L’INTERVISTA

Da Smart City a Senseable City, Carlo Ratti: “Così usiamo la tecnologia per innovare le città”



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L’architetto e urbanista Carlo Ratti parla a EconomyUp dei progetti in corso con il MIT Senseable City Lab e di come la tecnologia possa essere utilizzata nelle città. Tenendo conto che oggi la sfida principale è una maggiore integrazione tra il mondo naturale e quello artificiale

Pubblicato il 10 giu 2025

Luciana Maci

Giornalista



Carlo Ratti
Carlo Ratti, Director, SENSEable City Laboratory, MIT – Copyright: World Economic Forum/Mattias Nutt

L’innovazione tecnologica è indispensabile per rendere una città più smart, anzi più “senseable“. “La tecnologia – dice l’architetto e urbanista Carlo Ratti a EconomyUp – rafforza le interazioni esistenti, supporta la spontaneità, moltiplica le possibilità d’uso dello spazio urbano”. Ma attenzione: “L’idea centrale è che siano le persone a plasmare gli strumenti digitali e non il contrario”.

Non a caso Ratti è una figura di riferimento internazionale nella ricerca sull’interazione tra spazio urbano, tecnologie digitali e comportamento umano. E non a caso ha fondato e dirige il Senseable City Lab, laboratorio presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT), con il quale sta portando avanti una serie di sperimentazioni e iniziative. Per esempio il progetto Pointiest Path analizza i dati GPS per mostrare che le persone scelgono percorsi urbani più intuitivi che brevi, aiutando a ripensare la progettazione degli spazi. Treepedia mappa la copertura arborea delle città per individuare aree con carenze verdi e promuovere la forestazione urbana. Diversitree studia la biodiversità arborea per favorire piantumazioni resilienti e sostenibili. DustBloom traccia pollini e particolato per monitorare la qualità dell’aria e orientare scelte urbane più salubri. Flatburn propone sensori open-source a basso costo per il monitoraggio ambientale partecipativo. HubCab analizza le corse in taxi a New York per ottimizzare la mobilità condivisa.

Tutti progetti mirati a rendere la città più “senseable”. Un concetto sul quale si basa il lavoro dell’architetto e sul quale torniamo ora con lui per capire meglio e approfondire il tema.

Cos’è una Senseable City

Lei da tempo propone un cambio di paradigma nel concepire le città del futuro, passando dal concetto di “smart city” a quello di “senseable city”. Quali caratteristiche deve avere una senseable city?

Non ho mai apprezzato molto il termine “smart city”, perché implica che la sola tecnologia basti a risolvere i problemi urbani. Quando ho fondato il laboratorio al MIT, ho preferito chiamarlo Senseable City Lab, un gioco di parole tra “sensible” e “able to sense”: una città capace di percepire, ascoltare, rispondere ai bisogni delle persone. Una senseable city è empatica, adattiva, centrata sull’essere umano. È una città che evolve con chi la abita.

Qual è il ruolo dei cittadini in questo tipo di città?

I cittadini sono il cuore pulsante della senseable city. La tecnologia, in questo contesto, non impone comportamenti, ma rafforza le interazioni esistenti, supporta la spontaneità, moltiplica le possibilità d’uso dello spazio urbano. L’idea centrale è che siano le persone a plasmare gli strumenti digitali e non il contrario.

La città intelligente, lei dice, è basata sull’integrazione tra tecnologia e spazio urbano. Quali tecnologie vengono utilizzate nella senseable city?

Tutte le tecnologie che ci permettono di comprendere meglio la città. Un secolo fa, Walter Benjamin parlava dell’importanza dell’osservazione urbana; negli anni Settanta, William Whyte utilizzava videocamere Super 8 per documentare la vita negli spazi pubblici di New York, rendendola materiale progettuale. Oggi possiamo riprendere quell’approccio su scala urbana grazie a video digitali, sensori e intelligenza artificiale. Possiamo analizzare intere città in tempo reale, mappare dinamiche sociali, rilevare spazi sottoutilizzati e trasformare questa conoscenza in progettazione consapevole.

Città del futuro: il ruolo dell’AI

Quale ruolo avrà l’intelligenza artificiale nelle città del domani?

Senza dati, l’AI è un cervello vuoto. L’intelligenza artificiale sarà quindi uno strumento essenziale solo se alimentata da dati significativi. In generale, la sua forza sta nella capacità di rilevare schemi invisibili, interpretare comportamenti, migliorare la comprensione sia della dimensione fisica della città – l’urbs, come dicevano gli antichi Romani – sia di quella sociale – la civitas. Al Lab, ad esempio, usiamo l’AI per mappare la vegetazione urbana, monitorare i microclimi, quantificare emissioni o analizzare l’uso degli spazi pubblici. In un progetto chiamato Pointiest Path, l’analisi di dati GPS ha rivelato che le persone scelgano percorsi intuitivi, non sempre i più brevi. L’AI diventa così uno strumento per capire meglio la città e di conseguenza progettarla con maggiore aderenza ai comportamenti reali.

Quali competenze sono necessarie per costruire una senseable city?

Serve un approccio profondamente interdisciplinare. Architetti e urbanisti devono collaborare con ingegneri, informatici, sociologi, economisti. I percorsi formativi stanno cambiando rapidamente: al MIT e al Politecnico di Milano vediamo sempre più figure ibride, capaci di muoversi tra progettazione spaziale e programmazione. Un esempio è HubCab, progetto in cui matematici e urbanisti del nostro Lab hanno analizzato milioni di corse in taxi a New York, portando a proposte concrete per la mobilità condivisa e a collaborazioni con servizi come Uber Pool. In futuro, prevedo un’integrazione crescente con la biologia e le scienze della vita.

