«Così provo a diventare il Farinetti delle scarpe»

Cleto Sagripanti, presidente di Italian Holding Moda, sta creando un polo di marchi made in Italy di alto livello che chiuderà il 2014 con un fatturato di 18 milioni. «Abbiamo lanciato un modello innovativo e replicabile in cui i brand fanno sinergia tra di loro e i manager seguono tutto in modo verticale: dai colloqui con le banche alla produzione in fabbrica»

Pubblicato il 02 Nov 2014

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Cleto Sagripanti, presidente di Italian Holding Moda

Se qualcuno lo definisce «l’Oscar Farinetti delle scarpe», Cleto Sagripanti, presidente di Italian Holding Moda (Ihm), non fa una piega. «Mi ha chiamato così Dario Di Vico del Corriere della Sera, e la battuta mi è piaciuta molto», dice l’imprenditore marchigiano, forte di 23 anni di esperienza nel settore delle calzature. «Ho apprezzato la definizione perché con Ihm abbiamo lanciato un’idea semplice e innovativa allo stesso tempo: aggregare più marchi di alto livello del made in Italy e gestirli in maniera sinergica».

Per diventare l’Eataly delle calzature, di strada ce n’è ancora tanta da fare. Ma i primi passi fatti da Sagripanti, che fino al 2013 era amministratore delegato di Manas, l’azienda calzaturiera di famiglia, sono stati spediti. Il «polo dei Piccoli di lusso» (altro copyright di Dario Di Vico) è nato a novembre dell’anno scorso e ha già messo a segno diverse acquisizioni importanti.

«Abbiamo acquistato – spiega Sagripanti, che è anche presidente di Assocalzaturifici-Confindustria – la Alberto Fermani il 4 novembre 2013, poi abbiamo acquisito da UniCredit la licenza del marchio di lusso Les Tropeziennes e infine, tre settimane fa, è stata la volta della quota di maggioranza dell’azienda veneta Kallisté, che è proprietaria di brand come Kéy Té e Un Dimanche À Venise, nonché licenziataria del marchio N. 21».

L’imprenditore e il suo team si sono mossi facendo scouting di brand e imprese in difficoltà da rilevare e ristrutturare. «Per la situazione

economica che abbiamo oggi in Italia non è difficile trovare opportunità», ammette.

Rainer Maria Rilke scriveva che «il futuro entra in noi molto prima che accada». Allo stesso modo, l’idea di creare un portafoglio di marchi made in Italy era nata quando Sagripanti era ancora all’interno del gruppo di famiglia. «Manas, fondata da nostro nonno Giuseppe, è arrivata alla terza generazione», racconta.

«Mio padre e due fratelli l’hanno sviluppata e fatta crescere. Poi siamo arrivati noi della terza generazione, ma quando si è in tanti – sei cugini – si fa fatica a trovare spazio e soddisfazione per tutti. Io e mia sorella Lara avremmo voluto realizzare un progetto come Ihm nell’ambito di Manas ma altri avevano, legittimamente, altre visioni. Così, abbiamo deciso di farci da parte, pur rimanendo con una quota nel capitale sociale, e di iniziare quest’avventura per conto nostro».

Sagripanti è uscito dai vertici di Manas e cerca di alimentare questa iniziativa perché è convinto che unire più brand complementari tra di loro offra alcuni vantaggi fondamentali, a partire dall’opportunità di incrociare il management su più fronti. «Abbiamo concentrato nella holding tutti i ruoli manageriali più importanti e facciamo in modo di creare sinergie tra i vari marchi su vari aspetti, tra cui produzione, acquisti, marketing e comunicazione», spiega il numero uno di Ihm.

Un altro beneficio del far confluire più aziende sotto un’unica supervisione è la possibilità di accedere a più mercati contemporaneamente. «In alcuni Paesi entriamo con un marchio del lusso, in certi con un altro. In Cina, per esempio, siamo andati con Les Tropeziennes e poi abbiamo firmato una joint venture con Alberto Fermani».

I risultati, fino a questo momento, sembrano dare ragione all’intuizione dell’ex ad di Manas. Alberto Fermani chiuderà il 2014 con 8 milioni di fatturato. Les Tropeziennes si attesterà intorno a un milione e Kallisté sui 9. «Il fatturato consolidato si aggirerà sui 18 milioni: per essere una startup nata lo scorso anno siamo soddisfatti», afferma Sagripanti. «Nel 2015 puntiamo a ricavi simili ma con un margine superiore ai 2 milioni di mol di quest’anno. E nel 2016 vorremmo superare quota 20 milioni, rafforzandoci su mercati in cui siamo già forti, come quello nordamericano e quello giapponese, ed espandendoci in Cina».

Anche dal punto di vista del lavoro, l’operazione Italian Holding Moda finora è stata in attivo perché il gruppo, che al momento conta un centinaio di occupati, ha salvato circa il 70% dei dipendenti di Alberto Fermani e di Kallisté e si è impegnata, in base agli accordi sindacali, ad attingere dal restante 30% attualmente in cassa integrazione e mobilità per eventuali nuove assunzioni. «È probabile che senza Ihm molte delle persone che lavorano con noi oggi sarebbero senza un impiego», dice il presidente. «E calcolando le 500 paia di scarpe prodotte ogni giorno da Alberto Fermani e le 300 di Kallisté, il gruppo genera anche un certo indotto di lavorazioni e di forniture di materiali. Sarà anche un bicchiere d’acqua in mezzo all’oceano ma almeno possiamo affermare che la nostra parte la facciamo».

I piani industriali di Sagripanti prevedono un 2015 dedicato quasi esclusivamente alla ristrutturazione e al rilancio dell’azienda veneta appena acquisita. Ma già a metà del prossimo anno riprenderà l’opera di scouting per aggiungere al portafoglio un marchio di scarpe da uomo e uno di borse. In prospettiva futura, ci sarebbe anche una quotazione in borsa. «Con un po’ di ambizione, ci piacerebbe arrivare a un fatturato che ci permetta di fare un salto di qualità negli investimenti legandoci a un fondo di private equity e, più in generale, a importanti partner finanziari. A quel punto, lo step successivo sarebbe lo sbarco in borsa».

Secondo il suo ideatore, il progetto ha le carte in regola per funzionare perché si fonda su alcuni elementi di innovazione da non sottovalutare. «A

differenza di altre realtà, noi abbiamo deciso di lavorare in maniera molto verticale: chi dirige deve seguire tutto da cima a fondo. Mi è capitato, per esempio, che il giorno prima discutessi con l’ad di una grande banca e il giorno dopo andassi a controlare l’ultimo spruzzo di un paio di scarpe nello stabilimento di Alberto Fermani a Petriolo. Noi italiani dovremmo recuperare questa dimensione: essere meno imborghesiti e avere più le mani in pasta».

Che sia nato un nuovo modello per le Pmi della moda in Italia? «Non ho la presunzione di fare scuola», risponde Sagripanti. «Noi stessi, in termini di struttura, ci siamo ispirati a Lvmh, il colosso mondiale del lusso. Credo però che alcuni aspetti di un esperimento come quello di Italian Holding Moda possano essere replicati: servono coraggio, capacità di investimento e tante idee».

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