Pr digitali, che cosa sono e a cosa servono

Generare contenuti per costruire un’opinione positiva, coinvolgendo blogger e influecer. È l’obiettivo dell’attività che Roberto Venturini, un veterano della comunicazione digitale in Italia, definisce nella sua nuova pubblicazione. Che spiega, passo, “come si fa oggi” rispetto a ieri

Pubblicato il 23 Feb 2015

Che cosa sono le PR digitali? Come si fanno? Risposta: generare contenuti e conversazioni per costruire un’opinione positiva della nostra marca, prodotto o servizio, coinvolgendo influencer e blogger. Sembra facile ma il web sta mettendo a dura prova competenze consolidate nel mercato della comunicazione.

Roberto Venturini, un “veterano” della comunicazione digital, oggi Digital Planner dell’agenzia Digital PR Italia (gruppo WPP) fa il punto nel volume, edito da Egea, dal titolo inequivocabile: Relazioni Pubbliche Digitali. Obiettivo: fornire uno strumento operativo a chi si trova nella posizione di dover dare visibilità, rendere notiziabile un evento, aiutare a ottenere un’esposizione mediatica, a entrare nei discorsi delle persone, a sintonizzarsi con loro.

Anche nelle PR digitali un’operazione di successo deve combinare strategia e creatività. E qui sta la difficoltà maggiore: se è relativamente facile «essere creativi», molto più complesso è farlo in modo funzionale ai risultati del business. Con l’obiettivo di offrire strumenti per pensare e creare progetti solidi e non un semplice manuale operativo, il libro dedica ampio spazio al trasferimento delle riflessioni strategiche maturate dall’autore in anni di professione. Che cosa sono (e non sono) le PR digitali e cosa è lecito aspettarsi da esse; l’importanza della reputazione e come gestirla; l’individuazione di influencer e blogger e le modalità per lavorare con loro; budget e KPI; prevenzione e gestione delle crisi online: ogni aspetto è affrontato con ricchezza di esempi e puntuali rimandi a risorse in rete.

Pubblichiamo di seguito alcune avvertenze terminologiche che l’autore pone a chiusura della premessa e che risultano interessanti per cogliere il perimetro di questa nuova attività di comunicazione

Scrivendo questo libro ho fatto alcune scelte che può essere opportuno spiegare:
• ho adottato in maniera continuativa l’espressione «PR digitali» che comunque ritengo assolutamente interscambiabile con «Internet PR» e «online PR»

• ho utilizzato la sigla «PR», come Public Relations, probabilmente più familiare all’ampio pubblico cui è destinato questo libro rispetto a «RP» (Relazioni Pubbliche), preferito da certi addetti ai lavori;

• ho usaro l’espressione «PR tradizionali» per tutto ciò che non è strettissimamente legato a mezzi digitali, ciò che storicamente costituisce
il lavoro tradizionale delle agenzie e delle persone che si occupano di Relazioni Pubbliche, così come le abbiamo intese nei decenni scorsi. Va comunque sottolineato che oggi ha poco senso distinguere le due cose, dato che si tratta di ambiti d’intervento che devono essere integrati. Se volete, potete leggere questa distinzione anche nel senso di «come si faceva ieri» e «come si fa oggi»

• ho affrontato a più riprese alcuni argomenti, tornandoci sopra in punti diversi del libro e assumendo di volta in volta una prospettiva differente, a seconda del capitolo;

• ho usato il termine «target», di derivazione pubblicitaria, per definire il pubblico obiettivo cui intendiamo rivolgere la nostra attività di comunicazione. Il termine per certi versi è improprio: l’evoluzione delle tecniche di comunicazione, degli strumenti tecnologici, della cultura stessa ha reso meno sensato pensare alla comunicazione come attività indirizzata a larghi gruppi indifferenziati di popolazione, come si fa in televisione. Oggi si comunica con le persone, in certi casi parlando con loro una a una (come nel caso delle relazioni con gli influencer). Per sintesi e per semplicità ho deciso comunque di usare questo termine per indicare il gruppo di persone, più o meno ampio e caratterizzato da caratteristiche simili, con cui vogliamo parlare, raccomandando comunque a chi legge di interpretare nel modo giusto il termine e, ancora una volta, di non vedere le PR digitali come analoghe o assimilabili alla comunicazione pubblicitaria, che è cosa completamente diversa;

• ho usato anche il termine «utenti», da leggere – anche in questo caso – con una certa cautela. Se intendiamo per utente una figura anonima, disumanizzata, un numero su cui applicare meccanicisticamente delle tecniche di manipolazione, sbagliamo l’approccio, la strategia e sbagliamo il progetto. Utente è qui la persona che usa i social, che legge i nostri contenuti: una persona, appunto, prima di tutto

Infine, un disclaimer. Tutte le opinioni qui esposte sono strettamente personali e non coincidono necessariamente con quelle dell’azienda per cui lavoro.

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