Monopoli instabili

La Siae si dichiara in utile (ma potrebbe essere in perdita di 60 milioni)

La Società degli autori ed editori diffonde i dati 2015: fatturato a 782 milioni (+14% sul 2014) e 617 milioni distribuiti. Ma Guido Scorza, avvocato e consulente della startup Soundreef, ha qualche dubbio: «Aspettiamo di vedere il documento. Se si guarda solo alla gestione dei diritti d’autore dovrebbe aver chiuso in perdita»

Pubblicato il 08 Giu 2016

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Guido Scorza

“Come sempre la Siae in questa fase annuncia dati positivi, poi però dobbiamo aspettare la pubblicazione del bilancio. E in genere lì troviamo gli schiaffi. Nel 2015 la sola gestione dei diritti d’autore ha probabilmente chiuso con una perdita di 50-60 milioni di euro. E mancano i numeri su quanto la Siae abbia speso”. È il commento dell’avvocato Guido Scorza al comunicato diffuso in questi giorni dalla Società italiana degli autori ed editori con i dati del bilancio 2015. In sintesi dichiara un fatturato di 782 milioni, in crescita del 14% rispetto al 2014, sostiene di essere in utile e di aver distribuito 617 milioni agli aventi diritto e di averne investiti altri 12,7 nell’innovazione. Dati che non convincono del tutto Scorza, membro dell’unità di missione per l’attuazione dell’Agenda Digitale italiana della Presidenza del Consiglio dei Ministri, presidente dell’Istituto per le politiche dell’innovazione e coordinatore di Open Media Coalition. Il professionista tiene seminari su diritto dell’informatica e proprietà intellettuale da oltre 15 anni e ultimamente sta assistendo anche Soundreef, la startup che ha “strappato” alla Siae Fedez e Gigi d’Alessio.

Soundreef cala l’asso, Gigi D’Alessio preferisce la startup alla Siae

In questa intervista Scorza legge insieme a Economyup gli ultimi eventi nella “guerra” del diritto d’autore, partendo dall’analisi del bilancio appena comunicato.

Insomma, la Siae è in attivo o in perdita?
Come sempre, in questa fase annunciano i dati positivi, poi però dobbiamo aspettare la pubblicazione del bilancio. E in genere lì troviamo gli schiaffi. Qual è il fatturato al netto della copia privata? (La copia privata è una sorta di royalty applicata sui dispositivi quali smartphone, tablet, pc e chiavette che viene pagata dai produttori ma va a ricadere sugli utenti finali. L’importo viene raccolto dalla Siae che lo redistribuisce agli autori. È un modo, previsto dalla legge, di compensare i detentori del diritto d’autore della possibilità che gli utenti usino i propri device per fare una copia privata di film o musica acquistati, ndr).

Nel comunicato si parla di 574 milioni di euro di incassi dal solo diritto d’autore, senza la copia privata.
Ecco, questo ridimensiona di molto la positività del bilancio, come nel 2014. I 120 milioni di copia privata sono un regalo dell’ultimo decreto del ministro Franceschini (per approfondimenti leggi questo articolo sulla copia privata). Sono soldi che la Siae prende dal governo ma non rigira agli autori perché vanno alle società di collecting straniere che operano sul mercato italiano. Fra parentesi, ora che la direttiva Barnier è in vigore non credo che una società francese o tedesca vorrà appoggiarsi alla Siae, visto che potrà operare liberamente sul nostro territorio. Nel fatturato Siae 2014 entravano anche i 30 milioni derivanti da proventi finanziari e altri 30 dalla convenzione con l’agenzia delle entrate per cui prende una percentuale sugli scontrini staccati durante le serate live. Quindi, altri 60 milioni incassati che non derivano dalla pura intermediazione sui diritti d’autore. C’è poi la mancanza più importante: quanto la Siae ha speso. Generalmente i costi di produzione sono enormemente superiori a quanto incassato per l’intermediazione, quindi, se niente è cambiato rispetto al 2014, se dovessimo guardare solo le entrate e le uscite dell’intermediazione sui diritti d’autore, probabilmente vedremmo che la gestione ha chiuso in perdita di 50-60 milioni di euro.

Lunedì l’Antitrust ha definito il monopolio della Siae un “limite alla libertà di iniziativa economica di altri operatori e alla libertà di scelta degli utilizzatori”. Quali conseguenze avrà questa presa di posizione?

Obbiettivamente, è un epilogo scontato. L’Authority va a colpire un monopolio anacronistico che è riuscito a sopravvivere 130 anni. E lo fa evidenziando una verità sotto gli occhi di tutti: i confini geografici e le ripartizioni territoriali, ufficiali o ufficiose, del mercato dei diritti d’autore non hanno più motivo di esistere. Stiamo parlando di un bene immateriale che con le nuove tecnologie è diventato globale e l’Italia non può dire che sul suo territorio è appannaggio esclusivo della Siae. Inoltre il governo avrebbe dovuto recepire la direttiva Barnier dal 10 aprile scorso, quindi adesso si rischia il paradosso che il mercato italiano venga aperto a società di collecting straniere, ma non alle italiane. Serve un intervento legislativo. Il Senato sta discutendo la legge delega per il recepimento della Barnier e dovrebbe dare un’indicazione univoca, forte anche della giustificazione offerta dall’Antitrust. Poi il governo dovrebbe abrogare la legge 180 che garantisce il monopolio Siae e dovrebbe allo stesso tempo scrivere le regole per il mercato liberalizzato che seguirà.

Uno dei motivi per cui il ministro Franceschini è restio a intaccare la 180 è il timore di aprire la strada ad una deregolamentazione selvaggia. È un rischio reale?
Intendiamoci, la liberalizzazione del mercato è importante ma non è di per sé la panacea di tutti i mali. Non è né buona né cattiva, è un’opportunità che ha bisogno di regole, anche minime ed essenziali. Sicuramente il meccanismo dovrà essere efficiente e trasparente. La logica è semplice: l’utilizzatore paga per ascoltare musica, l’intermediario raccoglie i soldi e li ripartisce su una base il più analitica e chiara possibile, dietro pagamento di una fee, e l’autore guadagna per quanto ha suonato e per quanto la sua musica è stata utilizzata. Se in poco tempo l’autore si rende conto di quanto ha guadagnato, il sistema è trasparente. Se il costo dell’intermediazione diventa drasticamente più basso dei 120-130 milioni di euro spesi dalla Siae ogni anno, il sistema diventa efficiente. Nel 1885 serviva un sistema elefantiaco per gestire i diritti d’autore, è tempo di modernizzarsi.

D’altronde il sistema non è regolamentato nemmeno adesso, almeno leggendo le critiche che arrivano alla Siae da parte dei suoi iscritti o ricordando i tre anni di commissariamento a cui è stata sottoposta…
Infatti stiamo parlando di un monopolio atipico: il diritto è attribuito dal governo, quindi la Siae è un ente pubblico, ma è gestita come un privato in quanto non ha vincoli in termini di efficienza. Per esempio lo Stato non ha mai fissato delle cifre massime da far pagare agli autori per la commissione o il rimborso spese. Né ha mai fissato criteri per la ripartizione dei diritti. Si è limitato a dire che l’intermediazione è attribuita alla Siae, che dovrebbe a sua volta essere vigilata ma non ha specificato come. Oggi non ci sono affatto garanzie per gli autori. In più, nel disegnare la propria strategia e il piano industriale, la Siae è libera da vincoli.

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