L'ANALISI

L’auto non è più la stessa: la trasformazione di un’industria “mangiata” dal software

Il passaggio all’auto elettrica non comporta solo il cambiamento del tipo di motore, ma è l’occasione per ripensare integralmente l’auto. Non è un’impresa facile neanche per i colossi del software, come dimostrano i tentennamenti di Apple. Ecco la prima parte di un’attento esame dei processi in corso

Pubblicato il 15 Giu 2021

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“Costruire il futuro dell’auto fra connettività e sostenibilità” è il titolo dell’evento della School of Management del Politecnico di Milano tenutosi il 15 giugno 2021. Ad aprire il dibattito, moderato da Giovanni Miragliotta, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio ConnectedCar & Mobility del Politecnico di Milano, sarà Umberto Bertelè, Professore Emerito di Strategia dell’ateneo milanese e autore del libro Strategia, che per EconomyUp ha scritto una approfondita analisi sui cambiamenti dell’industria automotive alle prese con la trasformazione digitale e la sostenibilità ambientale. Questa è la prima parte.

The End of the Car as We Know It era il titolo di un recente articolo di The Wall Street Journal (22 maggio), che – riprendendo una frase famosa di Marc Andreessen del 2011 – sosteneva che l’auto era sulla lista delle prossime vittime del successo del software: Software is eating the world, and cars are next on the menu.

L’auto non è più la stessa, è la tesi ricca di implicazioni  

  • non solo per l’abbandono – imposto dalla lotta contro il riscaldamento globale – dei motori a combustione interna, che l’hanno caratterizzata sin dalla nascita alla fine dell’Ottocento
  • ma – parallelamente – per il suo progressivo passaggio, a partire dai primi anni ‘2000, da sistema di componenti meccanici interagenti fra loro (motore, trasmissione, freni ..) a sistema sempre più dominato dalla presenza di sensori elettronici e processori e dal ruolo del software: un passaggio che ha subito una ulteriore accelerazione con l’inserimento di sistemi di assistenza alla guida (in gergo ADAS-Advanced Driver Assistance Systems) sempre più avanzati, nella prospettiva della self-driving car.

L’importanza del software: dal Dieselgate alla carenza di microchip

Una prima avvisaglia a livello di opinione pubblica dell’importanza che stava assumendo il software si è avuta nel 2015 con lo scoppio del Dieselgate, lo scandalo che vide Volkswagen sotto accusa (con un impatto finanziario molto pesante fra multe e rimborsi e conseguenze anche penali per il top management coinvolto) per aver inserito nelle sue vetture un software in grado di alterare il funzionamento dell’auto nelle prove di laboratorio, per nascondere alle autorità competenti il livello reale di emissioni di Nox. E più di recente l’importanza della componentistica elettronica è stata sottolineata dai blocchi alla produzione – causati dell’insufficiente disponibilità di microprocessori nella ripresa post-pandemica – che hanno colpito e continuano a colpire, in forma più o meno estesa e prolungata nel tempo, quasi tutte le grandi case automobilistiche,

Il passaggio in corso all’auto elettrica non comporta solo il cambiamento del tipo di motore, ma è l’occasione per ripensare integralmente l’auto

Il modello Tesla – al momento della nascita definito “un iPhone con le ruote” – sembra rappresentare il punto di riferimento obbligato. Il caso Apple, discusso nel citato articolo, è emblematico delle priorità e dei problemi dei cambiamenti in atto.

Il caso Apple: la digitalizzazione dell’auto e la difficoltà di realizzarla

Da un lato, il fatto che da anni si discuta di un possibile ingresso di Apple stessa nel comparto automobilistico, e non solo a livello componentistico, è una conferma della centralità della digitalizzazione nell’auto “verde” del futuro. Dall’altro, il fatto che essa, pur avendo investito da anni nella ricerca e nelle acquisizioni di startup innovative relative all’auto e pur disponendo di rilevantissime risorse finanziarie (i soli utili netti degli ultimi quattro trimestri sono stati superiori a 76 miliardi di dollari), esiti a entrare nel comparto, è una prova

  • delle difficoltà che tutte le imprese – siano esse case automobilistiche storiche come Volkswagen o big tech come nella fattispecie Apple o startup nate come Tesla per realizzare auto “verdi” – si trovano ad affrontare nel mettere assieme capacità tecnologiche e modus operandi molto diversi: la “difettosità zero” tradizionale appannaggio dell’industria dell’auto è ad esempio un concetto del tutto estraneo al mondo digitale così come la messa a punto di un sistema operativo di governo dell’auto, aggiornabile over-the-air analogamente allo smartphone, è un concetto nuovo e non facile da digerire per le grandi case storiche;
  • delle incertezze sulla profittabilità che l’auto verde potrà garantire nel futuro, anche per le tensioni – in prospettiva sicuramente crescenti – sui mercati delle materie prime (dal nickel al rame, al litio, al cobalto …) “critiche” per la fabbricazione delle batterie e in generale per la transizione ambientale.

