l’analisi

Retail Media, un modello che funziona. Ma attenzione alla frammentazione e alla governance



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Il retail media (pubblicità collocata all’interno delle piattaforme di vendita al dettaglio) genera ROI misurabili, intercetta consumatori ad alta intenzione d’acquisto, offre capacità che il trade tradizionale non può eguagliare. Ma funziona solo se si supera la frammentazione organizzativa e si decide chi comanda davvero

Pubblicato il 12 nov 2025

Marta De Cunto

Retail Media & Marketplace Director della digital agency Ciaodino



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retail media

Ogni anno il marketing proclama una “rivoluzione”: l’avvento di qualcosa destinato a stravolgere il settore.

Da un po’ di tempo ormai parliamo della rivoluzione del retail media (la
pubblicità collocata all’interno delle piattaforme di vendita al dettaglio quali supermercati, negozi fisici e siti di e-commerce che permette ai brand di raggiungere i consumatori nel momento in cui cercano prodotti e prendono decisioni d’acquisto) e del grande flusso di denaro che ha iniettato nella scena digitale.

Ma in pochissimi si fermano a riflettere su dove finisca il trade marketing e dove inizi davvero il retail media.

Non è solo una questione semantica. È una linea invisibile che sta ridefinendo budget, poteri e strutture organizzative.

Segui i soldi e scoprirai la verità

Partiamo dai numeri, quindi, per tracciare il confine e scoprire da dove arrivano i soldi e dove vanno.

Nel 2025, il retail media raggiungerà quasi 177 miliardi di dollari a livello globale. In Italia parliamo di 640 milioni di euro (+27% rispetto al 2024), destinati a raggiungere potenzialmente il miliardo.

Ed è qui che tocca porsi una domanda scomoda: da dove arrivano tutti questi soldi?

Secondo Forrester, ecco la realtà:

  • 56-70% proviene dai budget trade/shopper marketing esistenti
  • 30-44% deriva da media tradizionali (TV, display, programmatic)
  • Solo il 30% è genuinamente incrementale

Questo vuol dire che oltre metà dei fondi retail media non sono affatto “nuovi”. Sono quei budget che l’anno scorso chiamavamo in un altro modo.

Il grande travaso

I dati IAB Europe 2025 mostrano chiaramente da dove si sta spostando il denaro:

  • Display Advertising: 55% del budget migra verso retail media
  • TV Lineare: 45% viene riallocato
  • Programmatic: 39% si sposta
  • Search: 24% viene trasferito

Nel mondo FMCG, il fenomeno è ancora più evidente. Il 56% dei brand attinge direttamente al budget trade/shopper marketing per finanziare il retail media. Per il Food & Beverage, gli investimenti in retail media rappresentano già il 5-25% dell’ad spend totale.

È un rebranding? In parte sì. Ma è anche qualcosa di più.

Nuove etichette, vecchi gatekeeper

I retailer hanno scoperto che invece di incassare sconti e fee di listing, possono trasformare le loro piattaforme in media networks. E i brand scoprono che per avere visibilità sullo scaffale digitale – e sempre più spesso anche su quello fisico – non basta più pagare una fee. Serve investire in media.

Stiamo prendendo i soldi delle promozioni in-store, delle end-cap, degli scaffali premium, e li stiamo investendo negli stessi retailer. Solo che ora li chiamiamo sponsored products invece di trade allowance. E facciamo finta che sia un terreno completamente nuovo.

In realtà non è così semplice: prima di concludere che sia solo un gioco di etichette, dobbiamo riconoscere una cosa: qualcosa è davvero cambiato.

I retailer stanno investendo massicciamente in:

  • Targeting granulare basato su dati di prima parte
  • Misurazione in tempo reale delle performance
  • Ottimizzazione continua attraverso algoritmi sofisticati
  • Integrazione omnicanale tra online e offline

Quindi no, non è solo rebranding. C’è valore reale, capacità nuove, risultati misurabili.

Il problema, quello vero, emerge quando cerchi di capire chi, nella tua organizzazione, dovrebbe gestire tutto questo.

La Linea Invisibile

Se si provasse a chiedere alle aziende “Chi è responsabile del retail media?” la risposta stupirebbe.

Solo tra il 48% delle organizzazioni ha una idea chiara in merito.

Se ne evince che il 52% delle aziende che non ha idea di chi controlli cosa.

I numeri sono impressionanti: secondo il Digital Shelf Institute, esistono 22 diverse combinazioni organizzative per gestire il retail media. Ventidue.

La Guerra Civile Silenziosa

Ecco cosa sta succedendo davvero nelle sale riunioni.

Il CMO dice: “Il retail media è advertising digitale. Serve targeting, creatività, brand consistency. Rientra nel mio perimetro.”

Il Trade Director replica: “Il retail media è parte della negoziazione con il retailer. Senza le mie relazioni con i merchant, non vai da nessuna parte. È sotto la mia responsabilità.”

