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Le valutazioni delle startup sono fatte della stessa materia dei sogni

In Italia ci si interroga sulle difficoltà di FacilityLive. Il Regno Unito è in lutto per la liquidazione di Bulb, fino a marzo la scaleup a maggior crescita del Paese. Che cosa succede? Fino alla exit (vera) ogni valutazione è solo frutto di marketing e speculazione. Le startup coltivano sogni che non sempre si realizzano

Pubblicato il 30 Nov 2021

Photo by carolyn christine on Unsplash

Per una startup l’unica valutazione che conta è quella al momento della exit. Tutto quello che succede prima è solo speculazione che, a volta, può essere artificiosamente pompata attraverso le leve del marketing e della comunicazione.

Ma qualunque startup, anche quando diventa scaleup o addirittura unicorn, è esposta alle leggi di mercato. E può andare a gambe all’aria anche dopo avere raccolto decine se non centinaia di milioni ed essere stata portata in palmo di mano dall’ecosistema, dalla stampa e talvolta persino anche dalla politica.

Ed è normale che succeda perché le startup, qualunque sia la loro dimensione, provano a fare qualcosa di oltremodo innovativo e rischioso. E chi prova a fare qualcosa di difficile, il più delle volte non riesce.

Il problema è che tutta la benevolenza che accompagnava le startup durante la loro parabola di crescita si tramuta, al momento della dichiarazione del fallimento, in un giudizio spietato, volto a fare emergere complotti e malafede. “Dagli altari alla polvere”.

Ricordo ancora l’accanimento mediatico – e le prese di distanze politiche – nei confronti del bravo Ugo Parodi Giusino al momento dell’annuncio della chiusura di Mosaicoon, cosa che mi aveva spinto a scendere in campo sulle pagine del Corriere della Sera per cercare di riportare un po’ di equilibrio di giudizio.

Se di questi tempi l’ecosistema italiano si interroga sulle difficoltà (auspicabilmente transitorie) che sta incontrando FacilityLive, il Regno Unito è in lutto per l’annuncio della liquidazione di Bulb, che solo a marzo era celebrata come la scaleup a maggior crescita del Regno. I suoi founder, Hayden Wood e Amit Gudka, erano stati fatti diventare i portabandiera della transizione energetica britannica. A luglio Boris Johnson aveva in pompa magna visitato Bulb e Wood aveva iniziato a collaborare come advisor per il governo.

Che cosa è successo?

Last but not least la continua crescita del prezzo del natural gas (fattore esogeno) che ha fatto saltare il business model di Bulb che si trovava a vendere energia a un prezzo più basso di quello di acquisto. Il colpo di grazia è stato il ritardo dell’approvazione della pipeline Nord Stream 2 in Germania che ha ulteriormente infiammato i prezzi. Game over.

Un cigno nero?

Non saprei, perché, mentre ci può stare che Bulb non avesse mai fatto un profitto, il dubbio era la crescita anno dopo anno delle perdite: £23 milioni nel 2018, £128m nel 2019, £59m a marzo 2020 (ultimo dato dichiarato e parziale). Quindi probabilmente il business model si basava su assumption molto tirate e su scenari che non si sono di fatto avverati.

Valutazione sbagliata?

Ma allora come è possibile che fossero stati valutati £350m nel loro ultimo round da sessanta milioni nel 2018?

È certamente possibile perché allora le previsioni (e lo scenario) supportavano un percorso di crescita che non si è materializzato. Perché la valutazione delle startup – come ho provato a spiegare un paio di settimane fa proprio in questa rubrica – si basano poco sui numeri correnti e molto su quelli che verranno.

Il mancato realizzarsi delle ipotesi alla base del piano (e il mutato quadro esogeno) ha portato ad azzerare (o quasi) la valutazione (“paper value” la chiamano in America). E quindi i founder da teorici milionari (£100m a testa, alla valutazione dell’ultimo round) sono tornati ad essere eroici startupper, così come gli investitori (DST Global e Magnetar Capital – che erano entrati nell’ultimo round – ma anche JamJar Investments – che aveva investito £3.9m nel 2017 quando Bulb era valutata una cinquantina di milioni – e altri cento e passa angels che avevano supportato le fasi iniziali) cercheranno invano di recuperare qualcosa (molto poco) dei tanti milioni investiti.

Memento

Fino alla Exit (assumendo che sia un vero liquidity event e non un castello di carta, cosa che ogni tanto succede) le valutazioni hanno la scientificità delle valutazioni dei giocatori negli scambi di mercato di gennaio. O, per cambiare metafora, sono fatte della stessa materia con cui sono fatti i sogni, parafrasando Shakespeare.

Non stupiamoci quindi se al mattino, al risveglio, rimanga poco o nulla. Ma, ricordiamoci, che “sono sempre i sogni a dare forma al mondo”. Da Manzoni a Ligabue. Passo e chiudo. No exit, no party.

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Alberto Onetti
Alberto Onetti

Chairman (di Mind the Bridge), Professore (di Entrepreneurship all’Università dell’Insubria) e imprenditore seriale (Funambol la mia ultima avventura). Geneticamente curioso e affascinato dalle cose complicate.

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