Benedetta Arese Lucini (Uber): le app ci stanno cambiando la vita

«In Italia le logiche corporative rischiano si soffocare l’innovazione», dice la country manager della società americana. Che spiega come la tecnologia può rispondere a nuovi bisogni. E rivela le sue app preferite, da Spotify ad AirBnb

Pubblicato il 24 Lug 2014

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Mentre anche in Italia fa test di diversificazione (la consegna di gelati lunedì 18 luglio) e segna qualche punto a suo vantaggio con il pronunciamento dell’Antitrust a Roma, Uber continua la sua marcia. L’app della discordia è un fenomeno globale: attiva in oltre 150 città, dagli Stati Uniti all’Europa fino a Singapore, in cinque anni ha superato i 10 miliardi di fatturato (quasi 12) e negli ultimi due ha portato scompiglio nel mondo della mobilità urbana, diventando la bestia nera dei tassisti.

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Benedetta Arese Lucini, country manager di Uber Italia

In Italia il volto di Uber è quello di Benedetta Arese Lucini, una trentenne dai modi spicci e dalla formazione internazionale che ha il suo ufficio in un open space del design district milanese. È finita sulle pagine di cronaca suo malgrado, e più spesso di quanto avrebbe voluto, nei mesi scorsi. Adesso, prima di una meritata pausa estiva, ha accettato di fare una chiacchierata oltre la cronaca. Per capire da dove arriva Uber e dove potrà arrivare. Nonostante i tassisti (e qualche politico italiano arcaico…)

Nel libro Big Bang Disruption di Larry Downes e Paul Nunes, Uber viene citata ben 12 volte. Che cosa ne ha fatto un caso globale di innovazione dirompente?
La capacità delle tecnologie digitali di dissolvere le barriere tra settori e rivoluzionare le dinamiche dei mercati tradizionali è stata evidenziata da molti studi autorevoli, tra i quali proprio ‘Big Bang Disruption’. La novità che Uber ha portato è quella di far leva sulla tecnologia per aprire il sistema dei trasporti urbani a nuovi attori, rompendo le logiche di un settore che è stato fermo per molti anni. La nostra piattaforma ha messo in luce l’esistenza di nuove esigenze di mobilità in molte città del mondo, che senza Uber sarebbero rimaste insoddisfatte. Stiamo dimostrando con i fatti l’enorme potenziale dell’innovazione tecnologica.

Uber è anche un caso esemplare di economia delle app. Dove sta il valore? Quanto conta la tecnologia e quanto la capacità di individuare un bisogno che emerge dal basso?
La capacità di sviluppare una piattaforma tecnologica sicura, affidabile e semplice da utilizzare è certamente alla base del nostro business. Tuttavia, per noi è ancora più importante lo spirito con cui la piattaforma è stata pensata, ovvero la ferma convinzione che la tecnologia e la sharing economy possano davvero migliorare la vita. Oggi le persone hanno bisogno di muoversi in città in modo più veloce, utilizzando servizi comodi a un prezzo accettabile. I conducenti chiedono invece soluzioni per lavorare con maggiore autonomia e flessibilità. La tecnologia mette in contatto queste due esigenze e le soddisfa entrambe: da qui nasce la piattaforma Uber, con cui vogliamo dare più scelta a più persone.

Perché una semplice app può generare un tale cambiamento (e così tante reazioni)? 
Quando una categoria come quella dei tassisti si sente minacciata dall’innovazione e dall’ingresso di nuovi attori sul mercato, è naturale aspettarsi che le reazioni siano molto accese. Il dibattito sulla app Uber deve però essere inquadrato in un confronto più ampio sulla sharing economy e la sua portata rivoluzionaria. Su questo tema è intervenuta di recente anche Neelie Kroes, vice presidente della Commissione europea e responsabile per l’Agenda Digitale. La signora Kroes ha invitato a riflettere sui tanti casi in cui la tecnologia ha permesso di creare nuovi servizi, progettati a misura del consumatore e quindi più flessibili: dalla musica alle prenotazioni degli hotel, dai media tradizionali ai sistemi di pagamento, il nostro è solo l’ultimo di tanti esempi in cui l’innovazione ha scardinato dei meccanismi consolidati e aperto strade completamente nuove. Vogliamo contribuire a creare un mercato della mobilità urbana più competitivo, a vantaggio innanzitutto dei clienti. La concorrenza offre più scelta e Uber è pronta a dialogare in modo trasparente con tutti i soggetti coinvolti nel sistema dei trasporti per capire insieme come affrontare l’innovazione e metterla al servizio di tutti.

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Stati Uniti ed Europa: quali sono le differenze con cui le proposte dell’app sono state accolte nei differenti mercati? Un fatto di cultura o di struttura economica?
In America il dibattito si è già sviluppato in modo più ampio e abbiamo già potuto discutere i benefici di Uber, e il modo in cui contribuiamo a far crescere il mercato della mobilità urbana. Uno studio indipendente della società di consulenza ECONorthwest ha stimato in oltre 46 milioni di dollari l’impatto di Uber sull’economia di Chicago nel 2013, associati alla creazione di quasi 1.000 posti di lavoro e circa 25.000 spostamenti che il sistema dei trasporti urbani non avrebbe potuto erogare (spostamenti aggiuntivi a quelli normalmente tracciati in città).

