Automotive

L’innovazione secondo Toyota: in un anno 15 investimenti in startup

Il colosso automobilistico nipponico, tramite un fondo da 310 milioni, ha finanziato idee innovative nei settori del car sharing e delle auto connesse. Nel 2016 anche un accordo con Uber. La strategia dietro queste scelte? Diventare leader nel mercato delle self-driving car

Pubblicato il 17 Gen 2017

batterie per l’auto elettrica

Le sirene dell’innovazione attirano tutti, anche gli investitori più cauti. È il caso di Toyota che, contrariamente alla sua indole conservativa, ha investito – solo nell’ultimo anno – in quindici startup, attraverso un fondo da 310 milioni di dollari. Car sharing, intelligenza artificiale e robotica i settori principali su cui il colosso giapponese ha puntato le fiches fino a questo momento. Una scommessa frutto della strategia del CEO Akio Toyoda, sempre più intenzionato a portare Toyota tra i leader del mercato dei veicoli a guida autonoma, e a combattere l’incursione dei giganti del tech in questo settore.

Il fondo Mirai Creation Investment Limited Partner, nato a fine 2015, ha coinvolto anche Sparx Group – un hedge fund con base a Tokyo – oltre al colosso bancario giapponese Sumimoto Mitsui Banking Corp. E fino ad oggi, grazie a un pool di 19 investitori, ha messo a segno, tra gli altri, diversi round di finanziamento in startup come: Getaround, società che offre servizi di noleggio auto e car sharing; UIEvolution, startup americana che realizza software per veicoli connessi; o ancora GrooveX, azienda giapponese creata dagli sviluppatori del colosso delle telecomunicazioni SoftBank. Più nel dettaglio, come riporta un’analisi del Financial Times, i radar del veicolo finanziario giapponese sono puntati su intelligenza artificiale e tecnologie legate all’idrogeno. Entrambi considerati settori strategici per innovare nel campo dell’automotive.

D’altra parte l’interesse per le connected car Toyota lo aveva già svelato, sempre a fine 2015, con l’annuncio dell’investimento da un miliardo di dollari per la costruzione di un istituto di ricerca nella Silicon Valley. Come scritto all’epoca da CorCom, l’obiettivo della casa automobilistica giapponese è realizzare un istituto in grado di centrare le proprie attività sull’intelligenza artificiale e sulla robotica, così da costruire automobili in grado di correggere in tempo reale gli errori dei conducenti e, quindi, evitare incidenti.

Più di strategia invece l’accordo siglato, a metà 2016, con Uber la nota società californiana di servizi per il trasporto a chiamata. Nonostante i dettagli del programma e l’ammontare dell’investimento di Toyota non siano stati mai resi noti, quel che si sa è che grazie a tale accordo i guidatori aderenti a Uber potranno acquistare i veicoli del gruppo nipponico nell’ambito di un programma di leasing gestito dalla sua finanziaria. Una mossa che ha confermato l’interesse dei principali costruttori mondiali nei confronti delle nuove forme di mobilità: qualche giorno prima infatti Volkswagen aveva annunciato un investimento da 300 milioni in Gett, piccola startup israeliana che offre un servizio molto simile a quello di Uber. Mentre a gennaio dello stesso anno, General Motors acquisiva una quota di Lyft – servizio di Taxi a chiamata concorrente di Uber – per 500 milioni di dollari.

Tornando all’attualità, le cronache recenti hanno portato alla ribalta le mosse del colosso nipponico in terra americana. In un’intervista rilasciata durante il Detroit auto show, Jim Lentz, North America Chief Executive di Toyota, ha annunciato che la sua azienda investirà circa 10 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni. Una mossa che suona quasi come la risposta all’attacco che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva lanciato alla casa automobilistica, in seguito alla decisione dei giapponesi di spostare la produzione della Corolla in Messico.

Chissà che magari, tra questi dieci miliardi, Toyota non trovi le risorse per puntare con maggiore intensità sulle startup e sull’innovazione nel settore automotive. Fermo restando che Sparks Group punta, a stretto giro, al closing finale del fondo Mirai, con obiettivo di raccolta a 50 miliardi di Yen (circa 420 milioni di dollari).

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