Innovazione al Sud

Apple a Napoli: perché non succederà niente prima di 6 mesi (e come Cook ha scelto le startup)

Nessuna location né data certa per il Centro di sviluppo per app annunciato dal Ceo Tim Cook in visita in Italia. Secondo alcuni potrebbe partire dopo le amministrative di maggio. Intanto parlano gli startupper incontrati da Cook: «Scelti personalmente da Apple, ci tengono d’occhio»

Pubblicato il 25 Gen 2016

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Il Ceo di Apple Tim Cook incontra 5 startup italiane a Palazzo Chigi

Per il momento non c’è ancora né una data né una location certa per l’apertura a Napoli del primo Centro di sviluppo per app IOs d’Europa annunciato dal Ceo di Apple Tim Cook durante la recente visita in Italia dove, oltre al premier Matteo Renzi, al Papa e a vari altri rappresentanti delle istituzioni, ha incontrato cinque startup italiane.

Apple sta ancora cercando la location – dice a EconomyUp Paolo Barberis, consigliere per l’Innovazione del presidente del Consiglio – e noi come governo stiamo dando un aiuto per individuare il luogo. Dovrà trattarsi di una scelta razionale e funzionale, ma alla fine sarà l’azienda californiana a decidere”. “A mio parere ci vorranno circa sei mesi per avere una location certa – ribatte Antonio Prigiobbo, designer dell’innovazione, ideatore e cofondatore di NaStartup ed esperto dell’ecosistema napoletano – A maggio ci saranno le elezioni amministrative e Apple potrebbe aver deciso di prendere tempo per non subire pressione dai vari canditati”.

In questi giorni sono apparse sui media varie ipotesi relative al luogo nel quale potrebbe sorgere il Centro di Sviluppo, che sarà in sostanza una scuola situata in un istituto partner, sosterrà gli insegnanti e fornirà un indirizzo specialistico preparando i futuri sviluppatori a far parte della comunità di sviluppatori Apple. Così recitano i comunicati ufficiali. Secondo alcue stime il Centro dovrebbe dare lavoro a circa 600 persone.

Le ipotesi sulla location – Sono molte le voci che girano. Si è parlato dell’ex polo Olivetti a Pozzuoli, ma non è da escludere l’area di Bagnoli, dove è in corso la bonifica dell’ex area Italsider. A Bagnoli c’è la Città della Scienza, iniziativa di promozione e divulgazione scientifica realizzata attraverso una struttura multifunzionale composta da un museo scientifico interattivo, un centro di formazione e un incubatore di imprese. La struttura è stata colpita da un incendio nel 2013, ma da tempo è in corso l’operazione di rilancio. Sempre a Bagnoli c’è l’ex base Nato che potrebbe fare gola ad Apple. C’è anche la zona di San Giovanni a Teduccio dove l’Università Federico II dispone di capannoni ristrutturati della ex Cirio e dove sono già in funzione una trentina di laboratori. “In questa zona dovrebbe nascere un nuovo incubatore per startup e sono state avviate partnership con Microsoft” dice Prigiobbo. “Sono tutte ipotesi valide – commenta Barberis – ma siamo ancora nella fase di scouting e ci vorrà almeno qualche settimana per fornire informazioni più precise”.

Decisione rapida – Una cosa è certa: tutto è stato deciso molto velocemente. Lo si deduce anche da quanto riferito a EconomyUp dalle startup che venerdì 22 gennaio a Palazzo Chigi hanno avuto modo di incontrare Tim Cook: Musement, Doveconviene, Qurami, Ganiza e Quokky. Quasi tutte hanno detto di essere state contattate solo poche settimane, o addirittura pochi giorni prima, da Apple stessa, per email e/o telefonicamente. “Ci è arrivata un’email qualche giorno prima, inizialmente pensavamo a uno scherzo, poi abbiamo telefonato e verificato che era realtà” dice Francesco Marino, 25 anni, Ceo di Ganiza, startup catanese che si occupa di un’app che permette di trovare idee su eventi e attività da proporre al proprio gruppo di amici. “All’inizio dell’anno siamo stati contattati da Apple Europa. Ci hanno detto che saremmo stati invitati a un evento, senza spiegarci come, quando e perché. Poi, due giorni prima dell’incontro, ci hanno svelato tutti i dettagli” dice Roberto Macina di Qurami. La startup romana, che ha creato un’app per eliminare le code, è stata l’unica che ha incontrato Luca Maestri, l’italiano che è Cfo (Chief Financial Officer) di Apple: “Anche in questo caso sapevamo soltanto che un manager di Cupertino sarebbe venuto nella nostra sede, ma non ci avevano svelato l’identità – continua Macina – Abbiamo scherzato sulla nostra provenienza dallo stesso quartiere di Roma, ha detto al team della startup di continuare così e di essere orgoglioso di noi italiani che lavoriamo e che creiamo lavoro. E ci ha dato un consiglio: lavorare non per i soldi ma per cambiare il mondo”.

