Nencini: “Negli appalti pubblici favoriremo il Made in Italy”

Il vice ministro alle Infrastrutture e Trasporti illustra il progetto contenuto nel ddl delega per la modifica delle norme che regolano le gare. E spiega che l’idea si ispira alle misure adottate da Obama per premiare le aziende che garantiscono materiale e servizi a chilometri zero

Pubblicato il 05 Dic 2014

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Riccardo Nencini, vice ministro alle Infrastrutture e Trasporti

L’ambizione è grande: modificare le norme sugli appalti pubblici prendendo esempio dagli Stati Uniti per premiare le aziende che difendono il made in Italy e disincentivare i meccanismi corruttivi. Almeno, questo è il progetto contenuto nel disegno di legge delega sulla riforma del codice degli appalti pubblici e che ha in Riccardo Nencini, vice ministro alle Infrastrutture e Trasporti, il suo principale promotore. Progetto utopistico? «Non direi, il disegno di legge delega sarà presto affidato alla commissione competente per l’analisi al Senato», spiega il vice ministro riferendosi alla Commissione Lavori Pubblici di Palazzo Madama a cui deve essere affidato il testo approvato dal Quirinale lo scorso 31 ottobre.

Un testo ispirato alle misure adottate da Obama negli States e che prendono spunto da una vecchia legge del 1933, il “Buy American Act”, per premiare nelle gare pubbliche le imprese che garantiscano l’origine territoriale delle forniture, dei prodotti e dei servizi. Basta però l’esempio virtuoso made in Usa per ottenere un sistema premiante all’italiana? «E’ quello che stiamo facendo, stiamo lavorando sul testo della proposta e sui meccanismi giuridici per ottenere un impianto che almeno nelle gare pubbliche favorisca le aziende italiane che forniscono materiale o servizi realizzati in Italia», continua Nencini.

L’accostamento dei termini “favorire” e “pubblico”, però, potrebbe non piacere a Bruxelles e costringerebbe i tecnici del Senato a dei salti mortali per evitare la trappole della violazione delle regole Ue sulla concorrenza. «Ne siamo coscienti», replica Nencini, «per questo stiamo lavorando in punta di diritto per rendere le disposizioni perfettamente integrate nella legislazione europea e, mi creda, è possibile e fattibile costruire un sistema che premi le imprese senza falsare il mercato, né alzare barriere o imporre dazi». Può fare qualche esempio? «Certo, prendiamo il caso di una gara pubblica per realizzare un’opera infrastrutturale: a parità di condizioni, l’impresa italiana che certifichi di impiegare per quel lavoro prodotti realizzati nella Penisola sarà preferita a una azienda concorrente che però si rifornisca altrove». L’altrove sembra coincidere con Cina, India e zone del mondo in cui una società oggi delocalizza manodopera e produzione per via dei costi più bassi ma a scapito della qualità del lavoro.

«L’obiettivo è contrastare il cosiddetto dumping sociale a favore dell’alta qualità del made in Italy», continua il vice ministro che anticipa anche come la nuova normativa dovrebbe insistere molto sui meccanismi di certificazione delle imprese. «Le aziende dovranno essere certificate attraverso un vero e proprio rating qualitativo», spiega, «che dovrà tener conto anche dei sistemi di finanziamento utilizzati dall’impresa: in buona sostanza dovrà esserci grande trasparenza attraverso l’indicazione della provenienza dei fondi e dei soldi di una azienda». Tutto questo non aumenterà a dismisura la documentazione da allegare e quindi la complessità burocratica della partecipazione a una gara? «Al contrario, il sistema che stiamo disegnando premierà lo snellimento della documentazione e insisterà di più sui meccanismi di controllo e vigilanza per evitare nuovi casi Expo o Roma dove i controlli sono stati indeboliti dall’abuso di due strumenti: le varianti e le deroghe».

Ed è proprio sulle varianti di progetto e sulle deroghe per interventi straordinari che dovrebbe abbattersi la macchina riformatrice. Secondo un rapporto della Guardia di Finanza, solo nei primi 3 mesi del 2014 grazie al traino dell’Esposizione Universale il volume di affari nel settore degli appalti pubblici è stato di 6,8 miliardi di euro, con un aumentato dell’82,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno 2013 e una correlativa impennata di illegalità: su 820 milioni di euro di appalti controllati dalla Gdf tra gennaio e aprile 2014, ben il 68% (pari a 560 milioni di euro) è risultato irregolare. Nel frattempo Nencini prova a dare il buon esempio annunciando che dal 1 gennaio 2015 tutti agli appuntamenti tra il Ministero delle Infrastrutture e le lobby imprenditoriali (associazioni, gruppi imprenditoriali, categorie economiche e gruppi di pressione) saranno resi pubblici. «L’agenda degli incontri sarà pubblicata online», assicura il vice ministro. «Anche se non abbiamo una normativa sulle lobby in Italia – conclude Nencini – questo non impedisce di adottare sistemi trasparenti: mi hanno chiesto di dare l’esempio e io voglio darlo».

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