Scenari

Come cambia l’editoria (e la raccolta della pubblicità)

Al Simply Publisher di Firenze si è dibattuto sulle opportunità di incontro tra aziende e nuovi media digitali, sempre di più legate alla qualità dei contenuti e della relazione con le comunità di riferimento. Tra le case history presentate anche EconomyUp.

Pubblicato il 04 Apr 2014

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Non c’è più la pubblicità di una volta. E non ci sarà più. Perché i media sono cambiati e i pubblici ora governano le danze. Dal Simply Publisher di Firenze, il summit della nuova editoria digitale organizzato da Simply Adv, la piattaforma pubblicitaria del Gruppo Dada, arriva un messaggio chiaro: l’advertising sul web cresce ma conquistarlo è un lavoro che richiede sì quantità (il traffico) ma anche qualità (i contenuti). Sembra tutto molto più difficile ma non c’è stato un momento migliore per fare informazione e produrre contenuti.

L’incontro, giunto alla terza edizione, è diventato un appuntamento per la comunità della nuova editoria digitale alla ricerca di risorse da una parte e dei professionisti che lavorano per i brand e hanno bisogno di canali di comunicazione dall’altra. Tra le case history presentate quest’anno sul palco è salita anche EconomyUp, che ha presentato gli importanti risultati raggiunti dopo sei mesi di attività, insieme con ItaliaOnLine, che l’hanno scorso ha lanciato nuovi siti tematici; Engage.it, nuovo magazine dedicato alla comunicazione fondato da Simone Freddi; UncoMag, originale iniziativa su chi è riuscito a inventarsi un lavoro lanciata a Padova da Alessio Sartore e TheFlorentine, testata dedicata agli anglofoni in Toscana migrata dalla carta al web.

Le aziende hanno bisogno di contenuti, di storie e di “punti di contatto” con i loro clienti attuali e potenziali, segnala Roberto Barberis, direttore di SimplyAdv. Ad offrirli sono i media che riescono ad avere un’audience coerente e fedele. L’importante è saperla ascoltare, misurare e seguire nelle sue richieste. In sintesi, quel che vale è la relazione che si riesce a instaurare e a “trasferire” ai brand interessati ai profili coinvolti.

La partita è costruire la “loyalty”, sintetizza Andrea Pia, general manager di H-Art, agenzia del gruppo Wpp. «Siamo ben oltre la pubblicità classica. Adesso è possibile sapere chi c’è dietro ogni click, come si comporta online e anche offline». Ogni media company deve quindi essere anche una techcompany, consiglia Federico Gai, Engagement manager di Xaxis Italia che propone altri cinque comandamenti: la qualità conta più della quantità; il sito deve essere disegnato in maniera semplice e riconoscibile; bisogna conoscere bene utenti e inserzionisti e diventare accessibili per entrambi; conviene adottare le novità del mercato con parsimonia e soprattutto in maniera coerente con il proprio progetto.

Fondamentale nella creazione della “loyalty” sono i social media: al centro c’è il sito, attorno si sviluppa una corona di canali, ciascuno con una propria funzione: da qui parte la ricca analisi di Angela Barison, Head of social media strategy di H-Art. Come ci vediamo noi e come ci vedono gli altri? Dai social la risposta che permette di capire come si orientano i nostri lettori, quali esigenze hanno, che cosa preferiscono e perché. Un lavoro di ascolto continuo che rappresenta anche una grande opportunità commerciale.

Il mondo dell’editoria è stravolto, ricorda Layla Pavone, managing director di Isobar e presidente del centro studi di Assocom. Le attività tradizionali sono in crisi, quelle digitali si moltiplicano ma fanno ancora fatica a trovare le risorse necessarie per essere sostenibili. Perché gli investimenti in advertising online crescono ma sono ancora poca cosa rispetto a quelli sulla tv e soprattutto sono molto polverizzati. Da qui l’invito a fare sistema e soprattutto a semplificare e a standardizzare l’offerta: la televisione ha solo due formati, osserva, sul web ce ne sono troppi e spesso sono confusi. (re.eu)

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