Perché proprio queste cinque startup? – “Non ci hanno spiegato perché ci hanno scelto – dice Marino – forse per le metriche, forse per la crescita dello strumento, forse perché lì in mezzo eravamo la startup più giovane (il lancio dell’app è stato il 7 gennaio 2015, ndr) e l’unica del Sud”. “Credo che gli elementi in base ai quali sono state scelte le startup siano diversi – dice Macina -. Sicuramente ha pesato il rapporto fra il prodotto offerto dalla startup e Apple: Qurami, ad esempio, è disponibile su tutti i dispositivi Apple. In secondo luogo hanno pesato la visibilità mediatica e il ruolo sociale del prodotto: lo scopo di Qurami è semplificare la vita quotidiana delle persone. Infine, diciamoci la verità: la fortuna ha avuto il suo peso. Se Apple ci ha scelti è perché abbiamo avuto il famoso fattore C!”.

Alessandro Petazzi, Ceo di Musement, la piattaforma per prenotare esperienze turistiche, è convinto che la chiamata sia arrivata perché Apple Italia ha selezionato alcune startup italiane come le più meritevoli di attenzione sull’App Store, a prescindere dal numero di download. “La nostra app, che abbiamo pubblicato a Natale, è stata scelta a gennaio tra le Best New Apps per il 2016 in 23 mercati: forse era il segnale del fatto che la redazione dello Store è particolarmente attenta alla nostra realtà. E infatti qualche giorno dopo, a metà mese, ci hanno inviato una mail in cui ci chiedevano un po’ di informazioni sull’azienda, senza dirci perché: ma se Apple ti chiede informazioni e tu sei una startup, gliele dai, anche se non sai il perché”. L’invito ufficiale per Roma, con segretezza massima sul programma dell’evento, è arrivato invece pochi giorni prima. “È stato tutto a sorpresa: abbiamo parlato un po’ con Cook, Renzi e gli altri ‘pezzi grossi’ presenti. Abbiamo ricevuto belle parole da tutti: ci fa piacere. Ma forse l’indicazione più importante per noi è proprio sapere che siamo stati scelti perché probabilmente abbiamo integrato nella nostra app una serie di elementi tecnologici che, secondo Apple Italia, porta beneficio agli utenti. Per un’azienda come Apple, che non dà mai feedback diretti a chi propone le sue app su App Store, forse è un modo di dire che ci tengono d’occhio: è un’indicazione importante”.

Di parere simile è Filippo Veronese, ceo di Quokky, una piattaforma che funziona come “assistente personale” aiutando gli utenti a ricercare documenti in fotocamera, Gmail e Dropbox e ricordando quando scadono. “Siamo stati invitati perché, a detta di Apple, hanno scelto quelle che ritengono le più importanti innovazioni italiane nel mondo delle app e ci considerano una di queste”, dice. “L’anno scorso per esempio, ci hanno dato diversi riconoscimenti, tra cui quello di app più innovativa del 2015”.

