Scenari economici

Che cosa può insegnarci un premio Nobel per l’economia?

Nel 2015 è stato assegnato al professor Angus Deaton. Al di là dei contenuti, il suo grande contributo è aver adottato, e indicato a tutti noi, la strada sulla quale si incontra per prima la teoria e poi, guidata dalla teoria, la ricerca empirica.

Pubblicato il 15 Ott 2015

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Angus Deaton, premio Nobel per l'Economia 2015

Premio Nobel per l’economia 2015:
Professor Angus Deaton, classe 1945, Princeton University.

Non credo sia il caso di affliggere i lettori di Economyup raccontando loro la biografia di Deaton: sono tutti moderni abbastanza da trovarsela, se credono, più completa e più accurata di quella che potrei offrire io in questa sede, sul sito personale di Deaton, sul sito di Princeton, sulla stampa migliore. Quel che trovo interessante ed utile, piuttosto, è identificare la traiettoria intellettuale seguita da Deaton, commentando poi la differenza tra questa traiettoria personale e quella della moda attuale, in senso statistico, della professione. Non intendo invece commentare sulla ‘rilevanza del premio Nobel in Economia’, operazione che molti stanno facendo sulla stampa e che io trovo volgare e altamente offensiva nei confronti di Deaton: adesso se ne deve parlare, associando implicitamente il nome del vincitore al giudizio sulla (ir)rilevanza del premio? Non si poteva porre a maggio, il problema della rilevanza del premio? O aspettare fino a febbraio prossimo?

La prima parte della carriera di Deaton fu dedicata allo studio della teoria della domanda. Teoria è la parola chiave, più che domanda. La teoria di un qualche cosa è ciò che attrae, e deve attrarre, l’attenzione di un giovane economista. Era vero quando Deaton era giovane, e dovrebbe essere vero ancora oggi: perché lo studio della teoria (delle teorie) è ciò che costruisce la struttura intellettuale e cognitiva del giovane ricercatore, ne sollecita lo spirito critico, lo mette a confronto con i grandi (e i meno grandi) della disciplina, lo induce a schierarsi. Sì, schierarsi nel senso di scegliere, perché l’economia non è cosa da laboratorio, non può appoggiarsi a verifiche quantitative ripetibili ad infinitum per la ricerca delle regolarità e quindi arrivare alla unicità della teoria. In economia lo spettro delle teorie plausibili è largo, anche se l’analisi empirica contribuisce a restringerlo. Al di là dei contenuti, questo è a mio avviso il grande contributo di Angus Deaton: aver adottato, e indicato a tutti noi, la strada sulla quale si incontra per prima la teoria e poi, guidata dalla teoria, la ricerca empirica. Che nel caso di Deaton, non per caso, è stata ed è abbondante e di grande qualità: perché guidata dalla teoria.

Mi spiego. Il modo di procedere scientifico è grosso modo questo: 1) mi formo una ipotesi circa il rapporto di causalità tra una variabile ed un’altra, ad esempio tra austerità e stagnazione; 2) formula una teoria che leghi causalmente l’una all’altra (ad esempio, io sostengo che l’austerità non ha generato la crisi del 2007 che è all’origine della stagnazione, ma ha contribuito in maniera determinante a perpetuarla); 3) infine, sottopongo l’ipotesi a verifica empirica. La quale, ovviamente, non dirà se la teoria sia corretta o meno: tanto è vero che quelli bravi in metodi quantitativi dicono che ‘l’evidenza empirica non è in contraddizione con la teoria’ (oppure lo è), ma non assegnano ai dati il giudizio di merito sulla ‘bontà’ di una teoria.

Ecco, Angus Deaton ha fatto proprio questo per tutta la sua vita: ha studiato la teoria per anni e anni, e poi ha condotto ricerca di carattere applicato per altri anni e anni. Ricerca empirica sempre guidata dai lavori teorici che lo avevano preoccupato in precedenza (e che hanno continuato ad occuparlo anche durante la ‘fase empirica’).

In che cosa differisce allora questo percorso di Deaton da quello che vediamo oggi tra le giovani generazioni di economisti? Oggi assistiamo al progressivo affermarsi d una segmentazione radicale: da un lato quelli che scelgono un percorso quasi esclusivamente teorico, dall’altro quelli che si affidano alla ricerca quantitativa applicata. I teorici hanno il loro insieme di riviste scientifiche su cui pubblicano articoli che il resto della professione difficilmente legge perché astratti, rarefatti, di difficile interpretazione, i cui risultati poco si prestano alla verifica empirica. Dall’altro lato gli empirici sono prevalentemente dediti all’applicazione delle metodologie quantitative più sofisticate a problemi di immediato interesse per la politica economica, dalle problematiche relative al mercato del lavoro alla previsioni della dinamica futura attesa del prezzo delle materie prime. Purtroppo, tra questi ultimi cresce il numero di coloro si dedicano allo smanazzamento (si, smanazzamento) di dati reso possibile dalle moderne tecnologie anche in assenza di una comprensione profonda delle teorie che dovrebbero guidare la loro ricerca: penso, tanto per essere chiari, al data mining, ma potrei portare molti altri esempi.

Tra questi due estremi sta un gruppo di economisti che nel proprio lavoro segue l’indicazione di Deaton (e non solo, ovviamente): indicazione che vuole che il lavoro di ricerca sia sintesi di lavoro teorico originale (modellazione, la chiamiamo noi) e successiva verifica empirica dell’ipotesi desunta dal modello teorico. Grazie, Professor Deaton.

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