Perché la vera rivoluzione si chiama blockchain (e non bitcoin)

La moneta virtuale è in crisi, ma la tecnologia sottostante può avere effetti dirompenti. Uno degli autori del libro “Per un pugno di bitcoin” spiega gli effetti che potrebbe avere la disintermediazione nel trasferimento di ogni genere di beni. Un sogno o un incubo?

Pubblicato il 16 Feb 2016

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L’Università Bocconi ha pubblicato a gennaio 2016 il libro di Massimo Amato e Luca Fantacci Per un pugno di bitcoin, rischi e opportunità delle monete virtuali. A Luca Fantacci EconomyUp ha chiesto di sintetizzare i risutati del loro lavoro di ricerca. E di spiegare perché quel che sta dietro il bitcoin, la blockchain può essere molto ma molto più rivoluzionaria.

Luca Fantacci insegna Storia dei sistemi e delle crisi finanziarie all'Università Bocconi

Come moneta, i difetti di bitcoin sono sempre più evidenti: ha un valore estremamente volatile, è detenuta soprattutto per scopi speculativi e quando viene usata per pagare, è perlopiù per droga o armi. Alcuni sono convinti che siano “peccati di gioventù” che bitcoin saprà superare con la maturità. Altri, più realisticamente, cominciano ad accorgersi che si tratta di problemi strutturali della moneta bitcoin, e dedicano i loro sforzi (e ingenti investimenti) a sviluppare la tecnologia sottostante in vista di possibili applicazioni alternative.

In effetti, l’esempio di bitcoin ha fatto balenare la prospettiva della disintermediazione nel trasferimento di ogni genere di asset, finanziario e reale. L’idea è che la blockchain, il libro contabile virtuale che sottende bitcoin, possa essere usata per trasferire la proprietà di qualunque bene – non solo denaro, ma anche auto, case, azioni, musica, film e potenzialmente qualsiasi bene, digitale o fisico – con la stessa facilità con cui oggi si manda un’email, in tempo reale e senza costi. Con l’ulteriore beneficio di non dover passare da un intermediario, e dunque di sottrarsi all’identificazione e al controllo.

Ciò che per gli utenti è una promessa, per gli intermediari è una minaccia: rischiano di essere letteralmente spazzati via da questa nuova tecnologia. Dunque reagiscono. Come? Sfruttando i limiti attuali della tecnologia, per come è implementata in Bitcoin: lentezza, limitata capacità, esposizione ad attacchi da parte di pool di minatori, forte esposizione alle frodi. I vecchi intermediari (banche, grandi gruppi di ICT) si stanno consorziando per mettere a punto una tecnologia basata sui medesimi principi della blockchain, ma che non sia soggetta agli stessi limiti tecnici di Bitcoin. Su questo si stanno concentrando gli sforzi di ricercatori e sviluppatori, perlopiù nella forma di piattaforme open source, anche laddove siano promosse dai grandi gruppi.

Gran parte del dibattito ruota attorno a questo punto: ce la faranno i vecchi gruppi di intermediari a mantenere una posizione preminente, o saranno sopraffatti dal popolo della rete “empowered” da questa nuova tecnologia, come e più di quanto avvenne vent’anni fa con internet? Ora, due questioni preliminari devono essere affrontate prima di scaldarsi intorno a questo dilemma.

La prima questione concerne l’effettiva desiderabilità di un sistema interamente automatizzato di trasferimento della proprietà. È un sogno o un incubo? Offre adeguate garanzie in merito alla tutela di interessi e di principi giuridici fondamentali? Che succede in caso di frodi o inadempimenti? L’esecuzione automatica consente, laddove ci siano i presupposti, di esercitare la revoca, l’annullamento o la rinegoziazione di un contratto? Molti dei pochi giuristi che ad oggi si sono occupati di blockchain hanno espresso riserve a riguardo.

Ma immaginiamo pure che questo problema sia risolto. Resta un altro nodo, meno delicato ma ancora più urgente, che deve essere sciolto da chiunque pretenda di realizzare il sogno della trasferibilità generalizzata e automatizzata di ogni bene: se è vero che il ledger diffuso funziona grazie alla crittografia e grazie alla partecipazione attiva dei nodi della rete, è altrettanto vero che i nodi lavorano soltanto se vengono ricompensati. E sinora hanno potuto essere ricompensati a sufficienza soltanto grazie all’emissione di una moneta virtuale – che però continua ad avere un valore molto volatile e continua a suscitare molti dubbi riguardo alla sua capacità di svolgere adeguatamente le funzioni di moneta.

La profittabilità della blockchain, e di tutte le sue possibili applicazioni, dipende in maniera cruciale dalla solidità della criptovaluta che ne consente il finanziamento. Volere la blockchain senza bitcoin è come volere il motore a scoppio senza la benzina: occorre trovare un combustibile alternativo e meno inquinante. Perciò il fronte di ricerca più interessante è quello sino ad oggi più trascurato: l’architettura del sistema monetario sottostante.

* Luca Fantacci insegna Storia dei sistemi e delle crisi finanziarie all’Università Bocconi

(articolo aggiornato il 18 agosto 2016)

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