La storia

VisLab, la startup che ha fatto guadagnare 2 milioni all’Università di Parma

È la cifra (in dollari) incassata dall’ateneo per la cessione all’americana Ambarella della sua quota nella società che ha messo a punto un’auto a guida automatizzata. E pensare che nel 2009 investì solo 500 euro… Racconta il team: «Non siamo andati in Silicon Valley, l’abbiamo fatta venire da noi»

Pubblicato il 10 Lug 2015

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Il team di VisLab

Non è stata l’azienda italiana ad andare in Silicon Valley, ma la Silicon Valley a venire in Italia. Così, parafrasando il vecchio detto su Maometto e la Montagna, si può descrivere il percorso di VisLab, spinoff dell’Università di Parma che ha sviluppato un’automobile a guida automatizzata ed è stata rilevata di recente per 30 milioni di dollari dalla statunitense Ambarella, azienda quotata al Nasdaq attiva nel settore della compressione video e del processamento di immagini. Una exit che ha fatto scalpore nell’ecosistema italiano e che è destinata a farne ancora di più ora che si scopre che, all’inizio, l’Università di Parma aveva investito in questa realtà solo… 500 euro. Un gruzzoletto che, a distanza di 6 anni, si è trasformato in circa 2 milioni di dollari. Quasi come vincere al totocalcio.

Qui però non si tratta di lotterie ma di un’eccellenza italiana che non solo si è fatta apprezzare all’estero ma ha convinto “lo straniero” a investire nel nostro Paese. Così hanno raccontato oggi l’avventura i suoi protagonisti durante una diretta streaming. Spiegando innanzitutto cos’è VisLab. Nata nel 2009 in ambito universitario e guidata da Alberto Broggi, professore ordinario presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, ha sviluppato alcuni software per la visione artificiale dell’ambiente stradale, ha meritato attestati di riconoscimento per l’avanguardia delle ricerche ed è stata pioniere nel settore con sfide come il test di guida autonoma con veicoli automatici da Parma a Shangai per circa 15.000 km nel 2010.

Nel 2014 il gruppo ha sviluppato Deeva, ultimo prototipo dotato di sensori e videocamere in grado di percepire e interpretare ciò che accade nell’ambiente circostante in tempo reale e decidere autonomamente in che direzione muoversi e con quale velocità. La messa in commercio di questa tecnologia è in grado di rivoluzionare il concetto stesso di trasporto su ruote e soprattutto mira ad aumentare la sicurezza sulle strade, riducendo il numero di incidenti che, nella maggior parte dei casi, sono causati dal “fattore umano”, ovvero distrazioni e comportamenti poco responsabili da parte degli automobilisti.

VisLab ha lavorato con grande impegno per anni e, a un certo punto, il prototipo era arrivato a un punto tale da suscitare l’interesse di aziende internazionali” rievoca il rettore dell’Università degli Studi di Parma, Loris Borghi. “In particolare si è fatta viva Amberella: ci abbiamo pensato, ci siamo confrontati e il 25 giugno abbiamo firmato il contratto in un grande studio di Milano. C’è voluta l’intera giornata”. Le ricadute più significative del deal? “È stato chiesto al team di trasferirsi in California ma ha preferito restare in Italia. Così l’azienda ha avviato una trentina di assunzioni a tempo indeterminato su Parma. A fare la spola tra qui e la California saranno semmai il fondatore di VisLab, Alberto Broggi, e Gino Gandolfi, delegato dell’Università. I laboratori della società VisLab-Ambarella troveranno posto all’interno dell’Università di Parma in una nuova struttura di 1000 mq, estendibile a 2000, la cui costruzione partirà ad ottobre. Grazie all’accordo nasceranno inoltre nuovi prodotti formativi per i nostri studenti, con conseguente arricchimento dei corsi di laurea, e sono già state messe a bando 5 borse di studio per dottorati di ricerca in Tecnologie dell’Informazione presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione”.

Alberto Broggi, docente di Sistemi operativi e Visione artificiale all’Università di Parma e General Manager di VisLab, ha poi spiegato le ragioni del matrimonio tra l’azienda della Silicon Valley e la società ideatrice di Deeva.“Ambarella produce chip per elaborazione e compressione di immagini, noi sviluppiamo algoritmi per elaborazione di immagini. Loro fanno hardware, noi software. Ambarella – prosegue – è basata in Silicon Valley come sviluppo, la realizzazione è a Taiwan: con la nostra acquisizione acquista un terzo polo europeo”.

Ovviamente, quando si pensa a un’automobile automatizzata, il pensiero va alla Google Car, che non è l’unica di questo genere nel mondo ma è probabilmente la più nota e pubblicizzata. In cosa differiscono Deeva e Google Car? “Google usa una tecnologia costosa basata sul laser – spiega l’ingegnere – noi un’altra meno costosa basata su telecamere. Ci serviva appunto l’hardware, ora abbiamo trovato chi lo fa”.

“Ad un certo punto con VisLab ci siamo trovati di fronte a un bivio: fare una scelta solo finanziaria o intraprendere un percorso industriale? Come vedete abbiamo preferito il secondo” dice Gino Gandolfi, delegato del rettore a Sostegno alla nascita di impresa e Tutela della proprietà intellettuale. “Ambarella – prosegue – ci è piaciuta da subito, il management si è dimostrato determinato e convinto a chiudere l’operazione, con grande lungimiranza nell’ascoltare le nostre richieste. Alla fine hanno detto sì a tutto. Si tratta di una società quotata al Nasdaq, con una capitalizzazione di 3,2 miliardi di dollari, ma quello che più ci ha colpiti è che terzo del capitale è impegnato in Ricerca e Sviluppo”. La transazione è stata chiusa a 30 milioni di dollari. Sei anni fa l’ateneo aveva investito 500 euro nel capitale della società. Certo, l’ha ospitata, in qualche modo l’ha incubata. Fatto sta che ad oggi ha già incassato oltre 2 milioni di dollari”. I 500 euro erano serviti all’Università ad acquistare una quota dell’allora neonata società. Altre quote sono in mano al professor Broggi, ma anche ad altri docenti, collaboratori ecc. ecc.. Come avviene di solito nel caso degli spin-off universitari, l’azionariato è diffuso.

“I 2 milioni di dollari sono una cifra sulla quale paghiamo le tasse e che sarà completamente reinvestita nell’università a favore degli studenti e della ricerca” ha replicato il rettore Borghi, per poi illustrare il progetto di un Master Campus Scienze e Tecnologia con l’obiettivo di trasformare lo spazio dell’ateneo in una cittadella tecnologica, “un quartiere modello abitato da professori e studenti in cui gli abitanti fanno ‘da cavie’ per la sperimentazione che nascerà dai laboratori. Ma anche un punto di accoglienza di aziende esterne”.Tutto perfetto, dunque, in questa “favola” imprenditoriale ai tempi delle startup? Non tutto, purtroppo. “Come Università facciamo parte della pubblica amministrazione – sottolinea il rettore – ed è stato molto difficile far capire agli americani i vincoli di una PA italiana. È stato uno slalom tra leggi, leggine e vincoli di ogni tipo. Per questo vorremmo rimanere un ente pubblico ma sganciato dalla burocrazia”.

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