L’INTERVENTO

Crowdinvesting, non è crisi ma la fine di un’era: le criticità e le opportunità dopo il regolamento europeo



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Il crowdinvesting arretra? Non è proprio così, perché i dati non possono essere confrontati con quelli della situazione precedente al Regolamento europeo. Le criticità non mancano, ma anche le opportunità. E sono pure numerose…

Pubblicato il 31 lug 2024

Angelo Rindone

Amministratore delegato di Folkfunding



crowdinvesting

Il 22 luglio 2024 l’Osservatorio del Politecnico di Milano ha presentato il 9° Report Italiano sul Crowdinvesting (qui puoi scaricare il report), ovvero del crowdfunding per progetti di equity e di lending.

Leggendo i titoli dei giorni successivi (“Anno nero per il crowdinvesting”, “In Italia arretra il crowdinvesting”, “Prosegue il calo del rodinvesting”) l’impressione è di essere di fronte al necrologio di un settore che ci aveva abituato ad una crescita a due cifre ma che da un paio di anni ha cominciato a dare segni di cedimento e il dato complessivo dell’ultimo anno segna un -5,3% (qui puoi leggere il resoconto di EconomyUp)

Crowdinvesting, I dati vanno contestualizzati

Quello che sta succedendo va analizzato con attenzione e contestualizzato.

Il 20 ottobre 2020 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il Regolamento (UE) 2020/1503 relativo ai fornitori europei di servizi di crowdfunding per il business (European Crowdfunding Service Providers, ECSP).

A seguito di questa normativa, dall’11 novembre 2023 possono operare in Italia esclusivamente i fornitori di servizi di crowdfunding per le imprese che abbiano ottenuto l’autorizzazione e come tali iscritti nell’apposito Registro dei fornitori di servizi di crowdfunding tenuto dall’Esma .

In pratica le piattaforme non autorizzate da Consob e da Banca d’Italia non possono operare e ovviamente non possono proporre nuovi progetti

La riduzione delle piattaforme: da 75 a 20 operative

Questo ha portato ad un profondo ridimensionamento del numero delle piattaforme che passa da 75 piattaforme, di cui 66 realmente operative, a 35 piattaforme autorizzate di cui poco più di 20 ad oggi realmente operative.

Abbiamo il 60% delle piattaforme operative in meno ma solo il 5% di calo sulla raccolta complessiva. Insomma un calo fisiologico, niente di così drammatico ma soprattutto niente di inaspettato.

I nuovi dati non possono essere confrontati con i vecchi

I nuovi numeri possono difficilmente essere confrontati con i vecchi

Possiamo certamente dire che è in corso una potatura dei rami secchi, ma è davvero difficile, in così pochi mesi, ipotizzare quali saranno gli effetti e gli attori che animeranno il mercato nei prossimi anni.

Certo, un trend sembra emergere forte, ovvero il divario che si sta allargando tra equity e lending, e ancor di più tra immobiliare e non immobiliare. Ma questo perché l’investitore delle piattaforme di crowdinvesting assomiglia sempre più all’investitore medio italiano, dove il binomio prestito-mattone risulta sicuramente più comprensibile di concetti come equity – quote – aumento di capitale – valutazione pre-money – startup etc.

Crowdinvesting, le criticità non mancano…

Ovviamente ci sono delle criticità che non bisogna nascondere, ma all’orizzonte si intravedono anche delle opportunità da cogliere… e il momento è adesso.

Provo a sintetizzare in pochi punti chiave quello che sta emergendo nel dialogo tra gli addetti ai lavori e dall’analisi dei dati che quotidianamente raccogliamo con CrowdCore e Tech4finance.

  • I costi acquisizione utente stanno salendo parecchio per via di un percorso di onboarding degli investitori che si è fatto molto più arduo e complesso, soprattutto per i così detti investitori non sofisticati. In generale i costi di gestione e marketing sono aumentati di molto.
  • Il mercato europeo non è equilibrato e ci sono interpretazioni diverse da paese a paese. l’Italia ha scelto la strada prudenziale (e più stringente) rispetto ad altre nazioni (vedi ad es. la Spagna). Questo rende la competizione europea non proprio ad armi pari.
  • La tassazione non è incentivante per gli investitori, ma questo valeva anche prima ed è il legislatore italiano che dovrebbe intervenire per incentivare e agevolare queste piattaforme, soprattutto quando sono a supporto dell’economia reale e/o delle economie d’impatto.
  • Le tematiche legate alla governance delle piattaforme con nuove regole stringenti e il tema del conflitto di interessi che (giustamente) penalizza alcuni operatori che prima utilizzavano le piattaforme per sviluppare progetti interni, e che non possono farlo più.
  • Il ridimensionamento del volume massimo che passa da 8 a 5 milioni per singolo deal, Una misura prudenziale, chiesta dalla Germania, che probabilmente cambierà nel tempo, man mano che si assesterà e testerà la nuova normativa.

…ma ci sono anche diverse opportunità

  • Mercato regolamentato, non va mai dimenticato che fino ad un anno fa solo l’equity era regolamentato a livello nazionale. La nuova normativa comprende anche il lending e abbiamo quindi di fronte la prospettiva di un mercato unico europeo.
  • Modelli ibridi, la nuova normativa apre l’opportunità di costruire strumenti finanziari diversi e sviluppare piattaforme ibride (equity+lending) e, a detta di tutti gli studi legali, il livello di modularità della licenza è un grosso punto di forza ancora tutto da esplorare.
  • È evidente che stiamo andando verso un mercato più strutturato, questo genera una maggiore selezione degli operatori e una soglia di ingresso al mercato molto più alta. Se per qualcuno rappresenta un problema per qualcun altro sarà certamente un’opportunità per entrare in un mercato che nel frattempo avrà fatto tabula rasa di molti piccoli operatori.
  • Inoltre la nuova nuova normativa permette anche di attivare la gestione dei portafogli e strumenti di auto-investing, un’opportunità molto interessante soprattutto per piattaforme che hanno un continuo flusso di opportunità da offrire alla comunità degli investitori.
  • Sicuramente ora è il momento buono per costruire sinergie e alleanze tra piattaforme piccole e medie, ad esempio immaginando fusioni tra piattaforme di lending e di equity oppure tra soggetti operano su diverse verticali di mercato.
  • Un mercato vigilato è un mercato che può generare maggiore trust tra gli investitori retail. Le piattaforme diventeranno nel tempo strumenti familiari, utili per la diversificazione del portafoglio di un investitore medio.

Le nuove regole europee chiudono per sempre un’era, un percorso sperimentale durato 10 anni, aprendo il mercato a un nuovo paradigma che porterà nuovi protagonisti e che sicuramente alza di molto l’asticella e richiede nuove competenze. E quando il gioco si fa duro…

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