Scenari economici

Sharing economy. Sharing what, exactly?

Grande confusione di significati sia in inglese (sharing) che in italiano (condivisione). Vale la pena avviare una discussione. In questo primo pezzo si pone il quesito di quali siano le relazioni di proprietà e d’uso che il termine indica. Una questione definitoria, indispensabile per rispondere a molte domande. Esempio: chi paga le tasse sulle attività di sharing?

Pubblicato il 12 Nov 2015

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Les paroles seules comptent.
Les reste est bavardage.
Ionesco

Vorrei avviare oggi una discussione sul tema sharing economy. Lo farò come se non avessi letto nulla e non ne avessi sentito parlare prima, assumendo cioè che i miei interlocutori, che probabilmente ne sanno più di me, siano specializzati in alcuni aspetti della cosa ma abbiano perso di vista il punto di partenza comune a qualunque riflessione o, non avendolo perso di vista, lo danno per scontato: la definizione. Che cosa è la sharing economy? Perché tantissimi ne parlano e, a sentire i media, tantissimi la praticano? Chi shares, e che cosa is being shared? Quali aspetti della vita sociale ne vengono influenzati? Chi ci guadagna, e chi ci perde? È davvero, come sostiene Jeremy Rifkin, un paradigma nuovo di potenza e di importanza comparabile al capitalismo (e al feudalesimo, aggiungo io)? In che cosa è diversa dal socialismo? E avanti così. Comincio, nello stile che mi è proprio. Sperando di venir educato da chi queste cose le sa.

Gli italiani. Solo una piccola frazione di questo popolo parla decentemente un’altra lingua oltre a quella madre, ma tutti sono bravissimi a infilare in un discorso in italiano espressioni in un’altra lingua (quella del vincitore, prevalentemente). Quanto a capirne il significato…

Prendiamo questa storia della ‘sharing’ economy. Ciò che mi interessa in questo primo articolo di una serie di n è, come dice il titolo, che cosa esattamente venga shared. Non si tratta affatto di una questione di lana caprina, perché la parola sharing evoca una relazione di parità tra coloro che share. Ma non è così, lo so, perché il termine viene usato anche quando questa relazione di parità non c’è. Mi suona di buonismo eccessivo, questo termine ‘sharing’. E bisogna essere attenti, perché ciò che un termine evoca è altrettanto, e forse più, importante di quello che (apparentemente) dice. Quindi consulto un vocabolario di buon livello e leggo che si tratta di:

An economic system in which assets or services are shared between private individuals, either for free or for a fee, typically by means of the Internet: thanks to the sharing economy you can easily rent out your car, your apartment, your bike, even your wifi network.’

Ora mi si permetta di rimarcare che la definizione parla di ‘assets… shared’. Ma quello che noi intendiamo comunemente è ben altro, giusto? Se io sono il proprietario di un appartamento di cui posso subaffittare delle stanze per un breve periodo di tempo (alla volta), in non sto sharing the asset, sto sharing the use of the asset. O no? E sono due cose ben diverse, to share an asset and to share il suo uso, giusto? L’appartamento rimane di mia proprietà, tu mi paghi un affitto, usi le stanze pattuite, paghi e te ne vai (prima o poi arriveremo a discutere se io pago le tasse su questo reddito, ma per ora tralasciamo). E poi: si dice che la relazione può essere a titolo oneroso o a titolo gratuito: caspita, che termine ambiguo!

E se avessimo usato un termine italiano? Diceva Federico Rampini in un articolo del giugno scorso che probabilmente in italiano il termine più prossimo all’inglese sharing è condivisione (che è lo stesso che ha usato il traduttore del libro di Rifkin). Guardo un buon vocabolario e leggo che:

condivìdere v. tr. [comp. di con– e dividere] (coniug. come dividere). – Dividere, spartire insieme con altri: il patrimonio è stato condiviso equamente tra i fratelli. Anche, avere in comune con altri: c. l’appartamento; più spesso fig.: condivido pienamente la tua opinione; non condivideva le mie idee; condividono la passione per la montagna. Part. pass. condiviṡo, con valore verbale o di agg.: è un’opinione condivisa da molti; obiettivi, programmi largamente condivisi, che incontrano largo consenso.

Noto subito che il termine condivisione è ambiguo tanto quanto il termine sharing. Il primo esempio di uso del termine condivisione fa riferimento alla condivisione di un patrimonio, cioè esattamente gli assets di cui parlava la definizione inglese. Condividiamo la proprietà, tu e io; se ti do in affitto una cosa, non la stiamo condividendo: o qualcuno mi vuol dire che centinaia di milioni di affittuari in giro per il mondo non sapevano di star condividendo l’appartamento in cui hanno vissuto e vivono? No, parole al minimo ambigue e al massimo completamente sbagliate, sharing e condivisione entrambe. Siccome io non sopporto l’errore e ancor meno le ambiguità, userò la parola affitto di breve termine per descrivere tutte le attività di affitto o di erogazione di servizio dietro corrispettivo, e la parola condivisione nei casi in cui vi sia accesso di più soggetti, paritario o meno, a un patrimonio/diritto di proprietà.

Chi è stato in Russia, e prima in Unione Sovietica, sa che da decenni la parte di quel popolo che possiede un’automobile si presta volentieri a dar passaggi a pagamento a chi li richieda (basta alzare un braccio per strada come si farebbe per un taxi a Londra – non a Milano, ovviamente, dove i taxi stanno fermi nei loro parcheggi per risparmiare benzina – ). Non avevano Uber, i sovietici, ma avevano le macchine in affitto (con autista, per cui presumo che possiamo chiamarle NCC). (Di nuovo: tralasciamo per ora il problema del prelievo fiscale, ma la domanda è legittima: chi è il sostituto d’imposta?).

Certo possiamo parlare di tantissimi casi diversi di affitto. Un altro esempio? le biciclette del Comune di Milano (si, lo so, ATM.. irrilevante, per quel che serve qui). Quelle biciclette sono state comprate con i soldi di Sdogati, giusto? Poi vengono affittate a chi vuole (e può) usarle. La proprietà è del Comune di Milano, ma per qualche ragione a Sdogati non dà fastidio che i suoi soldi siano stati usati per quello scopo. La proprietà è del Comune di Milano. Sono un mezzo di trasporto pubblico. Chi prende in affitto la bicicletta non condivide i diritti di proprietà (che non sono neanche di Sdogati, che pure ci ha messo i soldi!), prende banalmente in affitto. (Parentesi per considerazioni future: non tutti quelli che hanno pagato la bicicletta possono usarla, vuoi perché incompetenti, anziani, bambini, o malati: attenzione ad associare a questo fenomeno degli affitti brevi e molteplici il concetto di democrazia. Nessuno di noi ha mai pensato che un autobus urbano fosse espressione di democrazia, vero?).

Per oggi chiudo qui. Concludendo che la parola condivisione è (secondo me) adeguata quando si parla di diritti di proprietà condivisi da diverse persone, fisiche e giuridiche, ma non quando ciò che costituisce oggetto di ‘condivisione’ rimane di proprietà di una delle parti, mentre l’altra ne fa uso per un tempo limitato e dietro compenso pagato al proprietario. Compenso che, per semplicità e per il momento, chiamo ‘canone di affitto’.

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