Lei guida Uber Italia dal suo lancio: qual è la principale lezione che ha imparato da questa esperienza così veloce e movimentata? Che cosa ha scoperto di questo Paese? Che cosa frena secondo lei l’innovazione?
Uber è arrivata in Italia in un momento di grandi cambiamenti, in cui da più parti si sente il bisogno di innovazione per battere la crisi, recuperare fiducia e dare spazio alle tante energie che il Paese è in grado di generare. Ci dispiace vedere che spesso le logiche corporative tendono a ostacolare l’innovazione e, ancor di più, non possiamo accettare di subire minacce, intimidazioni o aggressioni mentre cerchiamo semplicemente di fare bene il nostro lavoro. Restiamo profondamente convinti che il dialogo sia la strada migliore per far decollare l’innovazione e portare vantaggi per tutti. Quando Uber arriva in una città, è dimostrato che contribuisce a far crescere l’intero mercato della mobilità urbana: uno studio della New York University che riporta come Uber, rivolgendosi a categorie di utenti che non farebbero ricorso ai taxi tradizionali, avvicina un maggior numero di cittadini al sistema di trasporto pubblico locale non di linea.

Che effetto fa sentirsi definire “fuorilegge”? L’innovazione ha bisogno di permessi?
Anche l’innovazione deve rispettare la legge e Uber non è affatto illegale. Il nostro servizio Uber Black è pienamente conforme alla Legge 21/1992: i conducenti Uber Black sono a tutti gli effetti lavoratori autonomi, con licenza NCC. UberPOP è invece una piattaforma di ridesharing che si configura come un servizio tra privati, permettendo agli utenti di muoversi in città in maniera collaborativa.
Anche se le nostre attività non contrastano con la legge vigente, siamo assolutamente convinti che queste norme siano obsolete. La legge è stata scritta ben prima dell’avvento degli smartphone e delle tecnologie che ormai utilizziamo tutti i giorni, per cui occorre, dal nostro punto di vista, una profonda revisione per riflettere i tanti cambiamenti che sono avvenuti negli ultimi anni, tenendo il passo con l’innovazione. Siamo pronti a collaborare con il legislatore e tutti i soggetti coinvolti per definire regole condivise, che vengano rispettate e siano coerenti con l’evoluzione del mercato, che è altamente dinamico e vede emergere nuove esigenze da parte dei consumatori.
Sull’importanza di elaborare normative più favorevoli alle nuove tecnologie si è espresso pochi giorni fa anche Mauro Bonaretti, segretario generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Non possiamo che essere d’accordo: occorre senza dubbio stabilire delle regole, ma al tempo stesso evitare un’eccessiva regolamentazione che impedirebbe ai consumatori di beneficiare degli effetti positivi dell’innovazione.

 L’opinione dell’avvocato Guido Scorza su UberPop: non è illegale

Come vede la mobilità urbana da qui a cinque anni?
Se penso a città come Roma e Milano, vedo una domanda sempre più urgente di nuove soluzioni per il trasporto urbano, ovvero servizi più efficienti e convenienti, comodi da utilizzare e accessibili mediante applicazioni. C’è spazio per tanti soggetti diversi, dal trasporto pubblico ai taxi tradizionali, da Uber al car sharing. A Milano abbiamo partecipato alla consultazione pubblica indetta dal Comune sulle nuove regole per il trasporto urbano, valorizzando le nostre best practice internazionali. Abbiamo più volte ribadito la disponibilità ad aprire la nostra piattaforma ai tassisti, come annunciato poche settimane fa anche a Londra, per lavorare insieme a vantaggio dei cittadini.
Non dimentichiamo che Milano si sta preparando per EXPO 2015, che in sei mesi porterà in città 20 milioni di visitatori, dei quali il 30% stranieri. Vogliamo aiutare Milano a vincere le nuove sfide della mobilità urbana ed essere uno degli attori che faranno muovere la città durante l’Esposizione Universale.

Un’ultima domanda personale: per quale attività quotidiana lei usa qualche app? Vuol dirci quali?
Sono sempre in giro e quindi le app che mi aiutano a muovermi sono quelle che uso di più, e ovviamente ho bisogno di Uber regolarmente. Google maps mi aiuta a trovare la via, Hotel Tonight e AirBnb a trovare dover dormire, OpenTable per i ristoranti. Spotify e Songza accompagnano le mie giornate con le loro playlist mentre mi collego su Flipboard e Twitter per un aggiornamento giornaliero su quello che succede. Sono sempre aperta a scoprire nuove app e sperimentare e adoro l’idea delle possibilità che porteranno le app in grado di usare intelligenza predittiva, che arriva a capire come ci comporteremo, quindi comunicando informazioni utili al momento giusto.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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