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Anche l’Italia avrà un avamposto di innovazione in Silicon Valley: gli errori da evitare

La prossima apertura di un Italian Innovation and Culture Hub è senza dubbio una buona notizia, visto che l’Italia è sostanzialmente assente nella Bay Area. Adesso bisogna evitare modelli nazionali chiusi e un approccio bottom up

Pubblicato il 15 Giu 2021

Eni a San Francisco (foto di Chris Leipelt per unsplash)

L’apertura di un Centro nazionale di Innovazione e Cultura all’estero a San Francisco (Italian Innovation and Culture Hub) è senza dubbio la notizia del mese o forse del decennio, visto che è che da tanto tempo che si lavora al progetto, portato a termine dal Console Lorenzo Ortona (che ha capitalizzato lo sforzo dei suoi predecessori Marcelli e Battocchi) e dall’ambasciatore Armando Varricchio, entrambi agli ultimi giorni dei rispettivi mandati.

La visita in Silicon Valley del presidente Mattarella nel 2019 aveva decisamente accelerato il senso di urgenza per una presenza più visibile dell’innovazione italiana nella Bay Area (qui dettagli e commenti).

Iconicamente posizionato nello storico quartiere italo-americano di North Beach, l’IICH riunirà in un unico spazio due realtà pubbliche già esistenti (l’Istituto di Cultura e l’Agenzia ICE con il desk per l’attrazione degli investimenti guidato dall’ottimo Alberto Acito) e nei piani dovrebbe ospitare il nuovo Centro di innovazione per l’Italia.

Qui il condizionale è d’obbligo in quanto la capacità di un avamposto nazionale dell’innovazione di produrre risultati dipende da una serie di fattori e condizioni.

Nella nostra esperienza (al riguardo pubblicheremo a settembre uno studio dettagliato sui modelli – di successo e non – di innovation outpost di matrice governativa in Silicon Valley) ci sono molti aspetti da considerare in fase implementativa, ma due restano centrali:

  1. Evitare modelli nazionali chiusi. La Silicon Valley è un melting pot. Vanno evitati approcci chiusi così come vanno promossi modelli di contaminazione e compresenza con altri Paesi. Lo scambio di esperienze è parte fondante del processo di innovazione, quindi l’effetto silos va evitato come la peste.
  2. Avere un approccio bottom up. La Silicon Valley è il mondo della sostanza. Le iniziative cadute dall’alto vengono invece rigettate (era successa una cosa simile al lancio iniziale dell’agenzia europea EIT anni fa, come stigmatizzato da Fortune). Quindi bisogna evitare profili di rappresentanza puramente istituzionali e fare invece leva su chi è radicato e riconosciuto all’interno dell’ecosistema.
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Sul tema cade a proposito un’analisi pubblicata su California Management Review che ha analizzato gli outpost dell’innovazione di aziende multinazionali nella Bay Area.

In particolare hanno identificato tre situazioni che non portano a risultato.

  • “Loners”: persone/strutture paracadutate in Silicon Valley senza connessioni né a livello locale né con la casa madre.
  • “Connected castaways”: persone ben connesse localmente ma senza legami con la casa madre.
  • “VIP sightseers”: persone rilevanti ben connesse nell’ecosistema di provenienza ma senza legami in Silicon Valley.
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Intanto, per chi volesse informarsi, può vedere la mappa completa di chi ha un’antenna in Silicon Valley (sintetizzata nell’immagine sopra). Come si nota, il mondo è presente in modo massiccio (quasi 400 aziende hanno un outpost di innovazione), mentre l’Italia è sostanzialmente assente.

Quindi ben venga il neonato IICH a condizione che sappia fare leva su chi è nella Silicon Valley (oltre a SVIEC, BAIA, LombardStreet, Mind the Bridge, …) e valorizzare le esperienze fatte (Enel con il suo Outpost è certamente il precursore, ma ci sono altre importanti aziende italiane con cui stiamo avviando un’antenna – a breve gli annunci – oltre alle presenze regionali: ART-ER Emilia Romagna e il desk operativo della Regione Sardegna che sarà attivato nel nostro Innovation Center di SOMA da settembre), piuttosto che ripartire da zero.

Parola d’ordine: costruire sull’esistente.

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Alberto Onetti
Alberto Onetti

Chairman (di Mind the Bridge), Professore (di Entrepreneurship all’Università dell’Insubria) e imprenditore seriale (Funambol la mia ultima avventura). Geneticamente curioso e affascinato dalle cose complicate.

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