Portrait CARLO RATTI

La Senseable City e la mobilità

Mobilità sostenibile e micromobilità: come dobbiamo ripensare il trasporto urbano nelle senseable cities?

La mobilità urbana va vista come un sistema integrato, flessibile, dinamico, quello che chiamo “Moving Web”. Una rete che coordina in tempo reale trasporto pubblico, biciclette, navette autonome, monopattini. L’obiettivo è offrire un’esperienza fluida, intuitiva e sostenibile, in cui le persone possano scegliere liberamente in base alle proprie esigenze quotidiane. È una mobilità costruita attorno agli utenti, non vincolata da infrastrutture rigide.

L’integrazione tra città e natura alla Biennale di Venezia

Lei sostiene che la vera sfida per chi si occupa di progettazione architettonica o urbana oggi sia puntare a una maggiore integrazione tra il mondo naturale e quello artificiale. Come è possibile? Ci può fare qualche esempio di questa integrazione?

È il tema al centro della Biennale Architettura di Venezia 2025: Intelligens. Natural. Artificial. Collective. (fino al 23 novembre 2025).L’integrazione tra natura e artificio non è più una scelta, ma una necessità. Dobbiamo leggere le interazioni già esistenti tra ecosistemi, comprenderle con l’aiuto di tecnologie e dati, e trasformarle in soluzioni progettuali. Progetti come Diversitree, che analizza la biodiversità arborea urbana, o DustBloom, che traccia pollini e particolato atmosferico, ci offrono informazioni preziose per il progetto urbano.

Lei ha spesso parlato delle città post-pandemia. Ora che quegli anni sembrano lontani (anche se non lo sono) cosa è cambiato davvero e in modo duraturo nelle nostre città a seguito del fenomeno pandemico?

Sono emersi due cambiamenti duraturi. Il primo è tecnologico: il lavoro da remoto, la fruizione digitale dei servizi, l’abitudine alla distanza – tutto questo è diventato parte stabile della nostra quotidianità. Il secondo è, per così dire, epistemologico: abbiamo acquisito una nuova consapevolezza della città come rete complessa, fatta di relazioni, umane e non. Durante i lockdown, il progetto Proximate del Lab ha dimostrato quanto le connessioni informali siano fondamentali per l’innovazione.

Città e cambiamenti climatici: cosa fare

Considerando il problema dei cambiamenti climatici, quali sono le strategie più innovative e facilmente implementabili che le città possono adottare per integrare la natura negli ambienti urbani esistenti?

La natura è uno degli strumenti più potenti che abbiamo per affrontare il cambiamento climatico. Di fronte alle ondate di calore, ad esempio, non possiamo affidarci solo al condizionamento – che risolve il problema da un lato ma lo peggiora dall’altro (emettendo calore fuori per raffrescare dentro). Gli alberi, con ombreggiamento ed evapotraspirazione, sono una delle tecnologie più efficaci e sostenibili. Iniziative come Treepedia rendono visibili le aree verdi, aiutando le comunità a individuare le carenze ecologiche e ad agire. Diversitree, invece, favorisce strategie di piantumazione più attente alla biodiversità. L’accesso ai dati ecologici in generale può trasformare la consapevolezza in azione concreta.

Dato che molte città hanno difficoltà a innovare, come si può incoraggiare un approccio più sperimentale e collaborativo per affrontare le sfide energetiche e ambientali?

Innovare significa sperimentare e procedere per prova ed errore. Nelle città, dove l’errore può avere conseguenze su larga scala, bisogna partire lavorando al confine tra ciò che è temporaneo e ciò che è permanente. A Pristina, con Manifesta, abbiamo realizzato interventi temporanei che hanno coinvolto i cittadini e preparato il terreno per progetti strutturali. Fallimenti in un progetto temporaneo non hanno gravi conseguenze. Lo stesso approccio prova-errore vale per le tecnologie: il progetto Flatburn offre sensori open-source a basso costo per monitorare la qualità dell’aria, mettendo il potere dell’innovazione nelle mani delle comunità.

Le città stanno crescendo in alcune aree del mondo, ma in altre si stanno riducendo. Come possiamo adattare le strategie di sviluppo urbano per affrontare queste diverse realtà demografiche, garantendo al contempo la sostenibilità e la qualità della vita per tutti i cittadini?

La tendenza globale è verso una riduzione della popolazione urbana, come mostrano molti dati recenti e il bellissimo progetto di Patricia Urquiola e altri alla Biennale di Venezia. In questo scenario, le città in contrazione possono diventare laboratori unici. Non è più tempo di espansione indiscriminata, ma di trasformazione intelligente dell’esistente.

Considerando l’importanza dei dati per comprendere e progettare le città del futuro, come possiamo garantire che la raccolta e l’analisi dei dati urbani siano utilizzate in modo etico e trasparente, proteggendo al contempo la privacy dei cittadini?

Con trasparenza. È essenziale sempre dichiarare quali dati vengono raccolti, con quali strumenti, da chi, e per quali scopi. La privacy non è un ostacolo all’innovazione: è una condizione necessaria per una città davvero intelligente.

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