Spiriti animali

La febbre americana delle start up a quattro zampe

L’acquisizione di Petfinder da parte di Nestlé riporta l’attenzione su un mercato in grande effervescenza, che solo negli Stati Uniti vale 50 miliardi. Ecco chi sta provando a conquistarlo. E con quali idee

Pubblicato il 11 Giu 2013

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I cani possono essere i migliori amici delle start-up. Sta già succedendo negli Stati Uniti, dove il mercato da 50 miliardi di dollari all’anno generato dai prodotti per “pets”, gli animali domestici, fa sempre più gola ai giovani start-upper.

Partendo dal presupposto che “negli Usa ci sono più cani che bambini”, Ben Jacob, 26 anni, ha fondato l’anno scorso a San Francisco  “Whistle”, che produce uno speciale dispositivo del valore di quasi 100 dollari: una volta agganciato al collare del cane, è in grado di tracciarne ogni movimento e inviare la lettura dei dati allo smartphone del proprietario. In questo modo potrà essere costantemente informato sui suoi comportamenti e rendersi conto di eventuali problemi di salute prima che diventino troppo seri o troppo costosi. I venture capitalists ci hanno creduto, tanto da investirci 6 milioni di dollari.

Sette milioni di dollari di finanziamenti sono confluiti invece in DogVacay.com, che consente al padrone costretto a separarsi temporaneamente dal proprio amico a 4 zampe di alloggiarlo non più in una cuccia di qualche canile ma in una vera abitazione con famiglie che promettono di accudirlo con tanto amore. La tariffa parte da 15 dollari a notte, assicurazione compresa, e nel prezzo è previsto anche un servizio di “daily photo updates”, aggiornamenti fotografici giornalieri per controllare lo stato di Bobby o Rex anche da lontano.

Sui fedeli amici pelosi punta anche Swifto, start-up che consente di noleggiare un “dog walker”, una persona per portare a passeggio il cane, assolutamente professionale e di fiducia, per poi controllarne ogni movimento tramite il Gps installato nel telefono. Mentre “Pintofeed” offre un servizio di “nutrizione automatica”: in pratica è un dispositivo del valore di 149 dollari che, a detta dei suoi creatori, è in grado di dispensare cibo solo quando il cane o il gatto ne hanno necessità.

Un’ulteriore conferma che il mercato dei pets sta diventando particolarmente attraente arriva dall’acquisto da parte di Purina PetCare – azienda di cibo per animali domestici della Nestlé – di Petfinder.com, il sito più famoso per l’adozione di animali, con 7 milioni di visitatori unici al mese e oltre 22 milioni di adozioni favorite fino a oggi.  Patrice Bula, capo delle unità di business strategico, marketing e vendite della Nestlé, spiega che in questo modo il gruppo “stringe rapporti più solidi con gli amanti degli animali e può supportarli meglio nelle loro scelte”.

Una delle poche incognite future per questo business è rappresentata…dal passato.  Molti ricordano che uno dei simboli della bolla di Internet, 13 anni fa, fu la rovinosa caduta di Pets.com: l’azienda di articoli per animali fu avviata nel febbraio 1999 e alla fine dell’anno ottenne ricavi per ben 110 milioni di dollari, per poi fare un trionfale ingresso in Borsa con un’Ipo (Initial public offering) da 11 dollari per azione. Ma, anche a causa degli elevati costi di spedizione della merce e delle vendite sotto costo per contrastare la concorrenza dei negozi “fisici”, a meno di due anni dalla nascita tutto crollò: ne seguì l’immediato licenziamento di 255 impiegati , azioni precipitate a 22 cent ciascuna e l’impossibilità di reperire nuovi finanziatori.Più in generale, durante la “bolla”, le “online pet companies” furono considerate il classico esempio di imprese troppo ambiziose e sopravvalutate.

Ma oggi il vento sembra cambiato. “Nei prossimi anni – dice Pete Moran, general partner di Dcm Ventures – vedremo sempre più aziende cercare di portare il potere della tecnologia nel mercato degli animali domestici. Alla fine degli anni Novanta l’esuberanza che travolgeva molti settori, quella dei pets così come altri, portò investitori e imprenditori a creare aziende che non seguivano un preciso modello di business. È sempre un po’ difficile immaginare cosa comprerà la gente, ma attualmente l’utilizzo dei finanziamenti è più ridotto e la precisione dei prodotti  è molto migliore che nell’era dotcom.”

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Luciana Maci
Luciana Maci

Giornalista professionista dal 1999, scrivo di innovazione, economia digitale, digital transformation e di come sta cambiando il mondo con le nuove tecnologie. Sono dal 2013 in Digital360 Group, prima in CorCom, poi in EconomyUp. In passato ho partecipato al primo esperimento di giornalismo collaborativo online in Italia (Misna).

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