Buona visione a tutti

L’eccitazione digitale che non aiuta a firmare un decreto

A Venaria è stata magnificata l’Italia del 2020. Ma otto mesi dopo, si attende ancora l’attuazione di importanti novità dell’Investment Compact: la startup senza notaio; gli incentivi fiscali per chi investe in Pmi innovative; l’accesso privilegiato delle stesse al Fondo di Garanzia

Pubblicato il 23 Nov 2015

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C’è in giro un’eccitazione digitale tale che si rischia solo di accrescere il desiderio e preparare un solenne flop. Una girandola di eventi, parate, convegni, workshop, forum che se da una parte sono il segnale indiscutibile di una voglia reale di cambiamento dall’altra rivelano anche una pericolosa tendenza a dire prima di e magarsi senza fare. Digitale viaggia velocemente verso lo status di parola-commodity, buona per ogni uso e occasione, senza grandi distinzioni. Da wikipedia: commodity=termine inglese che indica un bene per cui c’è domanda ma che è offerto senza differenze qualitative sul mercato ed è fungibile, cioè il prodotto è lo stesso indipendentemente da chi lo produce. Probabilmente era inevitabile

Sono rimasto abbastanza disorientato da quanto accaduto in questi giorni attorno all’ItalianDigitalDay, il raduno a Venaria dei DigitalChampions guidati da Riccardo Luna e benedetti dal premier Matteo Renzi. Prima l’attesa sottovoce, chi incrociando le dita e chi invece sperando nel flop. Poi la parata istituzionale autogratoficante (citazione di un brillante e competente grand commis romano), quindi l’antagonismo di chi non è convinto, concentrato in un gruppo Facebook che si ispira ai personaggi di un celebre cartoon. Mah! Baruffe all’italiana che rischiano di lasciare in secondo piano lo sviluppo della cutura e dell’economia digitale in Italia. Simpatizzanti e antipatizzanti, indignati e appassionati, fans e detrattori, comunque tifosi. Eppure non siamo in uno stadio di calcio e non è in corso, ancora, il campionato digitale. Ma l’eccitazione diffusa può produrre anche questi effetti.

Un convegno è solo un convegno, anche se va il presidente del Consiglio, ha giustamente scritto Gildo Campesato, direttore di CorCom che ha dedicato la newsleter del 23 novembre ai principali interventi di Venaria. Ma se si carica di steroidi e anabolizzanti anche un convengo diventa altro, perché genera attese, invidie, gelosie. Insomma, ancora una volta eccitazione. Che poco ha a che fare con la sfida della trasformazione digitale, della pubblica amministrazione e dell’ecomomia. “Fuffa” è la parola che piace tanto a chi con sufficienza vuole liquidare qualcosa che considera poco o nulla. Sono pronto a scommettere che pochissimi tra coloro che la usano ne conoscono il vero significato. “La fuffa è la tipica lanetta che si forma nei tessuti e che in genere si rimuove poiché anti-estetica. Proprio questa connotazione ha fatto sì che venisse usato sensu lato per indicare un eccesso inutile. Può indicare anche l’accumulo di peli che si verifica negli animali o l’accumulo di polvere in batuffoli”. Accumulo di cose inutili, quindi. Non necessariamente sbagliate. L’eccitazione da la carica, può essere coinvolgente ma non sempre ci mette sulla strada migliore.

Paolo Barberis, consigliere per l’innovazione del presidente del Consiglio, deve aver avuto qualche dubbio dopo essere ripartito da Venaria. Lunedì sera (23) ha messo in rete il suo intervento all’ItalianDigitalDay (qui le slide, qui il suo speech). Mossa abile e probabilmente dettata dalla voglia di sedare il ronzio che nelle 48 ore successive all’incontro si era scatenato online fra le tifoserie opposte dei campioni digitali per autonomina. Solite questioni di campiello eccitato. E lui ha voluto riportare l’attenzione sulla sostanza delle cose, sulla strategia del governo per l’Italia che cambia (inter)faccia (parentesi endolessematica da brivido….), che si poggia su quattro grandi pilastri: la cittadinanza digitale; la banda Ultralarga; l’insegnamento degli strumenti digitali; la competitività innovativa delle imprese. Un affresco affascinante di tessere che però devono ancora essere messe a posto. E sulle quali è legittimo nutrire qualche scetticismo visto la capacità di implementazione della politica. Che ama l’eccitazione dei fan, ma ha allo stesso tempo la capacità di metabolizzarla senza farsene contagiare.

Esattamente otto mesi fa, era il 24 marzo, veniva licenziata dal Senato la legge conosciuta come Investment Compact. Conteneva importanti novità per le startup, l’innovazione e le piccole e medie imprese. Buona parte sono ancora pura delibera parlamentare. L’eccitazione digitale diffusa non è riuscita a far fare un passo avanti ai decreti attuativi che viaggiano fra Ministero dello Sviluppo Economico e Ministero dell’Economia e della Finanza. Attendono ancora di essere attuati la costituzione di una startup senza notaio (possibilità che ha provocato una sorta di guerra di religione); gli incentivi fiscali per chi investe in Pmi innovative; l’accesso privilegiato delle stesse Pmi innovative al Fondo di Garanzia. Se ci si aggiunge il fatto che Consob non ha ancora da parte sua modificato il regolamento sull’equity crowdfunding, prevedendone l’estensione oltre le startup, si comprende perché le Pmi siano poco stimolate a diventare innovative.

Perché invece di fughe in avanti non si completano percorsi già cominciati con profitto? Siamo certi che il premier Matteo Renzi, e i suoi alfieri digitali, dopo Venaria troveranno le parole per richiamare i ministri Pierpaolo Padoan e Federica Guidi e allinearli alla nuova parola d’ordine: o Digitale o Contro di Noi.

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