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Spotify comprerà Soundcloud? Le 7 startup che sconvolsero la musica

La società che fornisce musica in streaming on demand potrebbe acquistare la startup berlinese che punta sugli artisti emergenti, scrive il Financial Times. Sarebbe l’ennesima rivoluzione nella storia recente del settore. Qui le tappe, dal pioniere Napster a YouTube fino alla disruption nel diritto d’autore dell’italiana Soundreef

Pubblicato il 07 Ott 2016

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Questo matrimonio s’ha da fare. O perlomeno sono molti a sperare che Spotify acquisisca realmente Soundcloud, come si mormora da tempo e come scrive il Financial Times, ritenendola qualcosa di più di un’ipotesi. Se la fusione fra la società svedese e la startup berlinese realmente avvenisse, l’Europa avrebbe un colosso del music streaming tale da far impallidire Apple Music e la sua iTunes. Spotify può contare su un centinaio di milioni di utenti, paganti e non, che usufruiscono della sua musica in streaming, mentre Soundcloud porta in dote una cosa come 175 milioni di utenti attivi che hanno creato circa 120 milioni di nuove tracce audio. Una rivoluzione in vista, l’ennesima nella storia recente del settore. Ripercorriamone insieme le principali tappe: le 9 startup che hanno cambiato il mondo della musica. E continuano a farlo.

►In principio fu Napster – Nel 1999 arrivarono Shawn Fanning e Sean Parker e cominciò la rivoluzione peer-to-peer. Grazie a Napster centinaia di migliaia di utenti in tutto il mondo poterono scambiarsi file liberamente, in un sistema di condivisione gratuito e semplice che trasformerà per sempre le major musicali. Due anni dopo la giustizia statunitense ordinò la chiusura dei server di Napster per violazione dei termini di copyright e poco dopo la Roxio la comprò per renderla un sistema legale di music streaming che però non ha mai raggiunto la stessa diffusione. Quando i Metallica, la band che più si è battuta per la chiusura di Napster, vinsero la causa fu subito chiaro che non sarebbe finita là. Infatti nacquero mille altri figli p2p di Napster, fino a Emule e BitTorrent: è il filesharing, bellezza.

MySpace, l’incompiuta – Era il 2003 e i social network non erano ancora nati per uccidere MySpace, il primo sito dove condividere e far ascoltare la propria musica. Ogni utente aveva la sua vetrina dove caricare musica, post, video da mostrare agli altri iscritti della piattaforma. Nel 2005 la Intermix Media, società della galassia NewCo di Murdoch, comprò la startup ma l’arrivo di sistemi di condivisione più semplici e veloci ne intaccò il valore, tanto che nel 2011 MySpace fu venduta a un’azienda di pubblicità online. Myspace ha riacquistato la sua natura nel 2013 con nuova grafica e nuove funzioni, ma la sua rivoluzione era già compiuta: aveva fatto diventare famosi artisti come Adele, Mika e soprattutto gli Artic Monkeys (che ne diventarono il simbolo) senza farli passare da agenti e case discografiche. Poi arrivò YouTube.

YouTube, il salotto di casa in mondovisione – Sono “solo” 11 anni da quando la nostra vita è cambiata. Dieci, se vogliamo far iniziare la rivoluzione di YouTube dal novembre 2006, quando Google lo comprò e ne fece il secondo sito più cliccato al mondo (dopo Google.com, ovviamente). Il portale californiano permette di caricare online, guardare, commentare e condividere file video e diventa in breve tempo un’enciclopedia di materiale visivo che spazia dagli archivi delle tv al matrimonio di una coppia giapponese. Per il mondo della musica è una bomba: si poteva già ascoltare e condividere un brano, adesso è possibile farlo anche con i videoclip. Gli annali sono pieni di talenti – o presunti tali – che utilizzano YouTube per presentarsi al mondo (chi si ricorda gli Hanson?). L’accesso al grande pubblico non ha più barriere: basta una videocamera di scarsa qualità e una buona connessione online. Con gli anni le major e YouTube cercheranno vari accordi su licenze e copyright ma nessuno potrà più rinunciare al proprio canale YouTube.

