Working Capital Stories

GIPSTech, “Siamo la rivincita su un Paese che non ci valorizza”

I quattro founder della startup che vuole rivoluzionare il sistema di geolocalizzazione, sono sparsi per il mondo e la loro sala riunioni è Skype. E sono pronti a notti insonni e weekend lavorativi. “Tutto pur di prenderci il ruolo che ci compete”

Pubblicato il 13 Gen 2014

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Matteo Fagin, founder di GiPSTech, a destra, con Luca Ascani di Populis

“Ci riteniamo risorse sotto-utilizzate dal sistema, in grado di dare e fare molto di più. Quindi GIPSTech è il nostro modo di prenderci quello che ci compete”. È con un certo – giustificato – orgoglio che Matteo Faggin (al centro nella foto) descrive il progetto di business selezionato lo scorso novembre da Working Capital insieme ad altri 14 nella seconda call for ideas della competizione organizzata da Telecom Italia.

L’obiettivo di Giuseppe Fedele, Gaetano D’Aquila e Faggin (più un altro socio di cui ancora non è possibile svelare il nome) è piuttosto ambizioso: rivoluzionare il concetto stesso di geolocalizzazione. Finora, oltre a Working Capital, ci ha creduto anche la giuria di Tech Crunch Italy, che ha fatto vincere a questo team la StartUp Competition da 50.000 euro durante l’evento di settembre a Roma dedicato alle neo-imprese.

Sono occasioni in cui il gruppo riesce a ritrovarsi, perché di solito è disseminato per il mondo: “Ognuno sta proseguendo con il lavoro che gli paga lo stipendio a fine mese – spiega Faggin, che si occupa del marketing e della parte finanziaria, mentre gli altri sono dediti alla ricerca – quindi i momenti in cui ciascuno riesce a dedicarsi a GIPStech si riduce alle sere e fine settimana. Visto che stiamo uno in Austria, uno a Milano e due a Cosenza, Skype è la nostra unica possibile ‘sala meeting’ e spesso siamo in conference call ad aggiornarci e prendere assieme le decisioni”.

Alla base della scintilla che ha fatto scoccare l’idea di business c’è l’intenzione di “tramutare le anomalie da problema ad opportunità”. Può sembrare un concetto filosofico, ma in questo caso vuole tradursi in un servizio concreto: aiutare le persone ad orientarsi in ambienti chiusi senza bisogno di alcuna infrastruttura dedicata tipo wi-fi, ma usando il campo geo-magnetico esistente in natura.

“L’idea è venuta – spiega il co-founder – cercando di risolvere problemi di localizzazione di un device gps: negli ambienti chiusi questo dispositivo

aveva grosse difficoltà ad individuare i riferimenti magnetici, a causa delle molte anomalie causate dalle strutture. L’idea fondamentale è stata quella di utilizzare queste anomalie geomagnetiche per costruire mappe su cui localizzare con precisione gli utenti”. In pratica il futuro cliente di un supermercato che cerca, per esempio, il sale, non dovrà far altro che chiederlo ad una app, la quale “interpreterà” il segnale geo-magnetico ‘connaturato’ all’edificio (quindi escludendo in tutto o in parte il ricorso a tecnologie wireless) e lo indirizzerà nel posto giusto.

Tre i tecnici del gruppo, 2 phd e un tecnico industriale di esperienza che si sono conosciuti in ambienti di R&D privati e pubblici. Il quarto componente, che si è aggiunto più di recente, è provvisto di un Mba, lavora con le startup e si occupa della parte business.

Il ritmo di lavoro dell’équipe è quello tipico di ogni startup che si rispetti: “Stiamo rinunciando a molte notti, molti weekend e molta tranquillità e immaginiamo di dover continuare a lungo su questa strada” dice Faggin.

Per fortuna le famiglie li sostengono, “anche se dire che capiscono bene tutti i passaggi sarebbe improprio”. Ma questo, bisogna ammetterlo, non è facile neppure per gli esperti del settore.

L’obiettivo finale è “creare qualcosa di nuovo e di ambizioso, che ci dà un’enorme soddisfazione”. E non sentirsi più sotto-utilizzati dal sistema Paese.

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