Scenari economici

Non lavorano, non studiano, non fanno formazione: il problema dei giovani NEET in Italia

Mentre è vero che la disoccupazione giovanile nel nostro Paese è la più alta in Europa, con l’eccezione di Grecia e Spagna, il dato sulla condizione dei giovani “Not in Employment, Education, or Training” è altrettanto drammatico: da noi c’è la quota più elevata nella fascia tra i 20 e i 24 anni

Pubblicato il 25 Ago 2016

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Freedom son is a dirty shirt sun on the face and shovel in the dirt
Bruce Springsteen – Shackled and drawn

È di metà agosto la notizia che nel secondo trimestre del 2016 il prodotto interno lordo in Italia è rimasto sui valori del primo trimestre. Certo, quello francese non ha fatto meglio neanche di un pochino, e quello tedesco è cresciuto di uno striminzito 0,4%. Queste similarità non mi consolano affatto, come vorrebbero quelli del ‘mal comune, mezzo gaudio’; anzi, mi fanno temere che la stagnazione, che le vergini vestali del bilancio in pareggio hanno voluto e vogliono, si stia ormai radicando inesorabilmente in tutta Europa .

Da anni vado dicendo che la ragione profonda di questo stato di cose è la scelta dei governi europei di adottare le cosiddette ‘politiche di austerità’, che dal 2009 garantiscono taglio della spesa e aumento del gettito fiscale proprio mentre avremmo avuto bisogno di maggiore spesa e sgravi fiscali. Oggi le anime belle scoprono che quando la stagnazione nella crescita dei redditi non è transitoria ma di lungo periodo, le famiglie risparmiano di più, non di meno, e dunque risparmio privato si somma al risparmio pubblico e l’economia si avvita nel circolo vizioso della stagnazione-disoccupazione-recessione (l’ultimo anello è una previsione, vedremo chi ha torto e chi ragione).

Ovviamente, ogni paese membro dell’UEM (area euro) sta ‘stagnando’ secondo caratteristiche proprie, caratteristiche che hanno a che vedere con le scelte del governo nazionale, la composizione settoriale storica dell’attività produttiva, la forza con cui i redditi minori vengono difesi, e mille altre ragioni ancora. Quel che vorrei mettere in evidenza oggi è una peculiarità della situazione italiana cui si presta attenzione solo occasionalmente, poiché siamo abituati ad osservare più di ogni altro indicatore il tasso di disoccupazione (peraltro altissimo in Italia): voglio spendere qualche riga sul fenomeno dei NEET.

NEET è l’acronimo per Not in Employment, Education, or Training. Si tratta quindi di persone che non frequentano istituti di istruzione secondaria o terziaria, non sono occupate, non seguono corsi di formazione professionale di alcun tipo. E allora che fanno? (A questo punto qualcuno dirà che lavorano ‘in nero’. Non rispondo neanche). Il quesito è: perché voglio parlare dei NEET italiani? Risponde ANSA Europa il giorno 11 agosto:

A whopping 31.1% of Italians between the ages of 20 and 24 neither work nor study, a category commonly referred to as NEETs (Not in Employment, education or training). The percentage is the worst in Europe, noted the EU statistics institute Eurostat, which published the study on youth unemployment as part of World Youth Day.”

Uno su tre dei residenti tra 20 e 24 anni. Il numero più brutto in tutta Europa. Il fiore della gioventù. Gli anni in cui la produttività sarebbe alta e le potenzialità di apprendimento altissime, che si tratti di istruzione universitaria o professionale. Anni cruciali nella vita di una persona, anni in cui si comincia seriamente a fare progetti per la vita, anni in cui la coscienza di cittadino si consolida, anni in cui studio e lavoro formano e trasmettono senso di appartenenza. drammatico.

Come se il numero di NEET non fosse sufficiente a preoccuparci, mi viene segnalato un articolo apparso su Repubblica a firma di Federico Rampini dal titolo Quei figli più poveri dei padri. Rampini documenta il suo articolo con uno studio di McKinsey, il cui punto focale è questo:

“La quasi totalità delle famiglie ha redditi inferiori rispetto alle generazioni precedenti. In un rapporto di McKinsey il record negativo del’Italia. Un trend che riguarda il 70 per cento della popolazione nell’Occidente sviluppato.

Anche qui fenomeno generale nelle economie ad alto reddito pro capite maggiore, e record negativo italiano. Che cosa stiamo combinando? Ce lo vogliamo chiedere con serietà? A me sembra che stiamo creando una società in cui da un lato una parte dei nostri giovani vive una fase di grande entusiasmo causato dalla diffusione di tecnologie abilitanti di attività che per centinaia di anni sono state condotte in maniera informale e individuale, e che ora possono essere organizzate su scala industriale (la cosiddetta ‘sharing economy’ che, per essere noiosi, ripeterò non share proprio niente: si vedano i miei pezzi in questo blog, riportati in basso); ma dall’altro lato la maggioranza dei nostri giovani o è completamente allo sbando, i NEET, uno su tre, o ha prospettive di reddito inferiori a quelle che avevano i loro genitori, e la loro attività lavorativa è molto spesso (diciamo un altro terzo?) retribuita a voucher.

Su quale sistema di occupazione/retribuzione evito di commentare, almeno per oggi.

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