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Aziende e Omnicanalità: solo il 6% è pronto per affrontarla

L’Osservatorio Omnichannel Customer Experience ha pubblicato un report sull’approccio delle aziende all’omnicanalità. Risultato: Il 70% dichiara che il vertice aziendale affronta il tema, ma soltanto il 6% ha dedicato un significativo effort alla dimensione strategico-organizzativa e a quella tecnologica. Ecco le barriere

Pubblicato il 05 Dic 2019

Giuliano Noci introduce il convengo su aziende e omnicanalità

Il 70% delle aziende dichiara che il vertice aziendale sta affrontando il tema dell’omnicanalità, ovvero l’evoluzione del processo di acquisto del cliente che ormai  passa dall’offline all’online senza soluzione di continuità, ma solo il 6% delle imprese può dirsi realmente “matura” nel realizzare strategie e adottare tecnologie. È uno degli elementi emersi dalla terza edizione dellOsservatorio Omnichannel Customer Experience, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano e presentato all’evento “Facciamo strike con l’Omnichannel Customer Experience: abbattere le barriere si può!”. La ricerca si è basata su interviste approfondite a circa 50 grandi e medio-grandi aziende della domanda eterogenee per settore di appartenenza e a oltre 40 aziende dell’offerta (tra provider di soluzioni ICT, società di consulenza, digital agency, technology provider, software house e system integrator).

Il report dell’Osservatorio evidenzia le barriere che tuttora impediscono alle aziende di realizzare un’autentica strategia omnichannel: la scarsa centralità del cliente, l’assenza di governance, di competenze, di incentivi e di misurazioni del grado di omnicanalità dell’impresa. Barriere che hanno ancora un impatto pesante sul risultato finale: solo il 6% delle aziende prese in esame ha dedicato un significativo effort sia allo sviluppo della dimensione strategico-organizzativa, sia di quella legata a dati e tecnologie (Omnichannel Master) e può quindi essere considerata a uno stadio maturo del percorso.

Aziende e Omnicanalità: l’interazione è multicanale

Nel 2019 la propensione degli individui a un’interazione multicanale con le imprese è largamente diffusa in tutte le fasce della popolazione. Nel dettaglio, oltre l’80% della popolazione italiana con più di 14 anni (circa 44 milioni di individui) ha una prospettiva multicanale nell’interazione con la marca, nelle diverse fasi del processo d’acquisto e in modo trasversale alle varie categorie di prodotto. I canali digitali sono quindi diventati un punto di contatto imprescindibile, anche per i consumatori con un forte bisogno di tangibilità nel proprio percorso di acquisto. Sono infine 28 milioni gli italiani che hanno effettuato almeno un acquisto online negli ultimi dodici mesi.

In sintesi, i consumatori vivono la multicanalità come uno spazio integrato (offline e online) e seguono customer journey differenziati e personalizzati in base alle proprie esigenze specifiche e contestuali. Inoltre la multicanalità, oltre a essere un fenomeno maturo e ampiamente diffuso, è ormai una logica interattiva applicata everywhere, anytime e da qualsiasi device.

“È ormai assodato che gli individui mettono in pratica comportamenti di acquisto che si differenziano sulla base di attitudini, prodotti/servizi di interesse e requisiti conseguenti al contesto in cui si svolge il customer journey. Personalizzazione (dell’interazione con la marca) e esperienza integrata lungo i vari touchpoint sono i nuovi mantra del mercato.” afferma Giuliano Noci, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience. “A fronte di tali cambiamenti nel rapporto individuo-marca, è richiesto alle imprese in primo luogo di affermare una prospettiva orientata alla customer intimacy a tutti i livelli aziendali e in tutte le unità organizzative (anche quelle di staff) e in secondo di coniugare obiettivi di breve e medio-lungo termine. All’atto pratico, è necessario un cambio di paradigma nell’organizzazione della catena del valore, secondo cui le attività non sono più organizzate intorno ai prodotti quanto piuttosto ai segmenti di mercato; è indubbiamente, questo, un cambiamento organizzativo e culturale che in taluni casi può rivelarsi anche molto rilevante ma quanto mai necessario”.

