruttarla. All’ingresso di Auchan passano circa 8000 auto al giorno: una fonte di energia che il centro commerciale può utilizzare per alimentare i propri impianti”.

In realtà l’iniziativa si è attirata anche diverse critiche negli anni: alcuni sostengono che i dossi rischiano di spaccare i semi-assi delle macchine. I giovani di Up replicano che non si tratta di veri dossi ma piattaforme installate in strada senza variazione di livello. Altri hanno accuso la startup di “rubare” energia alle auto.

Loro vanno avanti e si tengono stretta la propria azienda. “Non vogliamo fare gli startupper seriali – afferma Pirisi – ma far crescere quello che abbiamo coltivato. Non ci interessava lavorare per 5 anni e poi vendere tutto. Vogliamo vedere dove può arrivare il nostro progetto perché lo merita. Poi magari un giorno faremo una exit, ma al momento la pensiamo così”.

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