Le startup e il ‘santone’ –Tim Cook è rimasto sorpreso da come stiamo scalando” dice Fabrizio Marino di Ganiza. Il lancio ufficiale risale a poco più di un anno fa e abbiamo già circa 50 mila utenti tra Italia, Usa, Messico e altri Paesi. Il ceo di Apple si è stupito che un’applicazine così giovane sia scalata a livello mondiale così velocemente. Del resto dopo solo 10 giorni dal lancio, a nostra app era in copertina nell’AppStore tra le nuove applicazioni sviluppate in Italia e tra le nuove migliori app. Segno che ci avevano notato da subito”. “Abbiamo avuto quattro minuti a testa per parlare con lui – racconta Roberto Macina di Qurami – Gli ho mostrato l’app e abbiamo parlato in generale della startup. E’ durato poco, ma è stato comunque un incontro che ci ha spronati ad andare avanti”.

Perché Apple investe a Napoli? – “Per lo spirito imprenditoriale della città – ha detto Cook in un’intervista a Repubblica – e, francamente, perché da un punto di vista economico credo che lì possiamo dare una mano, fare maggiormente la differenza. Quando a Milano annunciai a Renzi che avremmo voluto aprire una scuola per sviluppatori di app, lui mi chiese di immaginare una linea che divide l’Italia in due. Sopra quella linea, spiegò, ci sono dati demografici ed economici più alti dei paesi più ricchi d’Europa; sotto quella linea invece siamo ai livelli della Grecia. Questo discorso ci ha molto colpito e per questo abbiamo deciso di andare sotto la linea. E Napoli ci è sembrata la scelta più logica”. Paolo Barberis aggiunge che Apple e governo italiano si sono ritrovati sulle stesse posizioni e con gli stessi intenti. “Facendo una mappatura dell’Italia, Apple ha individuato eccellenze anche nel Sud Italia. Da parte nostra c’è stata la volontà di indicare un luogo con un significato, per guardare al futuro, alla scuola e alle nuove professioni. A Napoli c’è qualità e voglia di nuovi mestieri”.

L’annuncio di Apple è avvenuto quasi in contemporanea con quello di Cisco che intende investire 100 milioni di euro in Italia nei prossimi tre anni. Ma anche altre multinazionali dell’economia digitale come Amazon, Google, EBay e Microsoft stanno mostrando da qualche tempo un crescente interesse a collaborazioni e investimenti nel nostro Paese. “L’Italia comincia a uscire dalla crisi – ha detto all’Espresso Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente dell’università Bocconi di Milano – e quindi le multinazionali colgono una opportunità di investimento, in particolare per risolvere il principale problema del Paese sul fronte dell’innovazione: le competenze tecnologiche. Senza le quali non è possibile sviluppare né la domanda né l’offerta di servizi innovativi”.

Altri hanno invece letto diversamente la scommessa di Apple su Napoli. In particolare hanno ricordato che il colosso co-fondato da Steve Jobs doveva al Fisco italiano circa 880 milioni di euro di mancati pagamenti Ires, a causa della cosiddetta “estero-vestizione” (ovvero vendere in Italia e fatturare in Irlanda). Lo scorso 30 novembre Apple si è accordata con il Fisco italiano per pagare solamente 318 milioni. Secondo questi osservatori, l’apertura di un Centro di Sviluppo nel capoluogo partenopeo rientrerebbe negli accordi tra l’azienda e il governo italiano: insomma, uno sconto in cambio di un investimento.

Paolo Barberis preferisce non commentare questa tesi (che ovviamente non condivide), se non per puntualizzare che le cose “sono avvenute in due fasi temporalmente diverse, perché la multa è partita tanto tempo fa, mentre la decisione di Apple di investire sull’Italia è scattata a novembre con la visita a Milano di Tim Cook ed è maturata soltanto nelle ultime settimane”.

Antonio Prigiobbo non si pronuncia sul “concordato fiscale”, ma spiega che dietro la decisione di Napoli c’è anche una scelta strategica: “Cook sa che in una realtà difficile come quella partenopea si può lavorare di più, fare meglio ed essere notati. A Napoli c’è un numero crescente di startup innovative, ma mancano gli strumenti e le condizioni per crescere” dice l’esperto. “Inoltre, avrà pesato sulla scelta l’impegno sociale della città: solo per fare un esempio, a Napoli è stato registrato uno dei primi certificati di bambino con due mamme. E l’inclinazione sociale che Cook vuole dare ad Apple è cosa nota: far muovere l’azienda non solo verso risultati economici ma anche verso il riconoscimento dei diritti delle persone”.

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