“Per gestire i cambiamenti in atto nei processi d’acquisto dei consumatori è fondamentale un commitment forte del vertice aziendale, che deve però tradursi in chiare linee guida implementative, afferenti la dimensione culturale-organizzativa, le modalità di raccolta e integrazione dei dati e, infine, l’introduzione e gestione di adeguate tecnologie a supporto” aggiunge Raffaello Balocco, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience “Un altro aspetto chiave è anche la gestione del contenuto: per essere realmente efficaci in termini di esperienza offerta al cliente non può mancare un’attenta progettazione dei contenuti veicolati, in termini di brand identity, coerenza tra touchpoint e personalizzazione”.

Omnicanalità: gli ostacoli per le aziende

I dati relativi alle imprese italiane evidenziano la presenza di diverse barriere strategico-organizzative all’implementazione di una strategia pienamente omnicanale per i propri clienti.

Una strategia che non mette al centro il consumatore

Innanzitutto la prospettiva è tipicamente ancora fortemente product-centric e non customer-centric (per quasi un terzo, il 32%, dei rispondenti, questa logica ha un impatto rilevante o molto rilevante).

L’assenza di governance

In secondo luogo, le strutture organizzative non sono dotate di una struttura di governance adeguata per garantire un’opportuna gestione omnicanale nativa e pervasiva all’interno dell’impresa, evidenza certificata dalla presenza di silos organizzativi che impediscono di gestire la relazione con il cliente in maniera integrata (per il 52% dei casi) e dall’assenza di figure dedicate all’OCX (35% dei casi).

La mancanza di competenze per la gestione omnichannel

Mancano inoltre le competenze necessarie per la gestione dell’omnichannel customer experience (nel 44% dei casi), sia in termini di competenze verticali (ad esempio di gestione del dato, di analisi del comportamento del consumatore/customer journey, advanced analytics, marketing automation, content management, ecc.) sia di soft skill (come change management, capacità di coordinamento, collaborazione, ecc.).

La mancanza di incentivi

Si sente poi la mancanza di un opportuno sistema di incentivi che consenta di diffondere forte commitment sul tema in tutta l’organizzazione (ostacolo rilevante o molto rilevante nel 58% dei casi).

L’assenza di sistemi di misurazione

Infine, si denota l’assenza di una sistema di misura per l’omnichannel customer experience (nel 38% dei casi) come di un strategia in grado di identificare il contributo dei vari canali/touchpoint all’interno dell’organizzazione.

“In merito alle problematiche relative al tema della governance – dichiara Nicola Spiller, Direttore dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience del Politecnico di Milano – sono state introdotte varie modalità organizzative per attribuire rilevanza strategica all’Omnichannel Customer Experience. Le imprese più avanzate hanno istituito un ruolo di responsabilità chiaro all’omnicanalità (27% dei casi). Vediamo inoltre emergere l’introduzione di team/tavoli cross funzionali che consentono di condividere diverse prospettive ed agevolare la collaborazione (38% dei casi). Inoltre, per favorire lo sviluppo delle nuove competenze necessarie, sono stati attivati da molti player progetti di incentivazione e promozione su tali tematiche, come ad esempio la definizione di piani di formazione personalizzati relativi a competenze digital e di gestione della customer experience (33% dei casi). Rimane evidente – prosegue Spiller – il problema della misurazione a valle del processo, con l’utilizzo di KPI orientati ad obiettivi di breve-medio periodo, ossia customer satisfaction (45%), tasso di conversione/up selling (37%) e customer retention (34%), mentre solo nel 19% dei casi vengono utilizzate metriche di lungo periodo come il Customer Lifetime Value (CLV); nonché la ridotta presenza di sistemi di valutazione dei manager connesse all’OCX con l’obiettivo di creare empowerment e diffondere commitment a tutti i livelli aziendali (22%)”.

