LA EXIT

Apple compra Stamplay, 5 lezioni per le startup (e per le aziende)

La storia della società fondata nel 2012 da Nicola Mattina e Giuliano Iacobelli, acquisita dal colosso di Cupertino, è molto istruttiva. È nata a Londra ma è rimasta sempre italiana; si è conquistata una reputazione internazionale ma non poteva reggere sul mercato americano. L’exit è il lieto fine. Ma non per l’Italia

Pubblicato il 22 Mar 2019

Il team di Stamplay

A volte gli ostacoli sono nella testa delle persone. Complimenti quindi a Nicola Mattina, Giuliano Iacobelli e a tutto il team di Stamplay che non si sono posti limiti e sono riusciti a navigare fin dentro la pancia della balena: una startup made in Italy acquisita da Apple è una notizia, una bella notizia, anche se non è la prima volta che succede: nel 2012 l’azienda di Cupertino comprò Redmatica, una piccola software house emiliana specializzata nella composizione musicale e nella sintesi sonora.

Per una singolare coincidenza la notizia dell’acquisto di Stamplay da parte di Apple arriva pressappoco nelle stesse ore in cui dopo 13 anni il colosso di Cupertino perde il primato nella classifica delle aziende più innovative del mondo, dovendosi accontentare del terzo posto dietro Google e Amazon. Anche questo scivolone può spiegare la rinnovata attenzione per le startup e quindi l’acquisizione della società fondata nel 2012 da Mattina e Iacobelli per creare e gestire app in cloud in maniera semplificata, senza il bisogno di scrivere in codice.

La storia di Stamplay, che su EconomyUp abbiamo raccontato in diverse occasioni, e il suo brillante esito sono molto istruttivi per le startup ma anche per molte aziende italiane. Ecco le 5 lezioni che si possono ricavare.

1. Anche chi è innovativo deve continuare a innovare

Stamplay è la decima startup acquisita da Apple (che compra sempre il 100%) dall’inizio del 2018 per una cifra che, secondo indiscrezioni non confermate, sta attorno ai 5milioni di dollari. Pochi? Tanti? Dipende. Per Apple sono certamente peanuts, visto che dalla sua fondazione ha acquisito, secondo CB Insighths, 106 startup, investendo miliardi di dollari. Negli ultimi 12 mesi ha accelerato perché l’innovazione non è qualcosa che si acquisisce una volta per tutte: anche i champion, se si fermano, rischiano di perdere il primato, come dimostra la classifica di cui si diceva prima. Apple di solito compra startup per arricchire i propri prodotti. Fra pochi di mesi scopriremo quali servizi saranno potenziati grazie all’integrazione di Stamplay.

2. Si può essere italiani e internazionali

Stamplay è una startup fortemente italiana, anzi fortemente romana, ma societariamente costituita a Londra nell’agosto del 2012 da Giuliano Iacobelli e Nicola Mattina, che è stato il primo investitore insieme con un business angel romano, appunto: Lorenzo Barbantini Scanni. Nel 2014 Stamplay partecipa sempre a Londra a un programma di incubazione di Seedcamps, poi chiude un round di finanziamento in crowdfunding sulla piattaforma Seedrs (a cui partecipa anche il fondo Club Italia Investimenti 2,) e nel 2015 vola a San Francisco, dove viene accelerata in 500 Startups e ottiene un finanziamento da investitori americani. La sede operativa, però, è sempre rimasta in Italia. Stamplay è una startup inglese, italiana o cos’altro? Probabilmente domanda antica o fuori luogo nel mondo digitale…

3. Le competenze contano ma il business è un’altra cosa

La vicenda di Stamplay ha prodotto un comprensibile moto di orgoglio dalle parti di RomaTre. Tutti i componenti del team della startup infatti sono legati alla terza università statale della capitale. Gli sviluppatori sono ex studenti e meritano anche loro l’onore della citazione: Cristian Roselli, Claudio Petrini, Mirko Di Serafino, Alessandro Oliveri. Hanno partecipato al programma di sviluppo imprenditoriale dell’ateneo denominato Dock3, come anche il cofounder Giuliano Iacobelli. Nicola Mattina, infine, a Roma3 ci insegna. ” Il successo riscosso da Stamplay ci conferma che stiamo procedendo sulla strada giusta”, dice Carlo Alberto Pratesi, delegato di Ateneo per le Startup e imprese. Bene, un’ulteriore conferma dell’esistenza di competenze hitech di alto livello, in grado di reggere il confronto internazionale ma insufficienti, da sole, a garantire lo sviluppo di un’impresa a livello globale. Il business è un’altra cosa: dipende soprattutto dai capitali e dal mercato.

4. Il vero mercato digitale è ancora USA

Stamplay, nata per creare un tool per permettere ai siti di ecommerce di sviluppare programmi interattivi di loyalty in maniera semplice (da qui il nome: stamp, cioè bollino + play, gioca), è diventata quel che tecnicamente si definisce una Integration Platform as a Service. È nello stesso spazio di aziende come Workato, Tray.io, Built.io. che si muovono su altre dimensioni economiche. Nel 2018, solo per ricordare qualche dato, Tray.io ha raccolto circa 15milioni di dollari, Workato ha chiuso un round da 25. Stamplay ha provato a fare il suo percorso internazionale ma con un pizzico di ingenuità: pensare di poter fare tutto dall’Italia, quando questa categoria di servizi digitali ancora si realizza e cresce velocemente solo negli Stati Uniti: perché lì ci sono molte aziende che li fanno e molte che li comprano. C’è più competizione ma anche più domanda oltre a una maggiore disponibilità di capitali. In Italia mancano le premesse per lo sviluppo di business del genere e riuscire a vendere la propria tecnologia a una grande azienda hitech è il migliore risultato possibile.

5. Le cose difficili a volte sono più semplici di quanto si pensi.

A volte gli ostacoli sono solo nella testa delle persone, si diceva all’inizio. Stamplay ha subito scelto un approccio globale, pur se con i limiti della casa madre (l’Italia). Ha costruito una soluzione all’altezza di altre prodotte da startup molto più finanziate e robuste: il team, compreso i fondatori, si ferma a sei persone più qualche collaboratore sparso per il mondo. Una dimensione che deve aver suscitato curiosità e ammirazione tra i competitor americani. Sembrava impossibile che una piccola pattuglia di ingegneri romani guidati da un consulente con la passione per l’insegnamento, che ama definirsi un cane da tartufo sempre alla ricerca di nuovi temi e nuove frontiere, potesse attirare l’attenzione internazionale continuando a lavorare all’interno del GRA. Eppure è successo: Stamplay è riuscita a crearsi la sua buona reputazione internazionale ed è bastato mettere in giro la voce per trovare un compratore. E che compratore! Non è certo stato facile, ma non è impossibile. Mai dire mai. Una partita nel campionato di serie A possono farla tutti, se hanno qualità e tenacia. Adesso il team di sviluppatori comincerà la sua nuova vita a Cupertino. Per questo gruppo di trentenni è decisamente una svolta, l’occasione che ti cambia la vita. Per l’Italia è una perdita.  E questa è forse l’unica nota grigia nell’happy end della storia di Stamplay.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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