Il risultato? Il 65% delle organizzazioni FMCG sta vivendo conflitti aperti tra queste due funzioni. E mentre si combatte per il controllo, il budget viene allocato in modo subottimale, le competenze rimangono silotizzate, e il merchant, che controlla effettivamente l’85% delle decisioni su distribuzione e visibilità, guarda, aspetta, e decide chi può giocare.

Perché senza il supporto del merchant, il retail media è solo un bel PowerPoint.

I Tre Modelli (E I Loro Problemi Nascosti)

Marketing-Led: Controllo Creativo, Gap Relazionale

Adottato dal 25% delle aziende, incluse realtà evolute come Kenvue (ex J&J)

I vantaggi:

  • Brand consistency impeccabile
  • Dati integrati e customer insights superiori
  • Armonia cross-channel ottimizzata

Il problema che nessuno dice:

I team marketing capiscono di creatività e targeting, ma spesso non hanno la minima idea di come funziona una negoziazione trade. Risultato: campagne bellissime che non ottengono lo spazio o il supporto del retailer necessario per performare.

Il merchant non risponde alle email del marketing. Risponde al trade director.

Trade-Led: Realismo Pragmatico, Limiti Digitali

Modello dominante: 40% delle aziende

I vantaggi:

  • Eccellente intelligence su categoria e retailer
  • Relazioni solide con i merchant
  • Allineamento naturale con obiettivi di sell-in

Il problema che nessuno dice:

I team trade ragionano in termini di volumi e margini, non di CTR e ROAS. Il retail media diventa un’estensione della negoziazione: “Ti do un budget in advertising se mi dai più visibilità in shelf space”.

Il risultato? Messaggi brand inconsistenti, scarsa armonia cross-channel, e metriche digital che nessuno sa davvero leggere.

Hybrid: La Teoria Perfetta, La Pratica Complessa

In crescita: 35% delle aziende

I vantaggi:

  • Approccio bilanciato che combina competenze diverse
  • Performance ottime sui diversi KPI
  • Flessibilità nell’allocazione budget

Il problema che nessuno dice:

Coordinare team multipli richiede processi chiari, KPI condivisi, e una cultura collaborativa che molte organizzazioni semplicemente non hanno.

Il risultato? Decisioni lente, riunioni infinite per allineamento, e la sensazione costante che “con un po’ più di coordinamento potremmo fare meglio”.

La Realtà Italiana: Frammentazione al Cubo

Se pensate che questo sia complicato, applicate tutto al contesto italiano.

Solo l’8% dei retailer italiani offre servizi retail media strutturati. Il mercato vale 640 milioni nel 2025, ma è frammentato in modo estremo.

Il risultato? Ogni retailer ha il suo sistema, le sue metriche, il suo modo di lavorare. E i brand devono imparare dieci lingue diverse per fare la stessa cosa.

In Europa non va molto meglio: il mercato vale 13,7 miliardi di euro, ma il 53% degli advertiser lamenta la mancanza di standardizzazione, e il 51% è preoccupato dalla frammentazione dei network.

Le logiche conclusioni

Quello che emerge quindi è che, nonostante il budget per il retail media non sia nuovo denaro immesso nel settore, ma semplicemente una riallocazione di un budget esistente, non il budget a costituire un problema.

Il retail media non ha un problema di budget. Ha un problema di governance.

Non è quanto spendiamo, ma chi decide cosa, come lo misuriamo, e chi è responsabile dei risultati.

Le aziende che stanno vincendo non sono quelle che spendono di più. Sono quelle che hanno:

  • Ownership chiara del retail media
  • KPI condivisi tra marketing e trade
  • Competenze integrate (non team separati che si ignorano)
  • Processi decisionali che coinvolgono il merchant dall’inizio

La Vera Linea d’Ombra

Quindi, mentre si continua a discutere se il retail media “mangia” i budget trade (lo fa, i dati sono chiari), forse dobbiamo farvi una domanda diversa:

Nelle organizzazioni, chi traccia la linea tra trade e retail media? E quella linea serve a definire responsabilità o a proteggere territori?

Perché quando sposti un euro dal trade marketing tradizionale al retail media, non stai solo cambiando canale. Stai ridefinendo:

  • Chi ha potere decisionale
  • Chi controlla le relazioni con i retailer
  • Chi è misurato su cosa
  • Chi cresce (in headcount e budget) e chi si riduce

Fino a quando il retail media sarà un campo di battaglia interno piuttosto che una strategia integrata, continueremo a spostare soldi da una tasca all’altra senza costruire reale valore incrementale.

Il Punto di Equilibrio

Il retail media funziona. I dati lo dimostrano. Genera ROI misurabili, intercetta consumatori ad alta intenzione d’acquisto, offre capacità che il trade tradizionale non può eguagliare.

Ma funziona solo se si supera la frammentazione organizzativa e si decide chi comanda davvero.

E la risposta è ovvia: nella maggior parte dei casi, dovrebbe comandare chi sa leggere sia i dati digital che le dinamiche trade.

Con il 56-70% dei fondi retail media che proviene dal trade, e il 65% delle organizzazioni in conflitto interno, la vera domanda non è più “dove investiamo”.

La vera domanda è: esiste la governance per farlo bene?

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