Soundcloud, la rinascita dell’araba fenice – A metà degli anni 2000 è chiara una cosa: lo streaming e il download della musica è inarrestabile. Supporti come i cd ne hanno già fatto le spese ed è tutto un fiorire di I-pod e lettore Mp3. L’industria musicale è in crisi, ma non affondata. Le porte ormai sono aperte e quindi due ragazzi di Stoccolma (poi trasferiti a Berlino) decidono di puntare sugli artisti emergenti. Nasce così, nell’agosto 2007, Soundcloud, la startup che grazie a una grafica e una user experience semplice e accattivante attira in tre anni un milione di utenti. Fioccano le iscrizioni e così arrivano anche i finanziamenti, con il botto di gennaio 2011 quando Union Square Ventures e Index Ventures mettono insieme dieci milioni di dollari di finanziamento. Si può fare musica e distribuirla su tutti i canali online, e possiamo essere 175 milioni di utenti a goderne: eccola, la novità di Soundcloud. Ed ecco perché Spotify ha fiutato l’affare.

► Il passo avanti di Bandcamp – La sorella gemella di Soundcloud è Bandcamp, nata nello stesso anno ma con una funzione in più: gli artisti indipendenti che postano i loro brani sulla piattaforma possono essere pagati dagli utenti in modi diversi. Sul sito si possono ascoltare le tracce gratuitamente per poi decidere se scaricarle al prezzo proposto o a un prezzo maggiore, se inviarle come regalo a un destinatario terzo, o se dare in cambio la propria mail all’artista per newsletter e mailing list varie. Come recita il sito, i fans hanno pagato 176 milioni di dollari agli artisti che usano Bandcamp, di cui 4,8 milioni solo nell’ultimo mese.

► La musica nello smartphone, arriva Spotify – Spotify è la rivoluzione annunciata. Nasce nel 2008, ma raggiunge la vetta negli ultimi tre anni. Spotify significa music streaming on demand. La sua forza sta nel database di brani di colossi come EMI, Sony e Universal così come tracce di etichette indipendenti. Basta chiedere e la musica arriva istantaneamente, e a un prezzo contenuto se non gratis (se si sopporta la pubblicità) su qualsiasi supporto, che sia computer o smartphone. Tutto molto bello, ma non mancano i lati oscuri. L’attacco più duro a Spotify lo ha sferrato Tom Yorke, leader dei Radiohead che lo definì “l’ultima disperata scorreggia di un corpo morente” come critica per le scarse fees pagate agli artisti emergenti. I Radiohead tolsero dal sito tutte le loro canzoni, ma nel giugno di quest’anno hanno permesso a Spotify di vendere il loro ultimo album A moon shaped pool. Pace fatta, almeno fino alla prossima rivoluzione.

Landr, ovvero come ti innovo la produzione musicale – Quindi: la musica si può scaricare, condividere e ascoltare in streaming, su qualsiasi supporto e in qualsiasi momento; grandi major ed etichette indipendenti possono convivere nella stessa piattaforma e se si ha un po’ di iniziativa si può diventare famosi con YouTube. Cosa manca perché la rivoluzione sia completa? Una risposta la dà Landr. La startup nasce nel 2008 per coprire un buco tecnico: il mastering delle tracce audio. Chiunque ormai può registrate note e parole, ma il problema è come renderle perfette senza essere un tecnico del suono. Grazie a un algoritmo studiato sulle frequenze dell’orecchio umano, in pochi secondi Landr modifica la traccia e la restituisce “pulita”. Troppo specialistica per essere rivoluzionaria? Forse, ma i tecnici del suono stanno tremando di paura.

► Il diritto d’autore, infine – In questa carrellata non può mancare quello che con tutta probabilità sarà il tema dell’immediato futuro dell’industria musicale: il diritto d’autore. Abbiamo già accennato alle trasformazioni create da YouTube e il filesharing, ma anche nel campo tradizionale della vendita di cd e dei concerti le cose stanno cambiando. Sul primo versante scegliamo l’italiana Soundreef, che nel 2011 ha intaccato il monopolio Siae sulla riscossione del diritto d’autore. Sul secondo ecco Stagelink, neonata startup berlinese il cui business è l’organizzazione di concerti e la vendita dei biglietti. Non sono sole, ma sono all’inizio. E chissà quale rivoluzione provocheranno i loro semi.

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