Ban-Up, i business angel si alleano per le startup e le Pmi

Investitori di spicco delle associazioni Iban e Italian Angels for Growth insieme con altri numerosi soci (21 in tutto) fondano una nuova società di consulenza che vuole lavorare come un “acceleratore virtuale”. Farà anche investimenti? In futuro non è escluso. Lasciando intravvedere un’evoluzione della specie

Pubblicato il 15 Apr 2016

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Marco Nannini e Luca Canepa, soci di Ban-Up

Anche gli angeli, capita, a volte, sai… si alleano. I versi di Lucio Dalla e Gianni Morandi, con un’opportuna modifica, possono essere utili per interpretare la nascita di Ban-Up s.p.a., neonata società di consulenza per startup e Pmi. Può servire fare riferimento agli angeli perché quest’azienda, che si propone di mettere in connessione nuove imprese innovative e aziende più strutturate per favorire processi di open innovation, vede tra i suoi soci gli uomini di punta di due dei principali network italiani di business angel: Iban (Italian Business Angel Network Association) e Iag (Italian Angels for Growth).

Tra i cofondatori di Ban-Up ci sono infatti Paolo Anselmo e Luca Canepa, rispettivamente presidente e consigliere di Iban, e Dario Caleffi, manager (e attuale ceo della startup svizzera Insun) che dell’associazione di business angel ha fatto parte fino al 2014. Il presidente della società è invece Marco Fabio Nannini, attuale ceo di Impact Hub Milano che è stato managing director di Italian Angels for Growth fino a dicembre del 2015 ed è tuttora presidente del comitato di screening dell’associazione.

Insomma, gli angeli si alleano, appunto. Sicuramente, come annunciato dai founder durante la conferenza stampa di lancio dell’iniziativa, “per fare sistema e attrarre dal sistema

produttivo risorse per finanziare le startup che superino abbondantemente i circa 100 milioni di euro all’anno che ora arrivano alle nuove imprese”. Ma forse anche – ed è legittimo ipotizzarlo – perché i business angel hanno bisogno di nuovi strumenti per agire con efficacia all’interno dell’ecosistema. Probabilmente le associazioni di angeli, da sole, non bastano più. E a confermare la sensazione sono le riflessioni dietro le quinte di uno dei numerosi cofondatori: “Al momento siamo una società di consulenza che agisce come una sorta di ‘acceleratore virtuale’ per startup e società italiane che hanno bisogno di supporto manageriale e legale per crescere a livello internazionale e avere le carte in regola per ottenere finanziamenti soprattutto da grandi aziende. Ma l’obiettivo è anche quello di diventare, in futuro, una società che fa investimenti”.

Ma chi saranno i clienti di Ban-Up? È possibile che siano le stesse startup in cui hanno investito gli angeli? I soci fanno capire in modo più o meno diretto che la platea di soggetti che possono chiedere servizi è molto più ampia e include nel termine “startup” anche le Pmi ad alto contenuto di innovazione e appunto le società che vogliono lanciare progetti innovativi in ottica “open”. E sembra di capire che Ban-Up monetizzerà solo nel momento in cui intermedierà i primi deal importanti (il piano per il 2016 è di chiuderne almeno due) prendendo una percentuale. Anche perché se l’obiettivo di Ban-Up è far arrivare più risorse alle startup, sarebbe un po’ contraddittorio farsi pagare dalle startup prima di aver favorito degli investimenti da parte di aziende più grandi.

Uno degli strumenti attraverso il quale la società intende agire è la piattaforma digitale di Epic Sim, con cui Ban-Up ha stretto una partnership, dove le startup potranno proporre il loro progetto strutturato e attrarre gli investimenti da parte di investitori professionali.

Già a oggi abbiamo un bacino potenziale di società italiane da coinvolgere il cui giro d’affari complessivo è di 9 miliardi di euro”, annuncia Luca Canepa. Il riferimento è soprattutto alle aziende manifatturiere che si rivolgono a Faro Club, una società specializzata in consulenza nell’attività di acquisto di materie prime e metalli non ferrosi, che è tra le azioniste di Ban-Up attraverso il suo founder Paolo Kauffmann. Sarà questo lo zoccolo duro di industrie da cui Ban-Up partirà nel tentativo di costruire una filiera di open innovation, che andrebbe ad affiancarsi (“e non a fare concorrenza”) ad altri network che già stanno operando da qualche mese coinvolgendo soprattutto aziende attive in ambito digitale. Se Ban-Up sarà capace di convincere alcuni degli imprenditori italiani che non conoscono il (piccolo) pianeta delle startup a fare innovazione investendo sulle piccole imprese, il gioco sarà fatto. Ma l’impresa, per quanto ambiziosa, non sembra semplice.

A crederci sono in tutto 21 soci, tra cui figurano anche Angelo Bonissoni (anche fondatore), alla guida di CBA Studio Legale e Tributario, il soggetto che si occuperà di fornire supporto su tematiche legali e fiscali e Stefano Mizio, ceo di Innovits Lab, società di servizi che ha creato il percorso Startup Driving Experience (SDE) per i manager e professionisti che vogliono mettere a frutto le proprie competenze nel mondo delle startup. “Il nostro obiettivo all’interno di Ban-Up – scrive Mizio su un post pubblicato su Linkedin – è portare competenza nel processo di selezione delle startup grazie all’esperienza maturata anche all’estero in contesti come la Silicon Valley e Londra”.

Tra i nomi ci sono manager, consulenti, esperti di economia internazionale, commercialisti e business angel. Ma non si vedono rappresentanti diretti del mondo dell’impresa media e grande, ovvero quella che dovrebbe alimentare più di ogni altra il piccolo ecosistema italiano delle nuove imprese innovative. Una lacuna o un punto di forza? Lo sapremo quando Ban-Up avrà favorito le prime operazioni significative a vantaggio delle startup.

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