Raccolta e gestione dei dati

Un ulteriore elemento su cui le aziende devono lavorare per implementare una strategia omnicanale è rappresentato dalla molteplicità di dati che ruotano attorno al consumatore.

Da un lato infatti, il volume di dati a disposizione delle organizzazioni, secondo svariati studi, è in crescita esponenziale e ciò risulta di grande valore per gli analisti di business e non solo. Dall’altro lato, tale incremento comporta una crescente complessità in termini di integrazione, gestione e valorizzazione dei dati relativi ai consumatori, causata dal fatto che questi ultimi sono sempre più sparsi in diversi silos, difficili da analizzare e ancora più complessi da azionare.

“Per implementare concretamente una strategia di omnichannel customer experience management occorre adottare una strategia data-driven, che valorizzi al meglio i dati sui consumatori, con il duplice obiettivo di ottimizzare l’esperienza del cliente e migliorare le performance di business.” Dichiara Marta Valsecchi, Direttore dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience. “Ad oggi, però, nel 42% dei casi le imprese giudicano nulla, o al più limitata, la propria capacità di generare valore di business dai dati raccolti sui consumatori e solo il 2% la valuta ottima. Inoltre per fare un salto nella direzione dell’omnicanalità, è fondamentale attivare modalità di collaborazione e integrazione in grado di coinvolgere diversi ruoli aziendali, funzioni e, ove necessario, anche attori esterni all’azienda stessa (ad esempio, gli intermediari commerciali), con il fine ultimo di creare un ecosistema aziendale capace di mettere a fattor comune le molteplici informazioni provenienti dai diversi punti di contatto con il cliente.”

Le difficoltà maggiori che le imprese segnalano in merito alla gestione dei dati riguardano l’integrazione dei dati ed in particolare: la mancanza di una centralizzazione dei dati, sparsi a livello di diversi brand, funzioni aziendali, country o in mano agli intermediari commerciali (barriera rilevante o molto rilevante per il 43% dei casi); la difficoltà a integrare dati online e offline (42%); problematiche di natura legale (40%); la presenza di strutture dati non confrontabili (39%).

In termini di utilizzo dei dati, il 43% delle aziende analizzate ha dichiarato di aver investito nel 2019 in progetti di automazione e personalizzazione delle iniziative di marketing e comunicazione. In particolare, il 27% dei casi modifica dinamicamente i contenuti presenti sui propri touchpoint in funzione dello specifico utente coinvolto; un’azienda su cinque (20%) sviluppa attività di marketing automation in grado di tenere conto dello stato dell’utente all’interno del customer journey e delle precedenti interazioni con l’azienda per stimolare un’azione concreta (ad esempio, l’invio di una comunicazione a seguito dell’abbandono del carrello sul sito di eCommerce); il 18% utilizza le informazioni raccolte per comprendere meglio il ciclo di vita del cliente (ad esempio, le motivazioni alla base della sua fedeltà o abbandono); il 17% ottimizza le campagne in base all’andamento real-time delle stesse.

Tecnologia

La barriera tecnologica è spesso un alibi. Nei fatti non rappresenta di per sé un vincolo all’implementazione di strategie innovative in azienda ma, al contrario – soprattutto in questo ambito – può essere vista come motore abilitante del cambiamento.

Le complessità di natura tecnologica più frequentemente percepite dalle imprese si sviluppano lungo due direzioni.

