La ricerca efficace

Solo innovando possiamo salvare l’industria italiana

La deriva della delocalizzazione si può evitare se si investe in una ricerca produttiva ed efficiente. Nel settore farmaceutico significa puntare sul biotech.

Pubblicato il 26 Giu 2013

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Sergio Dompé, presidente Dompé Farmaceutici

Nel nostro lavoro l’innovazione non è nulla di eroico. Non è una scelta ma un bisogno assoluto. Se non riesci ad avere una ricaduta di innovazione nessuno paga la ricerca, che deve essere efficace e fruttuosa. Se abbiamo questo bisogno, nel settore farmaceutico così come in altri contesti industriali, è perché il mondo è cambiato.

L’emergere di nuove economie e il mutamento, anche profondo, del quadro competitivo internazionale hanno generato un duplice effetto, dai toni ora più negativi ora positivi. Nel settore farmaceutico quello negativo si palesa in una spinta molto forte all’abbassamento generalizzato dei prezzi per tutti i prodotti senza brevetto. Il costo della salute è tendente allo zero: ci sono caramelle che costano il 300% in più di farmaci che salvano la vita. Per il consumatore è un indubbio vantaggio, per l’industria vuol dire una forte spinta alla delocalizzazione produttiva e degli investimenti. È ovvio che in un Paese dove i costi sono più alti e i margini più bassi non posso prevedere nuovi investimenti. Evitare questa deriva è possibile solo puntando sull’innovazione che, nel farmaceutico, significa soprattutto biotech.

La Dompé ha di recente fatto un investimento da 7 milioni di euro all’Aquila, ancor più dirimente per un territorio e per una popolazione provati dal terremoto:siamo stati i primi a ripartire dopo soli 40 giorni dal sisma. E’ uno stabilimento importante, per valore strategico ancor più che per estensione: il nostro progetto è utilizzarlo al meglio e in chiave prospettica, per poi riconvertirlo alle produzioni biotecnologiche. Su questo fronte è previsto, sempre all’Aquila, un altro investimento, ancora da deliberare, di circa 16milioni di euro. L’obiettivo è avere una produzione polarizzata nel biotech.

Questo impegno è necessario per cogliere l’effetto positivo, più sopra richiamato, che pure c’è nell’evoluzione dei mercati. L’emergere di bisogni nuovi, l’aumento delle aspettativa di vita (nell’ultimo secolo abbiamo guadagnato 20 anni), l’ingresso di nuovi Paesi nel mercato della salute aprono nuove opportunità. C’è poi il grande tema delle malattie rare: sono aumentate le nostre conoscenze per mapparle e siamo già arrivati a censirne circa 8mila. La ricerca e l’innovazione in questo scenario hanno un ruolo strategico. L’Italia può fare bene la sua parte, perchè nel nostro Paese ci sono ottime competenze di carattere chimico, e non solo, e le imprese negli ultimi 10 anni hanno incrementato la capacità di produrre progetti innovativi. Oggi, a livello europeo, ci sono più di mille progetti di sviluppo di farmaci per le patologie rare e l’Italia ne gestisce circa l’8%. Non sono pochi.

Bisogna però investire in ricerca: il gruppo che presiedo è arrivato a sfiorare il 15% del fatturato, ben al di sopra della media di settore: una percentuale frutto dell’esigenza di spingere con decisione sul fronte dell’innovazione, oggi e nel prossimo futuro. In questo momento siamo nelle fasi finali di ricerche promettenti in aree terapeutiche quali il Diabete e l’Oftalmologia: è quindi facilmente prevedibile che i costi salgono e saliranno ancora. Fra due anni arriveremo addirittura al 20% per poi ridiscendere a livelli più fisiologici.

Ė un lavoro meraviglioso soggetto ad altissimi rischi, perché non c’è alcuna certezza fin quando non hai una license di commercio in Usa o in Europa. Dobbiamo quindi stare molto attenti anche nella comunicazione dei progetti perché non sempre vengono confermati dalle autorizzazioni e bisogna evitare che si creino aspettative eccessive destinate a trasformarsi in delusioni. Per dare un’idea di quanto rischioso sia il nostro lavoro, basta dire che solo una molecola sintetizzata su 10mila diventa farmaco. Più vai avanti nel processo, più le percentuali crescono. Noi siamo intorno al 50%, un buon risultato ma significa sempre che un progetto su due ha la probabilità di non andare a buon fine. Ma non esiste innovazione senza rischio.

Sergio Dompé, presidente Dompé Farmaceutici

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