È la politica che detta i tempi di passaggio all’auto “verde” 

La progressiva sostituzione – obbligatoria ed estesa a tutto il mondo – dei veicoli a combustione interna alimentati da combustibili fossili con veicoli elettrici, o comunque basati su tecnologie (idrogeno ..) e fonti energetiche “verdi”, è parte come noto di una serie più estesa di misure volte a contrastare il riscaldamento globale, approvate con l’accordo sottoscritto da 196 Paesi alla conferenza di Parigi sul clima (COP21) nel dicembre 2015 e poi rinnovate seppur con alterne vicende (quali l’uscita dall’accordo degli Stati Uniti con Trump e il rientro con Biden).

Il 2050 è l’anno fissato per il cosiddetto “Net Zero” – per l’annullamento cioè delle nuove emissioni di gas serra o il loro assorbimento

ma è evidente che per sperare di conseguire l’obiettivo a lungo termine occorre porsi obiettivi intermedi anche molto sfidanti per il medio termine. È quanto ha fatto l’UE alla fine dello scorso anno, non solo dedicando alla transizione ambientale il 37 per cento delle risorse del Recovery Plan, ma spostando anche dal 40 al 55 per cento l’obiettivo al 2030 di taglio delle emissioni rispetto al 1990, con forti resistenze ora – da parte degli Stati e delle categorie più penalizzate – nella fase di definizione e approvazione delle misure atte a rendere concreto il conseguimento dell’obiettivo stesso.

E più recentemente l’IEA-International Energy Agency ha simulato il cammino che dovrebbe essere fatto a livello mondiale per arrivare al “Net Zero” nel 2050, chiedendo fra l’altro agli Stati di imporre la cessazione immediata dei nuovi investimenti in combustibili fossili, di accrescere viceversa gli investimenti in energia solare ed eolica (passando dai 2 trilioni di dollari annui attuali ai 5) in modo da quadruplicare per il 2030 la potenza installata, di investire pesantemente in innovazione tecnologica (idrogeno “verde”, batterie avanzate, cattura della CO2 …) e – per quanto riguarda l’auto – bloccare completamente entro il 2035 la vendita di veicoli “tradizionali” a combustione interna.

Le difficoltà dietro il blocco delle vendite dei veicoli tradizionali

Un obiettivo problematico quest’ultimo, se verrà effettivamente imposto, per le grandi case automobilistiche storiche

  • perchè esse tuttora traggono la quota largamente prevalente dei loro profitti, notevolmente aumentati con la ripresa post-pandemica, dai veicoli “tradizionali” (essendo quelli elettrici a parità molto più costosi) e con tali profitti finanziano la complessa e costosa fase di transizione;
  • perché, più viene anticipata la fine della produzione di tali veicoli, maggiore è il rischio di un aumento della consistenza degli stranded asset – degli impianti e degli altri beni materiali e immateriali cioè di cui non si riesce a concludere l’ammortamento (con una conseguente perdita in conto capitale) – e più difficile diventa, anche politicamente, procedere alla (talora radicale) ristrutturazione del personale resa necessaria dai profondi cambiamenti nelle competenze e nelle infrastrutture che la transizione comporta.

Passaggio all’auto “verde”, è importante chiarirlo, non significa necessariamente passaggio all’auto “elettrica”

ma, almeno per quanto riguarda l’orizzonte temporale sino al 2030, la scelta “elettrica” per rispettare i parametri ambientali sembra essere – in Europa e negli Stati Uniti soprattutto – quella in larghissima misura prevalente, a livello delle imprese (sia “storiche” sia startup) e a livello delle infrastrutture di supporto (quali quelle di ricarica).

Una scelta dettata dallo stato attuale e dall’evoluzione prevista a breve-medio termine delle tecnologie, e dai costi che esse comportano. Una scelta che in un orizzonte temporale più lungo potrebbe modificarsi, se la corsa alle innovazioni – nelle tecnologie concorrenti (idrogeno “verde” ..) e nelle stesse batterie – dovesse portare a un sistema di convenienze diverso.

Una scelta che già ora, largamente prevalente nelle auto e nei veicoli per trasporto leggeri, non si estende ai trasporti pesanti su gomma a lunga distanza e ai trasporti ferroviari sulle linee non elettrificate, dove l’idrogeno “verde”, nonostante il suo costo rilevante, sembra poter diventare – per ragioni di peso e di durata – più concorrenziale (1.continua)

 

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Umberto Bertelè
Umberto Bertelè

Professore emerito al Politecnico di Milano, è autore di "Strategia" (edizioni Egea), libro disponibile nella seconda edizione, focalizzata sulla trasformazione digitale.

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