Da un lato, vi è la necessità di far dialogare due entità con caratteristiche antitetiche: un’anima stabile e conservativa, costituita molto spesso da sistemi legacy di vecchia generazione rimasti pressoché invariati nel tempo (che non garantiscono né un’adeguata scalabilità né una buona velocità di esecuzione) e un’anima dinamica e innovativa, composta da nuovi applicativi che, grazie alla loro capacità di evolvere rapidamente, in linea con le innovazioni del mercato, consentono di andare incontro alle più svariate esigenze dei consumatori. Il 50% delle realtà sottolinea come le problematiche legate alla presenza di sistemi/applicativi (a volte persino duplicati) incapaci di dialogare tra loro (stratificazione tecnologica nel tempo) e spesso sviluppati da fornitori tecnologici differenti abbiano un impatto rilevante o molto rilevante. Per affrontare al meglio tale trade-off (sostanzialmente presente in tutte le realtà storiche) quasi metà delle aziende analizzate (47%) ha introdotto o sta introducendo un integration layer tecnologico capace di disaccoppiare e abilitare l’integrazione tra i “vecchi” sistemi legacy e i touchpoint digitali aziendali, favorendone in questo modo una comunicazione flessibile e tempestiva .

L’altro fronte riguarda le difficoltà di relazione tra IT e business: nel 75% dei casi la mancanza di collaborazione tra queste due funzioni è segnalata come una grossa criticità. Ciò è dovuto principalmente a un’incapacità da parte della funzione IT di rispondere alle richieste del business nei tempi prestabiliti per overload di attività (64% dei casi) e all’assenza di un “linguaggio di comunicazione” comune (37%). Per risolvere tali problematiche nel 47% dei casi si coinvolge l’IT fin dalle fasi iniziali dei progetti di omnicanalità, anche con nuove modalità di lavoro (metodologie agile, design thinking, …), e si cerca di creare contaminazione di competenze tra i due mondi. In particolare, nel 16% dei casi le aziende tendono a fornire al business competenze afferenti al mondo IT e nel 10% dei casi viceversa.

Il grado di maturità delle aziende nella gestione dell’omnicanalità

Le evidenze emerse dalla Ricerca hanno consentito di effettuare una rappresentazione di sintesi dello stato di maturità delle imprese italiane in relazione alla gestione di una strategia di omnichannel customer experience rispetto a due variabili: il grado di maturità strategico-organizzativa (in termini di definizione di obiettivi da parte del vertice aziendale, di introduzione di soluzioni organizzative e di presenza di sistemi di misurazione orientati all’omnicanalità) e il grado di maturità relativa a dati e tecnologie (tra cui l’introduzione di logiche di data ownership, la creazione di modelli di restituzione del dato all’interno dell’organizzazione e con eventuali intermediari commerciali, l’istituzione di processi per la verifica preliminare dell’adeguatezza delle soluzioni tecnologiche). Da tale rappresentazione emerge che:

● il 27% del campione è composto da quelle imprese che hanno da poco approcciato il tema dell’omnicanalità (Omnichannel Novice);

il 12% delle imprese ha adottato un buon approccio dal punto di vista organizzativo e sta contemporaneamente lavorando sul tema dell’integrazione dei dati e introduzione di tecnologie al riguardo; è quindi nel mezzo del cammino (Omnichannel In-Progress);

solo il 6% ha dedicato un significativo effort sia allo sviluppo della dimensione strategico-organizzativa, sia di quella legata a dati e tecnologie (Omnichannel Master) e può quindi essere considerata a uno stadio maturo del percorso;

● il 20% dei casi riguarda aziende che hanno privilegiato la dimensione strategico-organizzativa a quella legata a dati e tecnologie (Committed);

● il 35% del campione analizzato (Tactician), infine, ha privilegiato un approccio “per progetti” volto all’integrazione di dati e all’adozione di tecnologie di data-driven marketing, ponendo invece minor attenzione alla tematica strategico-organizzativa. Queste aziende si trovano spesso a fare i conti con investimenti molto importanti dal punto di vista tecnologico, che per mancanza di un piano strategico ben definito non riescono a concretizzare pienamente i benefici derivanti dall’adozione di una strategia omnicanale.

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